Il messaggio della Cei per la Giornata del 2 febbraio. Aprite le porte alla vita


L’Osservatore Romano 

I rifiuto di «ogni forma di aborto, abbandono, maltrattamento e abuso» e l’invito a promuovere «l’uguale dignità di ogni persona». È quanto, in sostanza, è contenuto nel messaggio che la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha diffuso in vista dell’annuale Giornata nazionale per la vita in programma il 2 febbraio prossimo. Il testo, dal titolo “Aprite le porte alla Vita”, è stato diffuso come di consuetudine con largo anticipo per consentire alle comunità di approfondire la riflessione e promuovere le opportune iniziative che da sempre caratterizzano la celebrazione della Giornata, che nel 2020 segnerà la sua 42aedizione.
«Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?»: parte da questo versetto evangelico (Matteo, 19,16) il messaggio, firmato dal Consiglio episcopale permanente, che si presenta suddiviso in tre paragrafi: “desiderio di una vita sensata”; “dalla riconoscenza alla cura”; “ospitare l’imprevedibile”. «La vita — spiegano i presuli — non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte». Tuttavia è solo vivendo l’esperienza della “riconoscenza” che è possibile spalancare le porte alla vita che nasce. Da qui, il testo riporta le parole di Papa Francesco quando afferma che: «Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato».
Il messaggio dei vescovi sottolinea come «non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati» e affronta con estrema attenzione il rifiuto di qualsiasi forma di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso esortando le comunità e i singoli individui a promuovere l’uguale dignità di ogni persona. «Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza — si legge nel testo — potremo aprire la porta agli altri viventi». Da qui, nasce l’impegno «di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia». 
Secondo i presuli, «la cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il creato».
Il messaggio della Cei, inoltre, esorta tutti a lasciarsi coinvolgere e partecipare con gratitudine a «ospitare l’imprevedibile». «Incrementando la fiducia, la solidarietà e l’ospitalità reciproca potremo spalancare le porte ad ogni novità e resistere alla tentazione di arrendersi alle varie forme di eutanasia. L’ospitalità della vita — sostengono — è una legge fondamentale: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare». L’episcopato conclude affermando che «non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità».
L’Osservatore Romano, 30 novembre – 1° dicembre 2019