Il Giubileo e la chiusura del Concilio Vaticano II

Il 7 dicembre era stata approvata laGaudium et spes, Costituzione conciliare sul rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, e il giorno dopo si tenne la cerimonia conclusiva: cinquanta anni fa in questi giorni si chiudeva il Concilio Vaticano II, inaugurato da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 con il memorabile “discorso alla luna”.

“Non c’è nessun tempo – affermava in quel discorso papa Roncalli – in cui la Chiesa non si sia opposta agli errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.

Significativamente il 50/mo anniversario del Concilio coincide con l’inaugurazione di un giubileo straordinario che papa Francesco ha voluto dedicato alla misericordia. Sicché tra storia e attualità, la Chiesa cerca di rapportarsi con il mondo con lo stesso sguardo misericordioso del suo Dio.

Oltre alla Gaudium et spes, il Concilio aveva approvato altre tre costituzioni: la Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, la Lumen Gentiumsulla Chiesa, e la Dei verbum sulla Sacra Scrittura. Aveva inoltre prodotto 9 decreti: sull’ecumenismo, sulle Chiese orientali, sulle comunicazioni sociali, sulla missione pastorale dei vescovi, sulla vita religiosa, sulla formazione sacerdotale, sull’apostolato dei laici, sull’attività missionaria della Chiesa, sulla vita e il ministero dei presbiteri. E aveva emanato tre dichiarazioni, Dignitatis Humanae, sulla libertà religiosa, Nostra Aetate, sulle religioni non cristiane, e Gravissimum Educationis, sull’educazione cristiana. Ma sarebbe sbagliato ridurre il Vaticano II ai documenti approvati, seppure in alcuni casi assolutamente innovativi sul piano ecclesiale e culturale. Quanti vi hanno partecipato, e dopo di loro gli storici, ne sottolineano il carattere di “evento”, cioè il suo essere stato prima di tutta una esperienza di vita e un modo concreto di vivere la Chiesa e di rimodellare il suo rapporto con il mondo moderno. Sia nella dottrina, che nella pastorale, che nella formazione della sua “classe dirigente”, dunque, il Vaticano II è stato uno spartiacque nella vita della Chiesa: prima la Messa era celebrata in latino, che oltre ai sacerdoti nessuno capiva, e con il prete che volgeva le spalle alle persone. La Bibbia era un oggetto sconosciuto per i fedeli, praticamente nessuno l’aveva a casa o era capace di leggerla. I non cattolici e le altre religioni erano guardati talora con diffidenza, e gli ebrei visti con ostilità e sospetto, benché per volontà di Giovanni XXIII non fossero più definiti “perfidi” in una preghiera liturgica.

Prima del Concilio, inoltre, lo sguardo di speranza e misericordia sul mondo di papa Roncalli non aveva informato in profondità la Chiesa, e la discussione teologica e culturale non era in auge tra clero e fedeli. Le chiese del terzo mondo e i poveri non erano al centro dell’attenzione della Chiesa di Roma. La Chiesa dopo il Concilio, soprattutto in Occidente, ha innovato molto nel rapporto con il mondo moderno e nel dialogo interreligioso, ha realizzato meno dell’aspirazione a una Chiesa dei poveri. In America latina invece le cose sono andate diversamente, sia per la situazione sociale di partenza che per la sensibilità dei vescovi, anche nei confronti del pensiero di Paolo VI. Oggi che il Papa è un latinoamericano e che ha indetto il Giubileo della misericordia, l’ispirazione di Roncalli e le realizzazioni di Montini potrebbero suscitare ulteriori declinazioni.

Avvenire