Il malato viene sempre prima. Riumanizzare la medicina oltre la spersonalizzazione

Riumanizzare la medicina oltre la spersonalizzazione
da Avvenire

In medicina è molto vivo oggi il problema sollevato dalle medical humanities, che avanzano il bisogno di coniugare le scienze e le tecnologie mediche con i saperi umanistici e comportamentali, al fine di rispondere alle sfide del riduzionismo antropologico e contrastare le derive del fisicalismo, del tecnicismo, dell’aziendalismo, e dare così un ri-orientamento umano e umanizzante al pensare e operare medico. Se n’è fatto voce autorevole il Convegno che si è recentemente tenuto alla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma: ‘Curare con il Cuore. Riflessione sulla riumanizzazione delle cure’.

A partire da uno sguardo critico su tali sfide e derive, il Convegno ha tracciato le prospettive di senso, di orientamento e di scopo verso cui muoversi. Il progresso della medicina in questi ultimi 30 anni ha portato a traguardi considerevoli, sia in termini di guarigione che di qualità della vita nei pazienti affetti da malattie croniche e invalidanti. Il contributo di questo progresso è visibile anche nell’invecchiamento progressivo della popolazione, che si riassume con lo slogan ‘si vive meglio e più a lungo’.

Questo progresso è stato favorito dai successi della ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica in tutti i campi delle scienze biomediche, con un progressivo ed esponenziale incremento dei costi che sta condizionando la sostenibilità di un’assistenza sanitaria gratuita per tutti. In questo contesto sociale e finanziario, i sistemi organizzativi sanitari si sono evoluti, sotto la spinta dell’efficientamento economico, verso un’organizzazione centrata sull’ospedale e non sul paziente, che si trova a vivere un percorso di cura frammentato e spesso senza chiari riferimenti a chi lo cura. Frammentazione e smarrimento accresciuti dall’estrema specializzazione della medicina, che distorce lo sguardo dal malato sulla malattia: dal malato, che è ‘qualcuno’ da incontrare e accompagnare, alla malattia, che è ‘qualcosa’ da sottoporre a controlli e protocolli.

In un contesto di cura centrato sull’ospedale iperspecialistico e aziendalizzato, il malato sviluppa un elevato tasso di ansia e depressione, lesivi della dignità di persona e nocivi per la guarigione. Le patologie e l’ospedalizzazione si correlano frequentemente alla sofferenza psicologica e spirituale. L’esperienza di malattia infatti, associata al ricovero, è delineabile come una circostanza ad alto impatto stressogeno e può essere accompagnata da stati di disorientamento, turbamento e percezioni di depersonalizzazione, a causa della stessa situazione sanitaria, dell’allontanamento dall’ambiente familiare e vitale e dall’affiorare e imporsi di interrogativi esistenziali. Di qui l’esigenza di una riumanizzazione della medicina, volta a ritrovare il carattere umano che le è proprio, ponendo al centro dei percorsi di cura la persona, in un approccio olistico che polarizzi l’attenzione sulla totalità inscindibile delle componenti fisica, emotiva, spirituale e sociale.

Una medicina della con-discendenza, che rimuove e appiana distanze e divari medico-malato. Il medico si fa prossimo del malato, in una relazione terapeutica scandita da empatia, compassione e consolazione: il trittico della misericordia – il cuore che si china sulla miseria umana – cui ci richiama insistentemente papa Francesco. Relazione di ‘empatia’ ( en-pathos), che porta a immedesimarsi con il sentire e soffrire del malato; di ‘compassione’ ( cum-passio), che lo prende con sé, ne condivide il patire; di ‘consolazione’, che gli dona ilsolatium, il beneficio cioè e il sollievo della medicina. Questa è una medicina che coniuga insieme umanità ed efficienza: un curare che non solo non toglie nulla all’efficienza, ma ne accresce l’efficacia.

È una medicina altresì sostenibile, perché a costo zero e l’impiego di risorse che richiede è ampiamente ripagato. È una medicina tuttavia che fa presa sulle risorse valoriali dei soggetti, che comporta una mens nova, che esige una metanoia: una conversione in radice del pensare e operare medico. Una conversione spirituale e morale che comincia ‘dentro’, nella interiorità delle coscienze, dalle cui profondità trabocca ‘fuori’, in ogni ambito del decidere e agire medico: relazionale, progettuale, gestionale, strutturale, istituzionale.