Il fascino del viandante è nel suo essere sospeso: tra paura e coraggio, tra voglia di lasciar perdere e voglia di osare. Ma anche la scelta di seguire Gesù o di non seguirlo è vertiginosa per chiunque

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Friedrich

VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

(Caspar David Friedrich, 1818, Amburgo, Hamburger Kunsthalle)

 

«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,25-33)

 

In assenza di figure dedicate a questa pagina di Vangelo, per una volta ricorriamo all’arte profana. Con un’opera assai utilizzata per rappresentare l’uomo moderno (alla pari con “L’urlo” di Munch, “Guernica” di Picasso, “Il pensatore” di Rodin, “La grande onda” di Hokusai, ecc.).

Il fascino del viandante (la cui silhouette favorisce l’immedesimazione) è nel suo essere sospeso: tra paura e coraggio, tra voglia di lasciar perdere e voglia di osare, tra consapevolezza dei propri limiti e consapevolezza delle proprie capacità. La scelta di seguire Gesù o di non seguirlo è vertiginosa per chiunque, non solo per chi avverte la vocazione alla vita religiosa. Ed è giusto che venga accostata a una grande impresa: dura, insidiosa e, insieme, di altissimo profilo.

Che sia tale si capisce pure dai due personaggi citati da Gesù, assimilabili a un’archistar e a un capo di Stato odierni, ciascuno dei quali è attratto da un progetto ambizioso (nel primo caso, un grattacielo; nel secondo, una vittoria sul nemico). A loro carico è il rischio d’impresa (con l’eventualità del fallimento, se non calcolano bene le forze). E fare un passo indietro potrebbe essere saggio.

È immaginabile che il viandante di Friedrich, dopo essere stato seduto a valutare, si sia appena rimesso in piedi e stia per fare la scelta migliore. Quella che auguriamo ai giovani, con l’aggiunta di alcune parole suggerite – in una recente intervista – dall’attrice Laura Morante: «Nessun fallimento è una tragedia. Invece non aver tentato, può esserlo».

A loro auguriamo di incontrare dei santi sacerdoti, come molti di quelli da noi conosciuti in gioventù, che – ispirati dalla pedagogia di Gesù – organizzavano campiscuola in montagna, insegnandoci, davanti alle vette, a non essere temerari né timorosi. E a liberarci dalle zavorre («Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi…»).