Il Libro della Sapienza

di: Roberto Mela

commentario

Finalmente anche in italiano l’opus magnum di un grande esperto di Libri Sapienziali, docente al Pontificio Istituto Biblico e alla Facoltà teologica dell’Italia centrale. Con variazioni non piccole rispetto all’edizione tedesca (2018) e inglese (2019), Mazzinghi, già presidente dell’Associazione biblica italiana, presenta la sua opera, frutto di decenni di insegnamento, del lavoro di dottorato su Sap 17,1–18,4 e di numerosi studi su specifiche pericopi, pubblicate in riviste specializzate a livello internazionale, ma anche in alcune di alta divulgazione.

Nel presentare il libro della Sapienza ci avvaliamo dell’ampia introduzione al commentario preparata dall’autore (pp. 7-54).

Un Libro fra due mondi

Il libro della Sapienza ha conosciuto una forte rivalutazione negli ultimi vent’anni. Dopo i monumentali lavori di C. Larcher (3 voll., Paris 1983-1985) e di G. Scarpat (3 voll., Brescia 1989-1999), Mazzinghi considera il suo studio un lavoro «ben più sintetico» (p. 6). Ciò che è stato acquisito negli ultimi anni è stata in primo luogo la scoperta dell’accurata struttura letteraria del libro, tramite la quale l’autore comunica un preciso messaggio teologico (cf. i lavori di M. Gilbert, pater del dottorato di Mazzinghi, e di P. Bizzeti).

In secondo luogo, si è percepita la profondità con la quale l’autore di Sapienza si pone come ponte di dialogo fra il mondo giudaico e quello ellenistico, arricchito da una conoscenza più esatta del contesto storico di Alessandria d’Egitto, seconda città dell’impero romano nel cui ambito fu composto il libro della Sapienza. Mazzinghi dedica, infine, una maggiore attenzione alla prospettiva teologica propria dell’autore del libro biblico, presente e riscoperta negli anni Novanta in Sap 10–19.

Caratteristica fondamentale del volume di Mazzinghi è quella di essere un commentario che, all’analisi esegetica vera e propria, cerca di unire altri tre fattori importanti: la struttura e il genere letterario, il rapporto con il mondo biblico giudaico e con l’ellenismo, la prospettiva teologica propria dell’autore.

Il commentario è così strutturato: Introduzione generale (pp. 7-54); Introduzione alla prima parte (Sap 1,1–6,25, pp. 55-280), Introduzione alla seconda parte (Sap 7–9, pp. 281-408); Introduzione alla terza parte (Sap 10–19, pp. 409-758); Bibliografia sul libro della Sapienza (pp. 759-790; Commentari: pp. 759-760; Studi generali: pp. 760-785; Altri studi: pp. 786-789); Indice dei termini greci (pp. 791-800); Indice delle citazioni bibliche (pp. 801-814); Indice degli altri testi della letteratura antica (pp. 815-828).

Ogni pericope esaminata si apre con l’indicazione di una bibliografia specifica, a cui seguono la presentazione della struttura letteraria, il testo in traduzione personale, alcune note testuali e filologiche, il commento (versetto per versetto). A conclusione delle sezioni maggiori, Mazzinghi introduce un paragrafo (“Sintesi”) che riassume i dati teologici principali presenti nel testo.

Caratteristiche letterarie e novità del libro della Sapienza

Per quanto riguarda la lingua, il libro della Sapienza è stato scritto direttamente in greco. Il greco è la lingua del testo originale e non un greco di traduzione da un presunto testo originale in ebraico.

Come autore si è pensato a Filone, a Ben Sira o a suo nipote. L’identificazione precisa è impossibile. Si tratta con ogni probabilità di «un anonimo giudeo alessandrino di lingua greca, profondo conoscitore della Scrittura, ben ancorato nella tradizione dei Padri, ma, allo stesso tempo, legato all’ambiente culturale ellenistico che caratterizzava la città di Alessandria» (p. 24).

Per la datazione si è pensato all’epoca di Caligola, ma gli indizi interni al testo conducono a confermare una datazione piuttosto durante l’epoca di Ottaviano Augusto, cioè tra il 30 a.C. e il 14 d.C. In Sap 6,3 è presente il termine tecnico kratesis (“sovranità”), che indica la presa di possesso dell’Egitto da parte dei romani nel 30 a.C., dopo la vittoria di Azio. Il termine scomparve dopo il 14 d.C. e quindi il 30 a.C. va considerato non solo come terminus a quo, ma anche come terminus ad quem. 

Da Sap 19,13-17 traspare il fatto che i giudei alessandrini non godessero della pienezza dei diritti civili e lottassero contemporaneamente per l’integrazione e per il riconoscimento della propria peculiarità. I giudei di Alessandria vogliono essere allo stesso tempo cittadini e differenti. Anche se non è certa l’esistenza di un politeuma giudaico, al dire di Flavio Giuseppe e di Filone sembra che i giudei lottassero per ottenere la isopoliteia, intesa non come piena equiparazione di condizione giuridica a quella dell’elemento greco, ma consistente nel potersi regolare secondo le leggi ancestrali e, allo stesso tempo, di poter godere di privilegi propri dei cittadini, primo fra tutti l’esenzione dalla laographia (la tassa pro-capite voluta da Augusto nel 28-27 a.C. Problema ben riflesso in Sap 19,13-17.

L’autore di Sapienza propone un giudaismo consapevole della sua peculiarità, ma che, nello stesso tempo, cerca una certa integrazione. Si tratta per lui di restare in buon rapporto con i greci, pur rimanendo fedeli alla propria Legge. «C’è senz’altro dell’idealismo in questa posizione», afferma Mazzinghi (p. 28). 3Macc sostiene da parte sua una linea ben più intransigente.

Circa il luogo di composizione, si pensa che Sapienza sia stata redatta con ogni probabilità ad Alessandria, la seconda città dell’impero romano e sede di un’importante e numerosa comunità di giudei della diaspora fin dal 302 a.C. La figura degli empi di Sap 2 ben si spiega se collocata sullo sfondo della vita culturale di Alessandria. Le sue istituzioni, con la presenza della Biblioteca e del Museo, la collocavano come un crocevia culturale e religioso. Pur in presenza di lamentele per i privilegi accordati ai giudei e di una iniziale opposizione al giudaismo, Filone ricorda – forse esagerando – che, alle soglie del I sec. a.C., due quartieri su cinque della città erano abitati dai giudei (cf. Flacc., 5).

L’unità del libro è testimoniata dall’accurata struttura letteraria rinvenuta da molti autori, alla presenza di numerosi temi e motivi comuni a tutto il libro e a numerosi flahbacks, con la ripetizione di parole o gruppi di parole e significati all’interno delle varie parti del libro.

Tema comune a tutto il libro è quello della giustizia, oltre a quello della sapienza necessaria per acquisirla, che emerge come tema dominante. In ogni caso il giudizio di Dio punirà gli empi, gli idolatri in particolare, mentre apporterà salvezza ai giusti.

Altro tema pervasivo è quello del cosmo. Dio ha creato tutto per la vita. La sapienza, artefice del mondo, è il punto di contatto tra Dio e l’uomo a motivo della sua presenza nel cosmo stesso. Molto intrigante e attualissima per i nostri giorni è la convinzione che il cosmo stesso interverrà come strumento a fianco di Dio per premiare i giusti e punire i malvagi (5,17-20). Sapienza si conclude con la visione di una creazione rinnovata (19,18-21).

Circa la lingua e lo stile va annotato che il greco utilizzato è molto particolare e rivela la singolarità dell’autore: ben 1.303 vocaboli appaiono una sola volta (335 di questi sono apax legomena, appaiono cioè una sola volta in tutto il testo greco della LXX). Molti termini tradiscono un vocabolario dotto di carattere filosofico, medico, poetico, scientifico.

Lo stile è profondamente greco ma molto diverso dagli altri libri della LXX. Lo stile della retorica classica emerge in relazione all’ordine delle parole, all’uso delle sentenze periodiche ben curate, all’uso dell’hyperbaton per mettere in rilievo un determinato termine. L’autore conosce bene le figure classiche della retorica: la metafora (cf. 17,1–18,4), la litote (sostituzione di un termine con la negazione del suo antonimo/contrario per rafforzare il significato; cf. 1,2a; 1,11b, ecc.), l’anafora (ripetizione di una stessa parola o gruppi di parole all’inizio delle proposizioni o clausole successive), la paronomasia (ripetizione della stessa radice lessicale con diverse funzioni sintattiche).

Sono presenti giochi di parole, l’isocolia, l’antitesi, la accumulatio (di termini appartenenti alla stessa categoria), l’asindeto (parole o frasi non unite da congiunzioni), homoioteleuton (ripetizioni delle stesse sillabe finali di parole poste in successione ininterrotta, qui in stichi successivi), la sorite (catena di sillogismi, cf. 6,17-20). È presente, infine, l’uso di clausole che richiama la metrica classica. Lo stile curato e la vicinanza alla retorica e alla poesia non sono fini a se stessi, ma rendono il libro seducente ai giudei che si sentivano attratti dal mondo greco. La tradizione giudaica è riproposta in linguaggio nuovo. La forma è in ogni caso correlata alla sua funzione principale, quella di trasmettere un messaggio ben chiaro.

Il genere letterario caratteristico di Sapienza è il genere epidittico o “dimostrativo”. Dalla retorica classica è definito come un discorso che si muove nel presente e ha lo scopo di lodare una determinata virtù o di biasimare qualche vizio. Ha carattere pedagogico e si rivolge soprattutto ai giovani, cercando di persuaderli attraverso la forza della dimostrazione e, soprattutto, tramite l’encomio della virtù che si intende elogiare (in Sap si allude alla giovinezza e alla regalità, il che presuppone un pubblico giovane).

L’encomio classico si apre con un esordio in cui si esortano gli ascoltatori a seguire una determinata virtù (cf. Sap 1 e 6), si confutano gli avversari (cf. Sap 2 e 5), opponendo ad essi degli esempi di coloro che hanno vissuto quella stessa virtù (cf. Sap 3 e 4).

L’encomio classico prosegue con l’elogio propriamente detto nel quale si celebra la virtù oggetto del trattato. In Sap si mette in luce l’origine della sapienza e la sua natura (cf. Sap 7–8) e le sue opere (cf. Sap 10. La parte finale dell’encomio classico è costituita dalla sygkrisis / comparatio. L’oratore cerca di convincere gli ascoltatori della bontà della sua tesi con una serie di esempi tratti dal passato, ricorrendo non di rado a digressioni relative a temi apparentati a quello principale (cf. Sap 10–19).

L’encomio si concludeva con un epilogo ricapitolativi degli argomenti e con una conclusione generale (cf. Sap 19,10-22).

Sapienza presenta importanti novità a livello teologico: una forte prospettiva escatologica, che comprende l’annuncio della sorte futura dei giusti e degli empi, che conosceranno una sorte ben misera rispetto all’immortalità che attende i primi (Sap 1–6). Il libro abbraccia una visione del passato di Israele al quale si richiama la parte finale del libro (Sap 10–19). In essa l’escatologia si collega alla storia attraverso il ruolo del cosmo.

Al centro nevralgico del libro sta certamente l’elogio della sapienza (Sap 7–9), mediatrice tra Dio e l’uomo.

Struttura del libro della Sapienza

Il libro della Sapienza è connotato in modo decisivo dal genere letterario dell’encomio della sapienza. Vediamone lo sviluppo concreto.

Sap 1,1–6,25 ne costituisce l’exordium, articolato in una precisa struttura concentrica. All’esortazione inziale all’ascolto rivolto ai “governanti” (A, 1,1-5) segue la descrizione del progetto di vita degli empi (B, 1,6–2,24). In C (3,1–4,20) quattro dittici antitetici mettono in rilievo la sorte finale differente del giusto e dell’empio. Un bilancio finale degli empi (B’, 5,1-23) descrive la loro infelice sorte nel giudizio, mentre 6,1-21(A’) contiene l’esortazione conclusiva ai “governanti” perché seguano la sapienza. Sap 6,22-25 è un vero e proprio proemio all’elogio stesso. Esso conclude la prima parte e apre la seconda, annunciando che in essa si parlerà della sapienza, in concreto della sua natura (cf. 7,22b-23), della sua origine (cf. 7,25-26) e delle sue opere (cf. 7,27–8,1).

I giusti appaiono come personaggi passivi e trovano la morte. Gli empi invece sono attivi, ma con ragionamenti totalmente errati. Novità di Sapienza è prospettare la vita eterna per i giusti. L’immortalità donata a loro costituisce la sconfitta degli empi, destinati al fallimento. I destinatari del libro – giudei alessandrini – sono invitati dall’autore a seguire la via della giustizia e a imparare la sapienza, per trovare la vita. Giustizia, sapienza e vita sono una triade che percorrerà tutto il libro.

Sap 7–9 costituisce la seconda parte del libro. Protagonista assoluta ne è la sapienza. In Sap 7–9 essa viene presentata tramite un testo unitario posto in bocca a un personaggio fittizio, che il lettore intuisce essere il re Salomone, mentre in Sap 9 – il cuore del libro – viene riportata la preghiera di “Salomone” per ottenere il dono della sapienza.

All’interno dell’encomio della sapienza, Sap 7–8 costituisce la lode vera e propria (l’“elogio” secondo la definizione di autori come P. Beauchamp, M. Gilbert e P. Bizzeti). Cinque strofe descrivono con una struttura concentrica in primo luogo la debolezza di “Salomone” (A, 7,1-6), che forse intende tradire retoricamente la coscienza dell’autore di essere inadeguato a parlare dell’oggetto dell’elogio. Grazie alla sapienza, ogni uomo può però diventare re (democratizzazione della monarchia). Sap 7,7-12 (B, “Amare la sapienza”, con tema la superiorità della sapienza su tutti i beni desiderabili da un re) e 7,13-22a (C, “I doni della sapienza”, con il tema della superiorità dei doni della sapienza rispetto a quelli proveniente dalla cultura), costruiscono uno sviluppo autobiografico in cui si trovano presenti altri elementi circa la natura, le proprietà, le caratteristiche e l’opera della sapienza.

In 7,7-12 si segue la topica del genere di vita, ossia della “scelta” del valore che è oggetto dell’elogio compiuta dalla persona che viene presentata come esempio, in questo caso Salomone. Con l’inatteso sviluppo autobiografico l’autore intende innanzitutto rendere attraente il discorso sulla sapienza ai giovani giudei destinatari del libro. Egli riprende, inoltre, elementi propri non solo dell’elogio della virtù o di una divinità, ma anche dell’elogio di una persona che ben corrispondono alla topica dell’elogio descritta nelle opere di Menandro il Retore.

Al centro di Sap 7–9, la quarta strofa (D, 7,22b–8,1 “La natura della sapienza”) ha per tema la natura, l’origine e l’azione della sapienza. La sapienza appare superiore ai beni tipici del re. Ventuno attributi della sapienza sono seguiti da cinque espressioni metaforiche relative alla natura della sapienza. Di essa viene descritta l’onnipotenza e si rammenta l’amore di Dio per coloro che ne sono abitati. La sapienza è come la luce ed essa è presente nel creato.

La quinta strofa (C’, 8,2-9 “La sapienza sposa, amica, consigliera”, con tema la superiorità della sapienza e la sua natura sponsale) ricorda come Salomone abbia deciso di prendere la sapienza come sposa e, insieme, come consigliera e amica. Essa è superiore ai beni creati, in quanto essa è “artefice/technitis” (cf. 8,6). Nella sesta strofa (B’, 8,10-16 “Ancora sui doni della sapienza”, con tema la superiorità dei doni della sapienza su quelli che un re può desiderare) Salomone descrive in una sorta di monologo interiore le proprie attese e le proprie speranze in relazione all’aver accolto la sapienza: fama e potere regale, ma soprattutto l’immortalità (athanasia). La sesta e ultima strofa (A’, 8,17-21 “Pregare per ottenere la sapienza”, con tema la debolezza di Salomone) ricorda come Salomone abbia pregato per ottenere la sapienza.

La sapienza ha un ruolo attivo nel creato e nelle persone: “madre/genetis”, in 7,12; “artefice/techinitis, in 8,6. La sapienza che è presso Dio viene comunicata in tal modo a Salomone.

Sap 9 non è tanto un inno alla sapienza, alla sua origine, alla sua natura e alle sue opere, ma – e questo è un tratto originale del libro – contiene la preghiera elevata da Salomone a Dio per ottenere la sapienza. L’autore si serve del genere letterario epidittico, greco, ma il contenuto è profondamente biblico, in quanto lo stile è giudaico, quello proprio del midrash. 

Sap 9 è il centro letterario del libro. Un autore parla di una mise en abîme che racchiude in sé l’intera opera. Per questo ne riportiamo per intero la struttura rinvenuta da Mazzinghi.

Il capitolo presenta una doppia struttura concentrica, con tre strofe.

9,1-6 prima strofa: A 1-3 l’opera della sapienza (creazione); B 4 preghiera per ottenere la sapienza; C 5-6 debolezza dell’essere umano;

9,7-12 seconda strofa: D 7-8 Salomone re, giudice e costruttore; E 9 la sapienza accanto a Dio; E’ 10c-11 la sapienza accanto a Dio e all’uomo; D’ 12 Salomone costruttore, giudice, re;

9,13-18 terza strofa: C’ 13-16 debolezza dell’uomo; B’ 17 Dio dà la sapienza e lo spirito; A’ 18 l’opera della sapienza (salvezza).

Sap 10–19 costituisce la terza parte del libro. Dopo l’elogio della sapienza (Sap 7–8) che si chiude con la preghiera per ottenere la sapienza stessa (Sap 9), al centro del libro l’autore introduce, secondo lo stile dell’encomio, una serie di esempi presi dalla storia, positivi e negativi, che sorgono a illustrare la sua tesi di fondo. Questo è il senso delle liste di Sap 10, un capitolo che costituisce un ponte tra l’elogio della sapienza propriamente detto (Sap 7–9) e le sette antitesi di Sap 10–19.

A partire da Sap 10,15 inizia la rilettura degli eventi dell’esodo che, dopo l’introduzione di 11,1-4, trova il suo principio esplicativo in 11,15 (ripreso in 11,16) e il suo primo esempio antitetico. Recita Sap 11,5: «Ciò che servì infatti per punire i loro nemici, nelle difficoltà fu per loro un beneficio». Sap 11,16 conferma il principio: «perché sapessero che si è puniti per mezzo di ciò con cui si pecca».

Secondo lo stile dell’encomio, l’autore introduce, a partire da 11,15, due ampie digressioni. La prima (11,15–12,27) ha per tema la filantropia di Dio. La riflessione sulle piaghe d’Egitto porterà infatti l’autore a un’ampia trattazione teologica sulla moderazione divina nei confronti degli uomini. La seconda (13–15) si occupa invece dell’idolatria, considerata come l’opposizione più radicale concepita dagli uomini al progetto di salvezza di Dio.

Uno schema molto generale della terza parte del libro della Sapienza può essere così delineato:

Sap 10: la sapienza in azione nella storia
Sap 11,1-5: introduzione ai setti dittici
Sap 11,6-14: primo dittico: acqua del Nilo / acqua dalla roccia
Sap 11,15: presentazione dei due dittici successivi
* 11,15–12,27: prima digressione; la filantropia divina
* 13–15: seconda digressione; l’idolatria
Sap 16,1-4: secondo dittico: rane / quaglie
Sap 16,5-14: terzo dittico: tafani e cavallette / serpente di bronzo
Sap 16,15-29: quarto dittico: pioggia e grandine / manna
Sap 17,1–18,4: quinto dittico: tenebre / luce
Sap 18,5-25: sesto dittico: morte dei primogeniti / salvezza d’Israele
Sap 19,1-5: settimo dittico: annegamento nel Mar Rosso / passaggio del mare
Sap 19,6-12: il passaggio del mare e la creazione al servizio dei figli di Dio
Sap 19,13-17: egiziani e sodomiti. I diritti civili dei giudei di Alessandria
Sap 19,18-21: La creazione rinnovata e la conclusione del libro.

Encomio e midrash. Tra giudaismo ed ellenismo

Il libro della Sapienza è caratterizzato da uno stile midrashico. L’autore si pone infatti come ponte di inculturazione della sapienza giudaica all’interno del mondo culturale e religioso dell’ellenismo. L’encomio della sapienza non loda – come è tipico della cultura greca – una virtù umana, ma chiede a Dio in preghiera la sapienza divina. Lo sfondo del libro rimane sempre la Scrittura ebraica, riletta e riproposta dall’autore attraverso la lente delle cultura ellenistica del tempo. L’autore colora il genere letterario dell’encomio con quello del midrash, un modo di procedere tipico della letteratura giudaica.

Mazzinghi afferma che il midrash può essere descritto genericamente come «un atteggiamento, un modo di pesare che si traduce in un modo di scrivere, in uno stile proprio del giudaismo che caratterizza l’approccio che esso ha verso la Scrittura. Midrash è la “ricerca” del senso della Scrittura che parte dalla convinzione che essa sia contemporanea ai suoi lettori e che conservi una perenne attualità; tale attualità gli autori del midrash si sforzano di ricercare, calando il testo biblico nella situazione che essi e i loro ascoltatori vivono. La percezione dell’unità della Scrittura e della sua perenne attualità per chiunque l’ascolti costituiscono perciò i tratti peculiari di ogni commento midrashico, che dunque ha un carattere insieme popolare e omiletico» (p. 22). L’autore crea in tal modo una «sonorizzazione della storia» (R. Le Déaut).

La genialità dell’autore di Sapienza è aver espresso in forma letteraria ellenistica un contenuto profondamente giudaico, rendendolo accessibile ai suoi ascoltatori. «Nel libro della Sapienza troviamo una sorta di midrash greco sulle Scritture d’Israele» (p. 23).

L’autore usa ampiamente le Scritture sacre

Nella prima parte del libro (Sap 1–6) tiene presente gli interrogativi di Giobbe e di Qohelet. Sulla scorta di un’ardita rilettura di Gen 1–3, meditando sulla giustizia di Dio, nel giudizio finale viene prospettata l’incorruttibilità per i giusti e una triste sorte per gli empi. Circa la sofferenza del giusto vengono ripresi temi del Sal 22 e, per il giudizio positivo, i testi escatologici di Sal 2, Dn 7 e 12, Is 59,16-17.

Nella seconda parte del libro (Sap 7–9) si rimanda alla preghiera di Salomone per ottenere la sapienza (1Re 3,1-5 e 2Cr 1,7-12). La presentazione della sapienza in Sap 7–8 risente di Pr 8,22-30.

Nella terza parte (Sap 10–19) la lista dei giusti si rifà a Genesi e a Esodo e ricorda l’elogio degli antenati di Sir 44–50. Le sette antitesi seguono da vicino le tradizioni esodiche (Es e Nm) e anche le loro riletture in Sal 78; 105 e 107. Nella prima digressione sulla filantropia di Dio ci si rifà a storie del Pentateuco e di Giosuè, mentre nella seconda – sull’idolatria – risalta l’uso di testi contro gli idoli tipici di Is 40–55 (cf. in particolare Is 44,9-20) e anche Sal 113,1-16.

La sezione conclusiva (Sap 19,10-22) è un’ardita rilettura dei racconti esodici alla luce del racconto della creazione (Gen 1,1–2,4). Questo serve all’autore per mostrare lo stretto legame tra salvezza e creazione. Il futuro è segnato dalla fede in una creazione rinnovata.

Gli studiosi fanno notare, inoltre, come il libro della Sapienza sia profondamente inserito non solo nella tradizione biblica, ma anche nella tradizione giudaica del tempo: parti dei libri di Henoc (ad es. l’Epistola di Henoc, 1Hen 91–105), i manoscritti di Qumran (con i quali condivide i temi della dimensione escatologica, della gloria dei giusti e della punizione dei malvagi, l’idea della risurrezione, quella del “mistero” divino rivelato).

I testi più vicini sono quelli appartenenti al filone sapienziale/apocalittico (Istruzioni sapienziali e i Libro dei misteri). L’autore conosce anche le tradizioni giudaico-palestinesi, a noi note dalla letteratura targumica, midrashica e rabbinica dei secoli successivi. Mostra, inoltre, contatti con il giudaismo di lingua greca, in modo particolare con la letteratura giudeo-alessandrina. Sapienza non segue però la linea interpretativa allegorica tipica di Filone (Alessandria 25 a.C. – Alessandria 45 d.C. circa) e non sembra conoscere il suo metodo. L’autore rilegge gli eventi esodici con il filtro della teologia sapienziale della creazione e all’interno di una prospettiva di chiaro stampo escatologico e si lascia segnare molto meno dalla filosofia greca di quanto lo faccia Filone. Nel libro è assente la dottrina platonica sulle idee e la riflessione filoniana sulle potenze di Dio.

Strategia: fra antropocentrismo e teocentrismo

Il rapporto di Sapienza con la filosofia greca è profondo e l’autore è ben più di un eclettico.

Il platonismo trapela in Sap 8,19-20 e 9,15. Nell’elogio della sapienza l’autore si serve di categorie stoiche. L’idea stoica del pneuma cosmico lo aiuta a descrivere la presenza della sapienza nel mondo. L’idea di nomos presente in Sap 18,4 richiama la concezione stoica. In 13,1-9 la polemica contro i filosofi rivela un approccio non del tutto negativo allo stoicismo. La regalità (cf. 1,1) è una categoria stoica, mentre ai trattati neopitagorici possono essere fatte risalire le affinità con il tema della regalità (cf. 6,1-21) o il ricorso alla categoria della “filantropia”, ben nota al mondo ellenistico (cf. Sap 1,6).

L’autore rivela un approccio positivo e profondo al mondo letterario greco: cf. l’encomio, lo stile, il vocabolario. Egli si serve di idee circolanti per esprimere agli ascoltatori greci la concezione relativa alla sapienza di Israele.

Egli conosce e polemizza anche contro il mondo religioso alessandrino: il culto imperiale (cf. Sap 14,16b-21), i culti misterici (cf. Sap 2,21-22; 9, 4.9-10; 14,1-10; 17,1–18,4 ecc.). La sapienza descritta in Sap 7–9 ha una veste isiaca (relativa cioè a Iside, divinità egizia), che può attirare gli ascoltatori greci e rivitalizzare la figura dei padri in una veste più familiare al pubblico greco e giudaico alessandrino. Duro è invece il giudizio emesso dall’autore contro la magia (cf. Sap 12,4 e 17,1–18,4).

Particolarmente nuova è la proposta di Sapienza sull’escatologia rispetto a quella espressa nelle iscrizioni funerarie dei giudei ellenizzati ritrovate a Leontopoli. Esse esprimono una generica credenza in una qualche forma di sopravvivenza nell’Ade, un lamento amaro sulla vita che sfugge, l’accettazione della morte come un fatto compiuto. Esse non distinguono la sorte finale del giusto e dell’ingiusto e rimpiangono spesso la morte immatura. La morte è il problema della vita, il tono è triste e senza tematiche specificamente giudaiche. Sapienza inserisce invece la morte nel progetto di Dio e distingue accuratamente i destini dei malvagi e quello dei giusti.

Sapienza non è una pura apologia del giudaismo di fronte a un mondo che lo accusava di essere asociale (apanthrōpos) e ostile verso gli stranieri (misoxenos). La differenza fondamentale tra il mondo greco e quello ebraico è l’antropocentrismo caratteristico della sua paideia, contrapposto al teocentrismo tipico di Israele. «Dio, autore dell’universo, è unico con il suo principio di ordine e di ragione del cosmo, che è la sapienza […] il libro della Sapienza descrive il Dio biblico, trascendente e Creatore alla luce del Logos immanente dello stoicismo» (p. 48).

L’autore di Sapienza ha un’ispirazione prima di tutto biblica. Egli non mette mai sullo stesso piano ellenismo e rivelazione biblica. Tuttavia si rivolge ai giovani alessandrini perché non tradiscano la loro fede, ma la esprimano nel loro contesto di vita culturale greco e cosmopolita. L’uso che Sapienza fa dell’ellenismo è «strategico» (J.M. Reese). L’autore è realmente aperto alle proposte del mondo greco, ma queste sono inserite nel quadro della tradizione di Israele. È la Legge di Israele la luce del mondo (cf. 18,4) e i filosofi, per quanto solo «leggermente da biasimare», non sono riusciti a trovare Dio (cf. 13,1-9).

Secondo l’autore, i valori della paideia greca sono bene presenti e riassunti nella fede di Israele fondata sulle Scritture.

Non va dimenticato peraltro, come ricorda Mazzinghi in un suo recentissimo articolo sul tema corpo e anima in Sapienza – redatto per la rivista biblica dehoniana semestrale Parola Spirito Vita – che l’uso di una terminologia greca da parte dell’autore non copre necessariamente tutta l’area semantica dei termini ebraici che intende esprimere in quel momento. La terminologia greca viene utilizzata, ma non sposata in pieno. L’ermeneutica che se ne deve fare deve tenere presente la predominante connotazione ebraica propria del pensiero dell’autore e quindi – in questo caso – non bypassare la sua concezione olistica dell’essere umano tipica della Bibbia, che mai si piega a un dualismo anima-corpo caratteristico invece della riflessione greca.

Il testo di Sapienza è estremamente attuale perché, reagendo alla tendenza del giudaismo alessandrino a chiudersi in se stesso, prende sul serio la cultura ellenistica e la utilizza per far progredire la comprensione della rivelazione. Il grande esperto belga dei libri sapienziali M. Gilbert – maestro di varie generazioni di esegeti al PIB di Roma – si spinge a parlare per questo di una vera e propria «inculturazione» attuata dall’autore di Sapienza.

Canonicità e rapporto con il Nuovo Testamento

Dopo un lungo periodo di scetticismo, attualmente si è più inclini a intravedere un uso di Sapienza all’interno degli scritti paolini e giovannei. Sap 13,1-9 è accostabile a Rm 1,18-23. Per il grande esegeta degli scritti paolini S. Lyonnet, Rm 1 è confrontabile con la visione del paganesimo presente in Sap 13–15, così come la rilettura paolina degli eventi dell’Esodo in 1Cor 10,1-4 è accostabile al metodo midrashico presente in Sap 11–19. 1Ts 5,1-11 mostra possibili contatti con il quinto e il sesto dittico di Sapienza (Sap 17,1–18,4 e 18,5-25).

Sembra quindi che Paolo abbia realmente conosciuto il libro della Sapienza.

I prodigi esodici operati dalla sapienza (ricordati in Sap) sono modelli dei segni operati da Gesù secondo Giovanni. I segni esodici sono ripresi da Sap e Gv nello stesso ordine: il segno delle nozze di Cana (2,1-11) richiama il tema della sete (Sap 11,4-14); Gv 4,43-54 e 5,1-9a hanno al centro il tema della guarigione (cf. il terzo dittico in Sap 16,4-14); il dittico della manna 8Sap 16,15-28) trova una corrispondenza in Gv 6 (il pane di vita). Il dittico delle tenebre (Sap 17,1–8,4) può essere messo in relazione con Gv 9 (il cieco nato); Gv 11 (la rivivificazione di Lazzaro), corrisponde a Sap 18,5-25 (la morte dei primogeniti e la salvezza degli israeliti). Sia per Sapienza che per Giovanni i fatti storici divettano simbolici, segni di realtà spirituali ed escatologiche.

Conclude Mazzinghi: «È certo possibile ipotizzare l’esistenza di una trazione midrashica comune, ma è altrettanto legittimo pensare che il Vangelo di Giovanni abbia conosciuto e utilizzato il libro della Sapienza» (p. 51).

Sapienza è un libro deuterocanonico, ma è stato conosciuto e utilizzato dai padri della Chiesa come Scrittura considerata ispirata (Ireneo, Cipriano, Eusebio). Sembra essere il libro deuterocanonico più utilizzato nei primi tre secoli dell’era cristiana. Anche nel mondo giudaico antico non sembra aver incontrato opposizioni eccessive, anche se non fu accolto come testo canonico. Sapienza è entrato quindi solo in un secondo tempo nella lista normativa dei libri ispirati riconosciuti dalla Grande Chiesa. Oppositori alla sua canonicità furono Cirillo di Gerusalemme, Atanasio e Girolamo.

Il frammento muratoriano sembra indicare uno status non canonico di Sapienza, Agostino difese invece con forza la canonicità di Sapienza appellandosi alla tradizione apostolica, all’uso liturgico e alla continuità della tradizione ecclesiale. Per lui il libro della Sapienza è un trattato teologico, cristologico, pneumatologico. In una sua lettera del 405, papa Innocenzo I nel 405 condivide la linea di Agostino.

Il giudizio negativo di Girolamo su Sapienza pesò a tal punto che solo nel Concilio di Trento, nel 1546, il testo fu annoverato nella lista di libri che verranno poi detti deuterocanonici. I Lezionari del rito romano utilizzano ampiamente Sap. Le Chiese ortodosse non si sono mai pronunciate sulla canonicità di Sapienza, ma includono il libro nelle loro edizioni della Bibbia, vista la sua appartenenza alla LXX. Lutero si limitò al canone ebraico e quindi le Chiese della Riforma escludono Sapienza dal canone, pur circondandolo di grande stima.

A p. 51 r 8 sembra si debba leggere Israeliti e non Egiziani; p. 53 r 2 leggi Sapienza; p. 834 r -8 leggi Sintesi di Sap 5. L’indicazione di versetti appartenenti a capitoli diversi poteva forse essere meglio espressa con un trattino medio staccato.

Salutiamo con grandissima gioia questo commentario maggiore al libro della Sapienza, che si pone di fatto come pietra miliare di riferimento per gli studi successivi e motivo di orgoglio per l’esegesi italiana. La presentazione editoriale è ariosa e rende molto leggibile il testo. Il linguaggio estremamente chiaro e didattico di Mazzinghi ne fa un’opera di consultazione imprescindibile per la comprensione di un testo biblico non facile ma veramente affascinante, esempio di inculturazione della parola di Dio sempre necessaria anche ai nostri giorni.

Un libro fra due mondi.

  • LUCA MAZZINGHI, Libro della Sapienza. Introduzione – Traduzione – Commento (Analecta Biblica Studia 13), Gregorian & Biblical Press, Roma 2020, pp. 848, € 120,00, ISBN 9788876537226.
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