Il gesto. L’Amazzonia tra annuncio e denuncia, al via il Sinodo dei «nuovi cammini»

In San Pietro il Papa apre l’Assemblea speciale dei vescovi preceduta dalla Veglia di preghiera: solo uniti possiamo salvare la terra che ci ha affidato Dio, Signore della vita

Il grazie dei popoli indigeni

Il grazie dei popoli indigeni

Avvenire

«Mettiamoci tutti insieme a camminare e a costruire nuovi cammini». L’inno ancestrale del popolo brasiliano dei Sateré-Mawé ha risuonato ieri sera nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, dove in migliaia di sono ritrovati per accompagnare con la preghiera il Sinodo che si apre oggi, domenica 6 ottobre, con la Messa a San Pietro. Le sue parole antiche hanno un sapore straordinariamente attuale: la grande assemblea speciale per la regione Panamazzonica si propone proprio di trovare nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. E lo stesso termine “Sinodo” significa “camminare insieme”.

Il percorso odierno non parte, però, da zero. Non solo perché in esso confluiscono cinque secoli di missione della Chiesa in Amazzonia e di incontro – non sempre facile, spesso eroico – con le sue genti. Il Sinodo, convocato due anni fa da papa Francesco, inoltre, è stato preceduto da un intenso processo di preparazione che ha visto protagonisti i popoli della regione. «Questo nuovo tratto, che inizia adesso, vorremo farlo insieme a voi, cattolici di altre latitudini. Solo uniti possiamo salvare la terra che ci ha affidato Dio, Signore della vita», afferma Edna Oliveira Viana, venuta dal villaggio di Maués insieme al marito, José Cristo de Oliveira.

Sono due dei tanti rappresentanti indios a cui è stato affidata “l’introduzione” della veglia “d’inizio Sinodo” organizzata dal movimento dei Giovani per l’impegno missionario (Gim) dei comboniani e inserita nei 130 eventi di “Amazzonia casa comune”, progetto di accompagnamento del Sinodo realizzato da enti religiosi, congregazioni, istituzioni e cittadini. «Siamo cresciuti in un mondo interconnesso dalla tecnologia. Sappiamo, dunque, che nulla di quanto accade in una parte del globo può esserci estraneo. Questo vale per tutti. A maggior ragione per i cristiani a cui il Signore ha chiesto di essere testimoni dentro la storia. La preghiera ci è parsa la forma più forte di essere in comunione con i padri sinodali che da oggi cominceranno i lavori», afferma Alice Viganò, educatrice trentenne, una delle ragazze del Gim che ha curato l’iniziativa. Essa si è articolata in tre momenti. Prima, l’accoglienza da parte dei rappresentanti nativi che hanno portato in dono i loro simboli tradizionali: i semi degli alberi della foresta, un remo con cui solcano i grandi fiumi, la terra scura dell’Amazzonia, gli ornamenti di piume e legno. «È il nostro modo di dire grazie – dice Francisco Chagas, indio Apuriná delle rive del fiume Purús, affluente del Rio delle Amazzoni –: siamo profondamente grati alla Chiesa e a papa Francesco per aver ascoltato e accolto il nostro grido». Il grido degli ultimi fra gli ultimi del “villaggio globale”, a cui viene negato perfino il diritto ad esistere, se non come “fossili di un’altra epoca”, superstiti di ere remote da sopportare in attesa del loro pieno assorbimento nella “civiltà”. «Per questo, nelle nostre terre, l’annuncio del Vangelo si fa denuncia di un sistema anti-evangelico che ci nega la dignità e la libertà di autodeterminarci come esseri umani», aggiunge Francisco.

Il legame inscindibile tra «annuncio e denuncia» ha marchiato a fuoco la storia della Chiesa amazzonica, bagnata dal sangue di tantissimi martiri, alcuni conosciuti, altri del tutto ignoti. «La loro memoria ha segnato il secondo momento della veglia. Abbiamo letto il brano delle Beatitudini prima di allestire una “cappella” a loro dedicata all’interno di Santa Maria in Traspontina. Si tratta di uno spazio in cui abbiamo raccolto oggetti appartenuti a uomini e donne di Dio che hanno dato la vita per l’Amazzonia, da suor Dorothy Stang a padre Ezechiele Ramin a moltissimi altri», sottolinea fratel Antonio Soffientini, missionario comboniano, delle segreteria di “Amazzonia casa comune”. 

La celebrazione si è conclusa con un grande abbraccio finale. Stretti gli uni agli altri, uomini e donne di diversi Continenti, storie, lingue, stili di vita – un popolo di Dio quanto mai cattolico, cioè universale – hanno aperto la via che i padri sinodali si troveranno a percorrere.