Il nodo è la spesa. Allora qualifichiamola

GIUSEPPE PENNISI  – avvenire
Le prime stime parlano di una manovra italiana di aggiustamento di 25 miliardi di euro, da varare in estate, per rientrare dal disavanzo delle pubbliche amministrazioni e cominciare a ridurre il fardello del debito pubblico. L’aggiustamento dei conti pubblici è parte della strategia concordata in seno all’Eurogruppo, per difendere un’unione monetaria giovane e non priva di problemi. Si profila, insomma, un’intervento pari all’80% di quello dell’autunno del 1996, ultimo tassello – si disse – della strategia per entrare nella moneta unica. Nel frattempo il Pil del Bel Paese è aumentato complessivamente di quasi il 6% – al netto della contrazione del 5% registrata nel 2009. Nel 1996, il governo puntò sull’aumento delle entrate, introducendo anche un’eurotassa. Oggi ciò non è possibile, non solamente perché dal 1994 il presidente del Consiglio in carica promette una riduzione del carico tributario, ma in quanto un ulteriore aumento della pressione fiscale farebbe scivolare di nuovo in recessione un’economia che, secondo i 20 maggiori istituti internazionali, esporrà nei prossimi mesi solo una pallida crescita (0,7-0,8% nel 2010 e 1,2% nel 2011). Quella 2011 sarà, quindi, una manovra di contenimento della spesa. E ciò che sta avvenendo nel comparto delle fondazioni lirico­sinfoniche è, dunque, solo un anticipo di misure più generalizzate. Non è difficile prevedere differimenti nella conclusione dei contratti del pubblico impiego, una maggiore oculatezza nei trasferimenti agli individui e alle imprese, la liquidazione di enti considerati, a torto o a ragione, inutili. In questo quadro, è auspicabile che la spesa in conto capitale non sia drasticamente ridotta di due terzi (come avvenne nel 1993-2000), ma sia selezionata secondo standard di valutazione di livello internazionale per dare la priorità agli investimenti ad alto rendimento economico e sociale, posporre quelli meno redditizi e accantonare quelli non ancora pronti o di scarso valore. Infine, sarebbe opportuno azzerare, come fece il governo Amato, le ‘contabilità speciali’, una piaga in cui si annidano resti effettivi di cassa che possono dare vita a un Himalaya di erogazioni da un momento all’altro. C’è da augurarsi, in ogni caso, che non ci si limiti a un’operazione incisiva, ma di breve respiro. E che a dare alla strategia di bilancio una virata innovativa non sia unicamente l’Italia bensì l’intero Eurogruppo. Se è, infatti, essenziale una politica di bilancio armonizzata perché l’euro risponda alle aspettative create alla sua istituzione, tale armonizzazione deve riguardare i contenuti, non solamente i parametri numerici relativi al disavanzo annuo e al debito pubblico. Anche perché il secondo criterio può essere fuorviante: ai fini dell’affidabilità di un Paese, ciò che conta è il debito totale – di individui, famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni – rispetto al Pil (negli Usa il complesso supera il 350%). Da alcuni anni, l’Austria ha introdotto una nuova classificazione della spesa pubblica nel bilancio quadriennale: a) spese per il passato: ad esempio gli interessi sul debito e le pensioni; b) spese per l’esistente come stipendi e acquisti di beni e servizi per la pubblica amministrazione; c) spese per il futuro: infrastrutture, istruzione, ricerca. Il programma contiene obiettivi annuali sia per restare nei vincoli europei sia soprattutto per aumentare la terza voce, contenendo invece le prime due. Qualsiasi emendamento viene immediatamente quantizzato in termini di implicazioni sulle tre grandi categorie, in modo che coloro che intendono privilegiare l’esistente o il passato se ne assumano, in piena trasparenza, la responsabilità. È uno strumento non solo di comunicazione, ma di contenuto e di progetto. Utile a un Paese che voglia tornare a crescere in maniera sana.