Il libro della Sapienza

di: Roberto Mela in Settimana News

commentario

Il libro della Sapienza, oggetto del commentario del docente di Esegesi dell’AT presso la Facoltà Teologica Pugliese (Bari), è un libro affascinante e particolare, presentando in molte sue pagine un taglio “filosofico” unico nella Bibbia.

Questioni storico-letterarie

Nella parte prima del suo volume (“Sezione introduttiva”, pp. 9-54) Pinto analizza le principali questioni storico-letterarie riguardanti il libro della Sapienza.

Esso appare come una composizione unitaria scritta direttamente in greco, ma opera di un autore che ha un retroterra di pensiero giudaico. Presenta un linguaggio composito, più o meno artificioso, come tutto il greco alessandrino.

L’autore conosce la retorica classica e ne impiega molte figure; metafora, litote, anafora, paronomasia, isocolia, antitesi, accumulazione, asindeto omoteleuto, sorite ecc. Ben 240 volte usa l’iperbato, cioè l’inversione di alcuni elementi rispetto all’ordine normale della frase. Numerose sono le parole che compaiono una volta sola, hapax legomena assoluti. Non essendo uno scritto originariamente scritto in ebraico, Girolamo non l’ha tradotto in latino e perciò nella Vulgata abbiamo il testo della Vetus Latina. Sapienza è un libro deuterocanonico e non compare nel canone ebraico.

Quanto all’autore, il libro è attribuito a Salomone, ma il contesto culturale è completamente diverso dal X sec. a.C.

C’è chi ha pensato ad autori diversi in tempi diversi (C. Larcher), chi pensa a un autore noto come Ben Sira, oppure Eupòlemo, o anche il filosofo giudeo alessandrino Aristobulo o, addirittura, Filone stesso.

Il libro riflette la cultura e l’ambiente storico di chiaro contesto culturale ellenistico, frutto dell’opera di un giudeo legato fermamente alle sue tradizioni, versato nelle Scritture, esperto di greco e cultura greca. Esprime la fede tipicamente giudaica nel Dio unico e onnipotente, Signore sovrano dell’universo.

Sono presenti anche altri elementi: l’aberrazione del politeismo, degli idoli e dell’immoralità dei pagani; l’orgoglio di appartenere al “popolo santo”, la nazione eletta, di cui ammira il passato e i suoi eroi; la certezza della sua missione nel mondo.

Secondo G. Scarpat, la cultura dell’autore è giudaica e i suoi libri di riferimento sono la Legge, i Salmi e i libri sapienziali.

L’autore vive ad Alessandria, importante centro economico e culturale per i giudei della diaspora. In essa fu composta la traduzione dei LXX, a testimonianza delle condizioni in cui avvenne la composizione di un’opera cosmopolita come Sapienza.

L’autore si rivolge probabilmente ai futuri leader della comunità affinché siano culturalmente preparati per affrontare l’impatto con il mondo che li circonda al tempo dell’imperatore Augusto.

Circa la datazione, si propende per il 30 a.C. In Sap 6,3 si menziona la kratēsis (“dominio, sovranità”), cioè la presa di Alessandria da parte dei romani nel 30 a.C. Il periodo potrebbe estendersi fino al 40 d.C., tempo della venerazione delle immagini da parte di Caligola.

In Sap 14,22 si menziona la pax romana stabilita da Augusto e rinnovata da Tiberio e da Caligola e che diventa una nuova divinità per i romani, con un culto ufficializzato il 30 gennaio del 9 a.C. Dice il testo: «Inoltre non fu loro sufficiente errare nella conoscenza di Dio, ma vivendo nella grande guerra dell’ignoranza, a mali tanto grandi danno il nome di pace».

Sap 14,23-25 riporta varie depravazioni come conseguenze della pax romana. Nel 24-23 a.C. fu imposta la laografia, cioè la tassa pro capite imposta dai romani in Egitto a tutti coloro che non erano considerati cittadini greci. Insieme agli egiziani, gli ebrei videro peggiorare le loro condizioni economiche, una sperequazione sociale.

Il libro della Sapienza sembra includere vari generi letterari. È presente il genere midrashico, se compreso in senso largo come riflessione omiletica o meditazione sulla Bibbia che cerca di interpretare e attualizzare un testo del passato in riferimento alle circostanze attuali sviluppandone il senso iniziale.

Per alcuni studiosi il libro della Sapienza appartiene al genere protrettico, in quanto sarebbe un’opera di propaganda, un’esortazione in favore non tanto della filosofia, quanto a conseguire la sapienza che Dio offre, e nella quale si compiono i piani relativi ai popoli e agli individui.

Alcuni capitoli sembrano appartenere al genere della sygkrisis cioè del paragone, per sottolineare quale dei due soggetti paragonati a lungo sia il migliore, mettendo in luce i pregi dell’uno e i difetti dell’altro. L’autore di Sapienza conosce il genere ma lo filtra attraverso la sua formazione giudaica. In Sap 11–19, secondo P. Beauchamp, le figure non sono due ma tre: ebrei, egiziani e cosmo. Quest’ultimo darebbe un fondamento non solo retorico, ma logico e sistematico alla comparazione. Per A. Niccacci, Sapienza è un’istruzione (come Pr 1–9).

M. Gilbert e P. Bizzeti propendono per il genere dimostrativo o epidittico. Il libro della Sapienza sarebbe un elogio o un encomio della sapienza, che elabora in modo originale l’impianto greco-latino dell’encomio. Questo prevedeva: 1) un esordio in cui si anticipa l’argomento dell’elogio confutando le ipotesi contrarie; 2) l’elogio vero e proprio della virtù (o del personaggio); 3) l’esemplificazione (o amplificazione) mediante il ricorso alla comparazione fra uomini illustri del passato e il personaggio elogiato. J. Vílchez Líndez afferma che Sap appartiene al genere epidittico nelle sue linee fondamentali, ma esso solo è modello a se stesso.

Pinto appoggia la posizione di V. Morla Asensio, che invita alla cautela e parla di Sapienza come un elogio sui generis, con caratteristiche proprie. Non si può dedurre un denominatore comune di genere per tutto il libro; in Sap si mescolano elementi sapienziali e apocalittici, la diatriba e la sincrasi, elementi esortativi e lo stile proprio dell’esegesi midrashica, in particolare nell’esposizione dell’esodo.

Struttura

Circa la struttura del libro, a partire dall’interesse particolare per alcuni capitoli, dopo la divisione in due parti o in quattro, si giunse al rinvenimento di una struttura tripartita, con diversità di vedute circa l’inizio della seconda parte.

Pinto ricorda che la complessità di Sapienza costituisce un motivo di originalità e l’unità di stile, lingua e trama teologica conferisce compattezza ai capitoli e valorizza Sapienza come libro da accogliere come opera nella sua globalità, senza spezzettamenti in segmenti indipendenti e autonomi.

L’approccio retorico ha contribuito molto a sostenere l’unità del libro. P. Beauchamp, M. Gilbert e in parte anche P. Bizzeti vedono l’impianto retorico classico come paradigma principale a partire dal quale leggere e interpretare il libro. M. Gilbert, maestro di generazioni di biblisti al PIB di Roma, presenta questa struttura generale: Esordio (1,1–6,25); Elogio della sapienza (7,1–8,21); Preghiera per ottenere la sapienza (9,1-21); Amplificazione (10,1–19,22).

Sintetizziamo la struttura seguita da Pinto nel suo commentario.

  1. Exordium: amate la sapienza! (1,1–6,21). All’Esortazione iniziale (1,1-15) seguono Le trame degli empi (1,16–2,24), I paradossi della vita (3,1–4,20), Giudizio escatologico (5,1-23), Esortazione ai governanti (6,1-21).
  2. Salomone contempla e chiede la Sapienza (6,22–9,18). Sap 7,1–8,21 presenta una struttura chiastica concentrica: Salomone si presenta come un comune mortale; la Sapienza ha un valore inestimabile, dona la scienza, ha una natura ricca, è compagna di vita e dona somma ricchezza, esalta e dona prestigio. Dopo la descrizione dei primi passi compiuti con essa (8,17-21), Salomone invoca da Dio la Sapienza (9,1-6), perché la invii dai cieli santi (9,7-12) dal momento che il corpo appesantisce l’anima (9,13-18).
  3. La Sapienza nella storia (10,1–19,21). La parte è così strutturata: Inno storico alla Sapienza: da Adamo a Mosè (10,1–11,4); Assioma generale e il primo dittico: acqua del Nilo – acqua dalla roccia (11,5-14); Prima digressione: la filantropia divina (11,15–12,27); Seconda digressione: contro l’idolatria (13,1–15,19); Secondo, terzo, quarto dittico (16,1-29; rane – quaglie; tafani e cavallette – serpente di bronzo; pioggia e grandine – manna); Quinto dittico: tenebre – luce (17,1–18,4); Sesto dittico: morte dei primogeniti – salvezza di Israele (18,5-25); Settimo dittico: annegamento – passaggio del mar Rosso (19,1-9); Conclusione: giudizio e premio (19,10-21); Magnificat finale (19,22).

L’importante assioma di Sap 11,5 – «Ciò con cui erano stati puniti i loro nemici, per loro, nel momento in cui erano nel bisogno, fu un beneficio» – scandisce la riflessione midrashica dell’autore, e conferma il senso teologico nascosto nel profondo degli avvenimenti biblici.

Contenuti del libro

Pinto evidenzia cinque punti tematici emergenti in Sapienza.

  • Il primo è la contrapposizione tra giusti ed empi.

La sapienza – intesa sia come persona sia come virtù – porta alla vita eterna e, nonostante le beffe e le cattiverie degli uomini, il giusto non verrà deluso nelle sue aspettative e sarà esaudito. Caratteristica del sapiente è perseverare nella propria fede.

Il saggio invita chi si sforza di scorgere orizzonti più ampi per sé e per il mondo intero; per questo egli consegna la speranza della vicinanza divina esperita già su questa terra, rimanda al godimento pieno dopo la morte ed esorta ad attendere con fiducia la prossimità e l’accessibilità della sapienza, perché «essa facilmente è contemplata da chi l’ama e trovata da chiunque la ricerca» (Sap 6,12).

L’autore di Sapienza risponde alle categorie di persone che negano la trascendenza dell’uomo, perseguendo un’antropologia materialista e nichilista. Gli “empi” non sembrano indicare una categoria specifica (ad es. gli epicurei), ma sono identificabili dai lettori di ogni tempo con coloro che si precludono il rapporto con Dio e ostacolano quelli che credono nella ricompensa che viene donata a chi spera nella vita eterna. Sono coloro che sono lontani dalla strada che conduce alla sapienza.

Se gli empi sono connotati dall’arroganza, il “giusto” è da intendersi come l’immagine del popolo di Israele o, forse più genericamente, di ogni essere umano retto che soffre a motivo della cattiveria umana. La categoria dei “giusti” ha una matrice giudaica: sono il popolo di Dio (cf. i “giusti” al plurale a partire dal c. 3).

  • Un secondo tema importante è quello della vita oltre la morte per le anime dei giusti.

L’autore di Sapienza fa intravedere un orizzonte ultraterreno come nessuno dei sapienti aveva ancora fatto. Gli “empi” dei primi capitoli non credono alla vita ultraterrena e invocano su di sé con animo sprezzante la morte (Sap 2,1). La vita è un caso, il respiro delle narici un fumo, la parola una scintilla che si spegne, portando nella cenere il corpo, mentre lo spirito si dissolverà come aria inconsistente (cf. 2,2-3)

Gli empi hanno un deficit di conoscenza. Non si spingono oltre l’orizzonte terreno, non hanno di vista che le anime dei giusti sono custodite dal Signore. Dio sorveglia con saggezza e non lascia cadere invano alcuna lacrima dei giusti.

L’autore allude alla vita oltre la morte, non asserendo alcunché circa il corpo dei giusti. Questa verità sarà rivelata solo nel NT. La fede nella risurrezione compare anche in Dn 12,2-3; 2Mac 7,23; 12,43). «Dichiarare in Sap 3,4 che la speranza delle anime giuste è piena di immortalità (athanasia) significa professare la sussistenza – oltre la morte fisica – di una dimensione della vita umana, quella “psichica”: non si accenna alla sorte dei corpi, postulando, senza ulteriori specificazioni, l’incorruttibilità (aphtharsia) dell’uomo pio e devoto e cioè la sua amicizia con Dio, mentre gli empi sono annoverati fra coloro che stanno dalla parte della morte (2,24)» (p. 35).

  • Un terzo tema è quello di una sapienza che è amica dell’uomo.

Se Qohelet non attesta l’immediata accessibilità della sapienza, sottolineando la fatica legata alla sua acquisizione, Sapienza afferma la sua accessibilità e la sua prevenienza nei confronti di chi la cerca (6,16). La sorite di 6,17-19 ricorda con una catena ascendente i vari passi: desiderio dell’istruzione, amore, osservanza delle leggi, garanzia di immortalità, vicinanza a Dio. Dio non è una divinità imperscrutabile, ma si manifesta attraverso la sapienza. Tra Sophia e Theos c’è un rapporto di mutua donazione.

Il libro della Sapienza risponde a quanti sono stati frustrati nella loro ricerca del volto di Dio. L’uomo è connotato dalla piccolezza e il percorso sapienziale è di natura spirituale: «Chi avrebbe conosciuto la tua volontà, se tu non gli avessi dato la sapienza e non gli avessi inviato dall’alto il tuo santo Spirito?» (Sap 9,17).

  • Un quarto tema è quello della difesa della fede giudaica.

Ad Alessandria ai giudei è concesso di mantenere una comunità autonoma retta dalla legge dei padri. Dal momento che la grecità sembra comunque avere il sopravvento, una serie di fattori culturali e religiosi inducono l’autore di Sapienza ad affermare la necessità di restare ancorati alla legge dei padri e a ribadire l’urgente necessità che i pagani si convertano. L’autore non condivide il filo-ellenismo presente fra i giudei di Alessandria e condanna l’idolatria sotto tutte le sue sembianze in quanto inconciliabile con l’osservanza della Legge.

Il quadro generale comprende culti vari, pratiche selvagge delle religioni misteriche con sacrifici umani, conflitti interetnici, xenofobia verso i giudei, degrado dello status dei giudei successivo alla laografia.

L’autore di Sapienza vuole sottolineare la distinzione fra giudei ed egiziani, combattendo la xenofobia (cf. Sap 19,13-16). L’autore prende di mira l’élite socio-culturale di Alessandria, coloro che si formano al Ginnasio e gli intellettuali del Museo, i «giudei di cattiva qualità», per denunziare alcuni processi di integrazione che portavano alla fine alla perdita della propria identità nazionale e religiosa.

In Sap 2,12 si parla di quanti trasgrediscono la Legge e l’educazione tradizionale. Nel libro si stigmatizza inoltre l’eroicizzazione dei defunti giovani, per affermare che la vera immortalità sta nella virtù e non nei figli. Ci si scaglia inoltre contro l’esistenza e la partecipazione alle associazioni conviviali e confraternite (1,16–2,9), luogo di burla, orge, azzuffamenti, atmosfera dionisiaca.

L’autore si scaglia contro gli omicidi rituali di bambini, pratiche misteriche, cortei in trance, antropofagia sacra e omofagia. Egli combatte contro il crescente fascino esercitato dalle immagini: culto del sovrano e di un giovane defunto; l’immagine diventata un riflesso del divino.

G. Bellia parla di un sistema complessivo che permette di identificare «una tendenza verso l’irrazionalismo e il nichilismo che, con la loro cultura di morte (2,1-5; 14,23-24) contagiavano in eguale misura giudei agnostici (2,2) e pagani dissoluti (18,12-13), smarrendo gli uni la via del bene per la mancanza di fede nella parola donata dall’alto (5,7), e gli altri il retto uso della ragione (11,15) a motivo dell’inganno idolatrico (13,1)» (p. 38).

  • C’è, infine, il motivo della rilettura sapienziale dell’esodo.

Sap 10–19 si sviluppa secondo il procedimento del midrash e rinvia agli avvenimenti narrati nei libri dell’Esodo e dei Numeri. Il punto di partenza è che la sapienza ha liberato il popolo santo da una nazione di oppressori (10,15).

L’autore sviluppa la sua riflessione teologica alludendo a vari episodi esodali, abbellendoli o tralasciando particolari, o imponendo loro un senso nuovo. Lo scopo della memoria e della rielaborazione del passato è di «mostrare l’agire divino a favore del suo popolo, ricavando una lezione di fede e di speranza per il presente dei giudei alessandrini che non vivono un momento facile. Il parallelismo tra le sette catastrofi che si abbatterono sugli uomini del faraone e i sette benefici che, invece, il Signore concedeva a Israele mira precipuamente a rinsaldare la fiducia nel giudizio di Dio che ha cura del suo popolo eletto» (p. 39).

Destinatari

In un ambiente di persecuzione simile a quello presente in 1–2 Mac, il giusto perseguitato rappresenterebbe il prototipo del giudeo fedele ai costumi dei padri che, in ragione di tale fermezza morale e religiosa, viene guardato con sospetto ed è fatto bersaglio dell’atteggiamento ostile degli alessandrini e dei greci.

Per A. Niccacci e altri studiosi, l’autore si rivolgerebbe invece ai giudei apostati che hanno abbandonato la fede per accedere ai posti di prestigio nell’amministrazione e del potere in generale. Sapienza non rivelerebbe uno sfondo di persecuzione antigiudaica ma offrirebbe uno spaccato della comunità e dei suoi problemi in terra straniera.

Altri autori pensano a un libro di scuola concepito per la formazione dei futuri leader della comunità giudaica (cf. Sap 6–7), i quali, chiamati a reggere le sorti del popolo in un contesto ostile, devono essere culturalmente ben preparati. È fondamentale la formazione del carattere e delle abilità dell’educando in vista dell’assunzione di responsabilità pubbliche in seno alla società civile (cf. Sir 38,31–39,11), o in ordine al più quotidiano ambito familiare (cf. l’educazione parentale in Pr 1–9).

A Pinto non pare accettabile la considerazione di Sapienza come un testo rivolto ai re pagani affinché imparino a rispettare i giudei. Questo presupporrebbe nei destinatari la conoscenza dei testi biblici e Sapienza risulterebbe per loro un testo criptico. Secondo Pinto, l’invito ai governanti a lasciarsi guidare dalla sapienza non implica direttamente il coinvolgimento dei capi politici delle nazioni non-giudee. Esso è generico, non ha destinatari storici, svolge una funzione retorica e una sorta di pretesto letterario: l’autore di Sapienza si rivolge ai detentori del potere tout court ma intende raggiungere i suoi connazionali (ai quali esprime la condanna dei governanti). La regalità politica di Sapienza è, quindi, per Pinto, meramente fittizia, perché «l’autore sembra rivolgersi essenzialmente ai suoi fratelli d’Israele che vuole condurre alla regalità della sapienza» (M. Gilbert, cit. a p. 41).

Per altri studiosi, Sapienza si rivolge ai leader pagani, affinché vengano consigliati sul buon governo (così L. Alonso Schökel).

Per A. Niccacci le singole parti dell’opera, composta in tempi lunghi, si rivolgono a una diversità di destinatari. Sap 1,5–5,23 ha come destinatari i giudei di una comunità divisa e oppressa, che non crede troppo alla provvidenza divina; in Sap 6,1–10,1 i destinatari sono i re della terra e l’orizzonte di riferimento diventa universale. Sap 11,2–19,22 si propone invece di esortare il popolo giudaico a trarre conforto e fierezza dal ricordo dell’esodo, ma anche di ispirare un salutare timore in coloro che continuano a trattare ingiustamente la nazione santa. Ci si rivolge qui anche ai pagani idolatri, invitati a prendere coscienza della loro angoscia religiosa e morale.

Alcuni autori – tra cui J. Vílchez Líndez – pensano a un pubblico di frontiera, con destinatari anche eventualmente non giudei. La forma retorica dell’opera sarebbe il tentativo di entrare in un campo comune, comprensibile sia ai giudei sia ai “non giudei”.

Pinto approda a una sintesi che riportiamo per esteso. «Detto in altri termini: l’autore del libro risponde ai problemi della sua comunità (derisione da parte dei pagani, defezione interna ai giudei) senza “propugnare reattivamente il puro rifiuto della società evoluta in cui, certamente, doveva vivere a suo agio” (G. Bellia). Nella complessa società di Alessandria, l’autore, da un lato, esorta e incoraggia la propria comunità a non imitare i costumi degradati dei pagani, ma “al contempo ha voluto farsi carico di un confronto leale con esponenti di altri ceti culturali, interessati alla ricerca della sapienza, per mostrare quanto era degna di rispetto la propria tradizione religiosa; intendeva così salvaguardare sia la fede dei correligionari più provati o tentati dai guasti della società alessandrina, sia i vantaggi e i privilegi di un confortevole livello sociale raggiunto” (G. Bellia)» (p. 43).

Sapienza nell’Antico e nel Nuovo Testamento

Pinto ricorda le numerose allusioni ai testi della Torah, dei Profeti e degli Scritti sapienziali presenti nel libro della Sapienza.

La Torah è ripresa in termini sapienziali. Secondo A. Bonora, il carattere di rivelazione, di normatività e di autorità proprie della Torah viene reinterpretato e fatto valere nella prospettiva sapienziale; ciò appare soprattutto in Sap 9. C’è la questione del rapporto tra rivelazione e creazione, in ambito più teologico, tra natura e grazia. In Sapienza la volontà di Dio, che nel Pentateuco è ricevuta tramite il legislatore e le leggi, si manifesta mediante la Sapienza (cf. Sap 9,17-18). La Torah mosaica, donata a Israele, per Sapienza è valida per tutti gli uomini (cf. Sap 18,4).

L’agiografo non contrappone mai Sapienza e Legge, come se fossero due realtà eterogenee legate rispettivamente alla creazione e alla rivelazione storica. Bonora ricorda che «cercare la sapienza non è solo cercare il senso del mondo, ma è cercare Dio; osservare la Tôrāh non è solo obbedire a una rivelazione, ma vivere l’esperienza umana obbedendo a Dio; tra Tôrāh e sapienza non esiste né separazione né successione o sviluppo, ma inclusione» (p. 45).

In Sapienza si trovano numerose allusioni ai profeti “maggiori”, in primis a Isaia. Il servo sofferente traspare in Sap 2–3. Si allude anche a Geremia (cf. Sap 1,7) e a Daniele tramite l’apocalittica. Un punto di contatto con i Profeti è dato dal tema della misericordia divina verso i nemici di Israele.

Ci sono i temi del castigo, dell’idolatria e della conoscenza. I castighi di Dio verso Israele sono la sua paideia, la logica correttiva che YHWH propone al suo popolo (cf. Ger 10,24; 26,28 testo greco). Il tema della misericordia si ritrova specialmente nella polemica contro l’idolatria (cf. Sap 13 – 15). Quello della conoscenza si può ritrovare in Ger 9,22-23 e Sap 15,1-6. Il rimprovero dell’idolatria è rivolto in Sapienza ai pagani, mentre in Geremia è indirizzato al popolo eletto. Sapienza si presenta più aperta alla compassione universale, rispetto agli oracoli di Geremia.

Numerosi sono i punti di contatto con gli “Scritti”. Ci si concentra sull’insegnamento e sull’esortazione, mentre prima ciò assumeva la forma della teofania e dell’oracolo. Emerge il tema della retribuzione come premio per il giusto e punizione del malvagio. Nel postesilio era emersa la riflessione sul senso da dare all’esilio babilonese e alla sofferenza del popolo eletto. L’ermeneutica di Sapienza si basa sullo sfondo della tradizione degli intellettuali di Israele. Numerose le allusioni anche ai libri “poetici”. Sono citati il Sal 36,11b (Sap 10,10b); 115,7 (Sap 9,5); 38,8 (Sap 15,5). I testi sono citati direttamente dal greco.

L’autore di Sapienza cita con libertà il patrimonio biblico e tradizionale, finalizzandolo al raggiungimento del fine religioso e “propagandistico” che lo ispira nella composizione dell’opera.

Vari autori hanno notato un contatto tra il libro della Sapienza e il NT, in specie con l’epistolario paolino. Si tratta di allusioni e non di citazioni dirette. Ci sono motivi sapienziali comuni (tra Rm 1,18–2,16 e Sap 13–15) e allusioni (tra Rm 11,33 e Sap 9,13.16-17). Vari autori riconoscono un influsso sulla cristologia paolina di 1Cor 1–4 e Col 1,15-20, da leggere forse alla luce di Sap 7,26 (ma anche di Pr 8,22).

I contatti si spiegano nella particolare esperienza paolina – tra giudaismo ed ellenismo – e nella sua sintesi teologica propria. Sembra esistere un rapporto tra sophia e mystērion: la sapienza divina rimanda, infatti, al progetto “misterioso” del Padre di mandare il Figlio come redentore, vertice e compimento della salvezza per gli uomini e per le donne.

C’è chi ha studiato in particolare il rapporto tra Romani e Sapienza in Rm 11,23-33 e 16,25-27, notando confluenze del linguaggio sapienziale in Romani ma anche una profonda differenza di senso rispetto alla tradizione sapienziale.

La sapienza in Paolo è un termine ambiguo, perché può indicare la conoscenza umana che si oppone alla rivelazione e necessita di essere chiarito alla luce dell’evento Cristo, e dalla più ampia rivelazione del mistero della salvezza.

L’interpretazione messianica del giusto di Sap 2 ha origine remote ma è da dimostrare che gli evangelisti conoscessero Sapienza e che l’abbiano utilizzata come modello di riferimento nella composizione dei loro scritti. Gli studiosi parlano di “profezia storica”, spostando l’attenzione dal dato meramente letterario a quello teologico.

In ogni caso, anche se Sapienza non è un libro profetico stricto sensu, poiché è scritto con scopi didattico-religiosi utili alla vita concreta e poiché rielabora la storia biblica del passato, è depositario di un alto grado di autorevolezza, e i suoi destinatari non sono solo quelli storici ma anche i potenziali lettori attuali.

A. Sisti sottolinea il fatto che, essendo Sapienza un libro ispirato, lo Spirito Santo che ha guidato e assistito l’autore biblico può aver fatto sì che «le sue parole non solo risultassero veritiere e aderenti alla realtà che egli intende esprimere, ma che fossero anche ordinate a preparare la rivelazione successiva dei tempi messianici» (p. 53).

Pinto non è contrario al collegamento “profetico” tra il giusto di Sapienza e Cristo, ma preferisce evitare derivazioni dirette e a senso unico: il libro della Sapienza non è una semplice anticipazione del Nuovo Testamento o una specie di “prova” della rivelazione di Gesù nell’Antico Testamento, poiché è un’opera che «sta in piedi da sola», e «il suo ingresso nel processo ermeneutico della comunità cristiana le dona maggiore ricchezza teologica, ma non la sminuisce né la svuota del proprium di senso che le appartiene» (ivi).

La parte seconda dell’opera (pp. 55-320) è dedicata alla traduzione e al commento. Alla traduzione personale di Pinto si aggiungono a piè di pagina le note filologiche, di critica textus e di dialogo scientifico con altri autori. Il commento storico-letterario-teologico è distribuito secondo brevi pericopi ma anche versetto per versetto.

Nella parte terza (pp. 321-384) lo studioso sintetizza il messaggio teologico di Sapienza concentrandosi su quattro temi: la presenza o meno della risurrezione in Sapienza; l’idolatria e il monoteismo; l’homo sapiens e la tecnica; la donna quale grande assente in Sapienza.

Pinto analizza quindi la posizione del libro di Sapienza nel canone presentandolo come uno dei testi deuterocanonici e cercando un confronto con gli altri libri sapienziali. Segue la delineazione della storia dell’interpretazione: Sapienza nel Magistero, nel Lezionario e il suo rapporto con i Novissimi. Il lessico biblico-teologico ragionato conclude questa parte.

Chiudono il volume la bibliografia (ragionata e generale, pp. 385-400) e vari indici (pp. 401-418): degli autori, delle citazioni bibliche ed extrabibliche, filologico, degli excursus.

L’opera di Sebastiano Pinto costituisce un pregevole commentario maggiore al libro della Sapienza, un testo affascinante ma impegnativo per il suo linguaggio spesso tecnico, sospeso fra i due mondi del giudaismo e dell’ellenismo, alla ricerca di un dialogo anche culturale e filosofico che metta in risalto anche nella diaspora la grande dignità e autorevolezza della tradizione sapienziale e teologica del popolo di Israele.

Sapienza. Nuova versione, introduzione e commento a cura di SEBASTIANO PINTO (I Libri Biblici – Nuovo Testamento 34), Edizioni Paoline, Milano 2022, pp. 424, € 49,00, ISBN 97888315518892.