IL LAVORO È SACRO. LA SFIDA EPOCALE DELLA CHIESA

lavoro

Pubblichiamo il testo della relazione dal titolo “Le nuove disuguaglianze nella società globale. Giustizia e misericordia per un’economia a servizio dell’uomo” del cardinale Gualtiero Bassetti, nuovo presidente della Cei, presentata alla riunione dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti di Parma nell’ottobre scorso.

Vorrei iniziare questa breve riflessione con una citazione tratta dalla Gaudium et spes e che poi è stata inserita anche nel Catechismo della Chiesa cattolica.

L’eguale dignità delle persone richiede che si giunga ad una condizione più umana e giusta della vita. Infatti le troppe disuguaglianze economiche e sociali, tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale ed internazionale.

Negli ultimi anni, il tema delle disuguaglianze è stato ripreso con forza da papa Francesco, sia nell’Evangelii Gaudium che nella Laudato si’, ed ha assunto, ormai tra gli studiosi di tutto il mondo, un nuovo e grande interesse scientifico. Senza dubbio la crisi economica, che ha toccato la vita di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, ha avuto la sua importanza. Ma non è solo per questo. Ormai molti analisti hanno messo in evidenza, con dati empirici, che negli ultimi anni c’è stato un vorticoso aumento delle disuguaglianze nel mondo.

Cito alcuni dati che mi hanno profondamente colpito. Secondo alcuni di questi studi, l’1% più ricco del mondo ha una ricchezza all’incirca pari a quella di tutti gli altri esseri umani. E mentre i redditi di alcune ristrettissime fasce della popolazione crescono vertiginosamente, la povertà è in aumento in larghi strati della società.

Gli stessi studiosi che forniscono questi dati hanno cercato di rispondere alla domanda più importante, ovvero: perché sono in aumento queste disuguaglianze sociali? Le risposte fornite variano a seconda degli studi ma, sostanzialmente, quasi tutti ne individuano le cause in una eccessiva prevalenza della finanza sul mondo del lavoro, in una crisi della sfera politica e in una società sempre più individualistica e oligarchica.

Questi dati e queste spiegazioni che vi ho sinteticamente fornito non possono non assumere agli occhi del pastore un’importanza particolare. Un’importanza che non ambisce certamente a spiegare le cause analitiche di questi complessi processi sociali – non è il mio compito, né la mia vocazione – ma che aspira invece a prendersi cura, con sapienza e carità, di questa umanità che, come ha detto Francesco, «porta delle ferite profonde» e che troppo spesso ha perso la speranza nel futuro.

Per curare queste ferite, oggi la Chiesa si fa portatrice, in primo luogo, di un annuncio di amore misericordioso a tutta l’umanità, e in secondo luogo ricordando la centralità evangelica di alcuni principi che da duemila anni rappresentano il cuore dell’insegnamento cristiano. Il primo di questi principi è che il lavoro è a servizio dell’uomo.

 

IL LAVORO A SERVIZIO DELL’UOMO

A questo proposito è estremamente utile citare alcune righe di una lettera che Giorgio La Pira scrisse ad Amintore Fanfani il 28 febbraio 1955. Queste due personalità – molto differenti tra loro ma che si stimavano e si rispettavano a vicenda – erano legati da un’amicizia profonda e sincera, in cui non mancavano, spesso e volentieri, alcune opinioni diverse che venivano esplicitate, nel loro rapporto fraterno, con un linguaggio estremamente franco e, oserei direi, con una fortissima vena di schiettezza toscana. La lettera iniziava così:

Caro Amintore: tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano. […] Il pane (e quindi il lavoro) è sacro: la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altro. Questo non è marxismo: è Vangelo.

Queste parole, dette da un terziario francescano, fiorentino d’adozione ma siciliano d’origine, che si è trovato a fare il sindaco di Firenze per molti anni – oltre che il parlamentare della Democrazia Cristiana pur non avendo mai avuto la tessera – riassumono molto bene il senso del mio intervento. “Il lavoro è sacro” scriveva La Pira e occuparsi del lavoro non significa essere marxisti ma significa, all’opposto, prendere sul serio, molto sul serio, il Vangelo.

Significa credere, prima di tutto, a quello che Gesù ci ha insegnato e cioè che occorre sempre dare la giusta mercede agli operai “perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt. 10,10). Questo non vuol dire soltanto dare un giusto salario ma significa soprattutto riconoscere, nella sua totalità, la dignità umana di quel lavoratore, che prima di essere un lavoratore è un essere umano e che attraverso il lavoro può santificare la sua vita.

La Pira, dunque, quando scriveva quelle parole a Fanfani aveva ben chiaro l’insegnamento evangelico. Un insegnamento che a me sembra, però, troppo spesso calpestato. Calpestato a volte dall’indifferenza, altre volte da una mentalità individualista che non riesce ad andare oltre un utilitarismo di bassa fattura e senza alcuno sguardo verso il futuro e verso la società nella sua interezza.

Il cuore dell’insegnamento lapiriano, che trae ispirazione diretta dal Vangelo, è dunque uno solo: la salvaguardia e la valorizzazione della persona umana. Una persona che è intangibile non perché ha un valore economico, non certo perché è riducibile al valore di una merce, ma perché è tale agli occhi di Dio che l’ha fatta a sua immagine e somiglianza. Questo non è solamente il cuore della dottrina sociale della Chiesa cattolica ma è qualcosa di molto più profondo e anche di estremamente laico. Questa è la grande eredità storica, millenaria, che il cristianesimo ha lasciato in dono al mondo intero: la difesa dell’umano. In ogni momento della sua esistenza.

La salvaguarda della vita di un uomo e di una donna viene prima di tutto ed è incalpestabile. È incalpestabile per la tecnica e la scienza. Ed è incalpestabile per il sistema produttivo che non può ridursi a considerare l’uomo come un semplice ingranaggio di un meccanismo che ha il compito di produrre un profitto.

Per questo dobbiamo smettere di pensare il lavoro come ad un ingranaggio totalizzante che risucchia la vita delle singole persone fino a disumanizzarle. Dobbiamo assolutamente sfatare un luogo comune del mondo di oggi. Ciò che conta più di tutto è la dignità umana. E come ho avuto occasione di dire nelle meditazioni per la via Crucis ripeto anche oggi lo stesso pensiero: il lavoro è a servizio dell’uomo e non è vero che l’uomo è a servizio del lavoro.

UNA SFIDA EPOCALE

Quella che abbiamo di fronte è dunque una grande sfida. Che si può affrontare attingendo a piene mani dal grande patrimonio della dottrina sociale della Chiesa cattolica: un magistero sociale che oggi trova un nuovo sviluppo con la Evangelii Gaudium e la Laudato Si’ che forniscono un’attenzione particolare al mondo contemporaneo: un mondo che tende ad autorappresentarsi come forte, sicuro di sé ed invulnerabile ma che, invece, nasconde ferite, debolezze e contraddizioni.

Questa cultura dell’apparenza che domina il mondo contemporaneo rappresenta, però, un grave limite al pieno sviluppo delle persona umana, perché, come ha sottolineato più volte Francesco, «solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società». Mai come oggi, pertanto, è fondamentale «andare verso l’uomo» perché, come scriveva Emmanuel Mounier, la persona umana, non solo «non è un oggetto», ma è «l’unica realtà che ci sia dato di conoscere e, in pari tempo, di costruire dall’interno.

Il magistero sociale della Chiesa cattolica, infatti, mette al centro della sua attenzione, non certo il profitto di un’azienda o il pareggio di bilancio di un ente pubblico, ma l’incalpestabile dignità della persona. Alla sua base c’è una visione antropologica che auspica, quindi, la costruzione di una società in cui la sfera sociale e quella economica non siano in antitesi ma camminino insieme per lo sviluppo di un nuovo umanesimo. Un umanesimo che si prefigga di combattere la povertà, che promuova un rinnovamento morale della società e che produca una civilizzazione dell’economia.

Da questo punto di vista, il patrimonio della dottrina sociale della Chiesa cattolica è senza dubbio un tesoro prezioso che va conosciuto approfonditamente e che – come testimonia da decenni l’impegno dell’Ucid  – va promosso in ogni ambito della vita civile. I principi di solidarietà e partecipazione, di responsabilità sociale e sussidiarietà, infatti, non sono soltanto dei valori che i cristiani devono agitare in pubblico come se fossero delle bandiere della propria identità o, peggio, delle medagliette da attaccare alle pareti della casa. Al contrario questi princìpi devono necessariamente trasformarsi in opere concrete e svolgere un ruolo importante nella società e nelle relazioni economiche.

C’è un passaggio molto forte nell’Evangelii Gaudium che tocca profondamente l’animo di ogni credente e che rappresenta, a mio avviso, una grande sfida intellettuale e morale per ognuno di noi. Scrive Francesco:

Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide.

In queste parole molto forti non c’è solo il riferimento tradizionale al «fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione» ma c’è qualcosa di più. C’è la denuncia di una strutturale «cultura dello scarto» che si è radicata profondamente nella nostra società opulenta. La cultura dello scarto è una cultura relativamente nuova e si basa su un unico principio:  l’esclusione di tutti coloro che non sono utili. Gli esclusi di oggi, rispetto a quelli al passato, non sono solo degli «sfruttati» ma, come scrive il Papa, sono dei veri e propri «rifiuti», degli «avanzi» di una società individualista e di un processo produttivo che mira solo al profitto senza tenere conto della dignità umana.

Le società occidentali, infatti, attraversate da una profonda crisi antropologica che sta mercificando tutto, persino il corpo degli esseri umani, sono immerse in una diffusissima «cultura del benessere» che finisce per anestetizzare la mente e il cuore delle persone, essenzialmente in due modi: innanzitutto, tramite una «nuova idolatria del denaro»; e in secondo luogo, attraverso la riduzione dell’essere umano «ad uno solo dei suoi bisogni»: ovvero «il consumo».

I rischi molto gravi di questa nuova combinazione tra individualismo, utilitarismo e consumismo trovano una originale riflessione nella Laudato Si’, che non può essere certamente ridotta solamente ad un’enciclica ambientalista. In quell’enciclica, infatti, da un lato, si può cogliere tutta la drammatica consapevolezza del mutamento epocale che oggi sta attraversando «la casa comune», ovvero il mondo contemporaneo; e dall’altro lato, si può comprendere la denuncia della «radice umana della crisi ecologica». Questa denuncia rappresenta la sfida concreta più importante lanciata dalla Laudato Si’. Una sfida epocale che si configura, essenzialmente, come il tentativo di cercare di porre un freno a quella sorta di «potere ingovernabile» che Francesco ha chiamato il «paradigma tecno-economico». Cioè un sistema di potere – privo di alcuna tensione verso Dio e verso l’umano – che riduce l’uomo e l’ambiente a semplici oggetti da sfruttare in modo illimitato e senza cura.

UN NUOVO PATTO SOCIALE

Questi richiami al magistero sociale della Chiesa cattolica che ho sommariamente tratteggiato devono però trovare una risposta concreta nella vita quotidiana, altrimenti rimangono solo delle belle parole che il vento porta via con sé. Dare una risposta concreta a queste esigenze, è dunque un compito che interpella la coscienza di ognuno di noi. Interpella me, come pastore, a cui è stato affidato il compito di guidare spiritualmente il gregge del popolo, e interpella tutti coloro che svolgono un ruolo di responsabilità negli enti pubblici, nelle imprese, nelle Università e nei luoghi della decisione politica.

Voglio fare due esempi concreti che si ricollegano ai temi che ho richiamato in precedenza. Il primo esempio, lo apprendo dai giornali e si riferisce alla drammatica situazione della cosiddetta «Terra dei fuochi», in cui allo sfruttamento speculativo del territorio e alla negligenza verso la salvaguardia del paesaggio, si combinano le gesta criminali di un sistema malavitoso parassitario che condiziona l’economia, corrode nel profondo l’animo delle persone e contribuisce a distruggere l’ambiente. A me pare che in questo caso esemplare l’enciclica Laudato Si’ sia quanto mai attuale e necessita di una reale traduzione e applicazione.

Il secondo esempio, lo traggo dalla mia concreta esperienza episcopale e si riferisce all’altrettanto drammatica situazione della disoccupazione giovanile. Ricordo che circa 20 anni fa, all’indomani del Convegno Ecclesiale Nazionale di Palermo, fu avviato  il Progetto Policoro: un progetto pensato come una risposta concreta al problema della disoccupazione giovanile, specialmente nel Mezzogiorno. Nonostante le difficoltà, 20 anni fa sembravano scorgersi dei segnali di speranza e di concreta possibilità di realizzare nuovi posti di lavoro. Oggi, però, a me pare che la situazione sociale, morale ed economica del nostro Paese sia drammaticamente peggiorata. La crisi economica spaventosa che sta attraversando tutta l’Europa ormai da anni – una crisi di origine finanziaria è bene ricordarlo – non ha solo tragicamente aumentato le sacche di povertà ma ha corroso nel profondo la vita di milioni di persone.

La precarietà lavorativa a cui sono costretti i nostri giovani è una precarietà iniqua che ferisce mortalmente l’anima di questi giovani. Oggi, più del 40% dei nostri ragazzi è disoccupato. È un dato assolutamente sconvolgente e profondamente ingiusto. In Italia è ormai iniziata una nuova forma di emigrazione. Un’emigrazione di cui si parla poco ma che invece rappresenta un fenomeno estremamente preoccupante. Sono sempre di più i ragazzi che pensano di andarsene via dalle loro città e dal loro Paese. L’emigrazione giovanile, però, non può essere la soluzione. Anzi, rappresenta, a mio avviso, una resa! Un’autentica disfatta sociale!

Molti ragazzi e ragazze, oggi, non sanno più scorgere il loro futuro. A molti di loro è stata tolta la speranza. E questo non possiamo assolutamente permettercelo. Non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo togliere il futuro alle nuove generazioni. Perché nel futuro c’è la vita del nostro Paese!

Come rispondere concretamente a tutte queste sollecitazioni? Personalmente, dal mio modesto angolo visuale di pastore di un gregge che percepisco sempre più affaticato da questa crisi economica, avverto l’esigenza, anzi, l’urgenza di un nuovo patto sociale. Come ho già avuto modo di scrivere, noi ci troviamo «di fronte a un’emergenza sociale che oltrepassa ogni diversità politica, religiosa o culturale. Emergenza che ha bisogno dell’aiuto di tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà che, senza perdere tempo in inutili dispute ideologiche, sappiano tramutare il loro impegno in opere concrete.

In cosa dovrebbe consistere, concretamente, questo nuovo patto sociale? Mi limito soltanto a dare delle sollecitazioni e degli spunti.

Il primo aspetto l’ho già in parte indicato: occorre superare i vecchi conflitti sociali e le inutili scomuniche ideologiche. Oggi, il mondo contemporaneo è profondamente cambiato. Possiamo uscire da questa situazione difficile solo con l’aiuto di tutte quelle persone di buona volontà che hanno veramente a cuore il bene comune: in questo caso, il destino dell’Italia e della società europea. Per fare ciò, è necessaria avere una chiara conoscenza del nostro passato e una grande visione del futuro della nostra società.

In secondo luogo, è necessario liberare le energie nuove, cioè valorizzare i talenti che sono presenti ovunque nel nostro Paese. Occorre aiutare le giovani generazioni, soprattutto le donne, ad avere lo spazio che necessitano per poter esprimere le proprie potenzialità e occorre farle interagire con le intelligenze migliori delle vecchie generazioni. Ciò di cui abbiamo bisogno è, senza dubbio, una nuova alleanza generazionale che è l’unico modo per poter pensare il futuro senza scadere in un disastroso conflitto sociale.

E infine, è quanto mai doveroso ripensare il rapporto tra l’uomo e l’oikos, tra lo sviluppo economico e la «casa comune». Occorre ripensare, cioè, un nuovo stile di vita all’insegna della sobrietà e non del consumismo; una nuova cultura del lavoro che si prefigga di salvaguardare sempre la dignità umana di ogni persona; un nuovo Stato sociale pensato su misura per le imprese e per le famiglie che rappresentano, è bene non dimenticarselo mai, non solo la cellula fondante ma l’architrave su cui si regge l’intera società.

Carissimi amici, come ha detto Francesco parlando agli aderenti dell’Ucid nell’ottobre del 2015, è assolutamente fondamentale sviluppare e promuovere la dottrina sociale della Chiesa cattolica come se fossimo «missionari della dimensione sociale del Vangelo».

Missionari che non partono dal nulla ma hanno degli esempi concreti che forse possono essere ripercorsi. Più di 70 anni fa, nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, nel monastero di Camaldoli, nel Casentino, in Toscana, si riunirono alcuni giovani intellettuali cattolici che elaborarono un documento che avrebbe poi influenzato il dibattito pubblico e le scelte politiche degli anni successivi. Vista la difficilissima situazione sociale che stiamo oggi vivendo e questa sempre più palese «terza guerra mondiale a pezzi» che stiamo affrontando, sarebbe forse auspicabile un momento di riflessione ed elaborazione come quello camaldolese.

Carissimi fratelli e sorelle, a tutti voi l’onere e l’onore di poter svolgere un ruolo da protagonisti nel futuro del nostro Paese. E che la protezione di San Giuseppe lavoratore vi ispiri sempre nella vostra opera di apostolato sociale.

Cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia

Famiglia Cristiana