Il latte umano, unico nel regno animale. Un rompicapo il ruolo di tutte le sue molecole

Il latte umano è unico nel regno animale. Con i suoi oltre 200 tipi di zuccheri, il doppio rispetto a quello del latte di mucca, è il più complesso tra quello di tutti i mammiferi. Tanto che capire il ruolo di tutte queste molecole e i loro cambiamenti è ancora un rompicapo scientifico per i ricercatori. A fare il punto su ciò che si sa e non si sa è la revisione di diversi studi, pubblicata dai ricercatori dell’università di Zurigo sulla rivista Trends in Biochemical Sciences.

Il latte materno è spesso il primo alimento che si consuma, ma molte delle sue molecole di zucchero non servono a nutrire il bambino. I neonati nascono privi di qualsiasi batterio nell’intestino, ma già a pochi giorni dalla nascita ne hanno milioni, e una settimana dopo miliardi. Gli zuccheri del latte materno sono il primo composto di cui si nutrono questi batteri. ”Il primo impatto del latte materno è favorire la colonizzazione dell’intestino da specifici gruppi di batteri che possono digerire queste molecole di zucchero.

I neonati non hanno ‘l’attrezzatura’ per digerirle”, spiega Thierry Hennet, coautore dello studio. Il latte materno aiuta anche a costruire il sistema immunitario del bambino. Già dopo la nascita è ricco di anticorpi e le sue molecole rallentano la crescita di batteri pericolosi, coordinando l’attività delle cellule dei globuli bianchi. A un mese dalla nascita, quando il bambino inizia a sviluppare un sistema immunitario suo capace di adattarsi, la composizione del latte cambia, e il livello di anticorpi materni si riduce di oltre il 90%, così come cala la diversità delle sue molecole di zucchero, mentre aumenta il numero di grassi e di altri nutrienti che sostengono la crescita.

Nonostante le sue tante funzioni, i bambini riescono a crescere sani anche senza latte materno, il che fa sorgere domande sui suoi benefici a lungo termine. ”Il latte materno è il prodotto di milioni di anni di evoluzione e possiede i nutrienti ottimali per il neonato – evidenzia Lubor Borsig, coautore dello studio – ma per quanto tempo è veramente necessario?”.

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