Il pane e il vino ci ricordano che, per costruire relazioni, dobbiamo essere anche noi – come Gesù – corpo che si spezza e sangue che si versa

 

L’ESEMPIO DI GESÙ

(avorio del primo quarto del XII secolo, Salerno, Museo Diocesano)

«Prendete, questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue…» (Mc 14,12-16.22-26)

 

È una bella intuizione l’accostamento, sulla stessa tavoletta, di tre momenti: la moltiplicazione dei pani, l’ultima cena e la lavanda dei piedi. Con la scena centrale illuminata dalle altre due, a suggerire lo stile con cui andare verso i fratelli.

Resta impressa, del primo riquadro, la condivisione del pane quotidiano, distribuito a gruppi ordinati, con le figure via via più piccole: dove si capisce che, al di là dell’organizzazione, ciò che conta è l’impegno ad arrivare a ogni uomo, facendo in modo che nessuno si senta escluso dal dono o in subordine rispetto ad altri.

La stessa cura si percepisce nella scena della lavanda dei piedi, posta in basso: un servizio che ha valore solo se strettamente personale e che, come il precedente, si realizza chinandosi verso il fratello.

L’attenzione a ciascuno è ribadita nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, quando in tre occasioni si accenna alla preparazione: della sala, della cena e della Pasqua. Per la quale è immaginabile che non si pensasse solo alle cose da fare.

E ancor oggi l’Eucaristia, se da una parte è memoriale di qualcosa che è successo, dall’altra è segno preparatorio, anticipatore di Qualcuno che verrà. Infatti, oltre che rimandare a un avvenimento passato – l’ultima cena -, ne fa fare esperienza diretta: quell’avvenimento, dunque, non è chiuso in un libro, come un fatto storico, ma è continuamente rifatto, risignificato e reso nuovo da chi vi partecipa, in ogni Messa celebrata sulla Terra.

Più volte il magistero della Chiesa ha ricordato come l’Eucaristia non sia un gesto simbolico, poiché nell’ostia e nel vino Gesù continua a essere presente nel tempo, per cui chi riceve l’Eucaristia riceve il Signore e il suo amore come li ricevettero gli apostoli nell’ultima cena.

Ma il dono del Signore ci deve impegnare – invece che a discutere con quale parte del corpo toccare l’ostia – a capire come, a nostra volta, possiamo essere corpo che si spezza e sangue che si versa per gli altri. Perché ciò che il Padre ha chiesto a Gesù, in ogni Eucaristia Gesù lo chiede a noi.

Alla diocesi di Roma, di recente, papa Francesco ha raccomandato che «le nostre comunità diventino capaci di generare un popolo – questo è importante, non dimenticatelo: Chiesa con popolo, non Chiesa senza popolo -, capaci cioè di offrire e generare relazioni nelle quali la nostra gente possa sentirsi conosciuta, riconosciuta, accolta, benvoluta, insomma: parte non anonima di un tutto. Un popolo in cui si sperimenta una qualità di rapporti che è già l’inizio di una Terra Promessa, di un’opera che il Signore sta facendo per noi e con noi» (14.5.2018).

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