Il Dio che perdiamo

Una premessa

La Newsletter n. 226 dell’8 luglio 2021 di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” si intitola “Il Dio che perdiamo” (opera di Raniero La Valle), inserendosi a pieno titolo nel dibattito sul post-teismo che Adista ospita da qualche anno ma che in questi giorni ha assunto una vivacità inarrestabile (link nel testo). Il nucleo del contendere di tale dibattito riguarda il Dio-persona: possiamo ancora intenderlo così, dato l’avanzare delle scienze e il sentire, sempre più critico e “adulto”, dell’umanità contemporanea? Proprio il “sentire critico” sta inducendo studiosi, credenti o dubbiosi, a porsi domande che per prima cosa mettono in discussione la necessità dell’esistenza delle religioni e, a seguire e conseguire, l’”identità” di Dio.

Un ragionare, questo, che, se articolato in risposte troppo radicali, fa sorgere in alcuni un doloroso senso di orfanità, associato al timore che anche il cristianesimo possa essere inghiottito – sospettano – in questa sorta di vuoto metafisico. Altri rispondono che no, Gesù Cristo non ha voluto creare una religione – voluta invece da sedicenti suoi seguaci e mantenuta, in alleanza anche con poteri temporali, fin oggi – e perciò la validità della parola di Gesù resta intatta e lascia intatto quell’umanesimo cristiano che è e rimane faro di fratellanza-amore-giustizia.

Un ragionare importante per la crescita spirituale; parlarne e poterne parlare non comporta giudizi e non depriva l’identità degli interlocutori, tanto meno lo strumento che ospita il loro generoso scambio di pensieri. (Eletta Cucuzza)

Carissimi,

grazie al “dossier sul post-teismo” curato da Enrico Peyretti, che pubblichiamo nella sezione “Dicono la loro” di questo sito, portiamo qui alla luce un tema finora passato sotto silenzio, che da tempo sta turbando gruppi cristiani anche a noi più vicini. Si tratta della questione che fa di Dio una nozione del passato, non più utilizzabile oggi: “Oltre Dio” è l’ultimo documento in cui è espressa questa posizione, è il terzo libro di una serie edita con dichiarata neutralità dall’editore Gabrielli, dedicata appunto al tempo che viviamo come successivo alla religione e perciò detto “post-religionale”, dove però è la neutralità stessa che fa problema: ne va infatti non solo dell’identità, ma del fondamento stesso dell’essere, non di Dio, ma della nostra relazione con lui.

L’oggetto stesso del dibattito è difficile ad essere definito, non c’è un limite, una soglia su cui alfine ci si possa attestare. Nel libro di Raniero La Valle, “No, non è la fine” (Edizioni Dehoniane), in cui il tema è già stata affrontato,  la questione è stata posta così: “Certo Dio è licenziato e accompagnato alla porta della città con tutti gli onori… (Ma) fatto sta che messo Dio tra i vecchi  attrezzi  da riporre, la strada è stata aperta per procedere allo smaltimento dei “miti”, che sono poi la creazione, il peccato, il messia, la redenzione: un accanimento da cui viene fuori un messaggio globalmente antibiblico. E se c’è stato qualche teologo volenteroso che nella ricerca di nuovi modelli cristiani ancora ha cercato di inalveare questo sommovimento nei parametri del Concilio Vaticano II e nella nuova prospettiva aperta dalla predicazione di papa Francesco (Victor Codina, “Cristiani in Europa”, in Adista-documenti, 11 luglio 2020), altri hanno rivendicato la radicalità del superamento necessario: il Concilio, papa Francesco sarebbero a loro parere ancora dei cambiamenti interni al vecchio computer; bisogna invece cambiare il computer stesso, il suo hard disk «che gira a vuoto, è pieno di virus e non consente nuove applicazioni» (Santiago Villamajor, “Riscattare il cristianesimo”, in Adista-documenti, 11 luglio 2020). Solo che l’hard disk da buttare via è il Vangelo stesso, nel suo contenuto inaudito, il pezzo da rimuovere è lo stesso mistero pasquale; e dunque a cadere sono la croce e la resurrezione, lo scambio trinitario, il dono dello Spirito, il discepolo che rimane, e l’anno liturgico che tutto ciò rivive e ripropone nel tempo. Cioè è il cristianesimo, comunque lo si dica riformato. Ebbene, il prezzo è troppo alto…”

La questione è aperta. Forse si potrebbe dire qui come alla base ci sia un equivoco di fondo sul contenuto stesso della disputa: per i neo-noncredenti collocare nel passato la questione di Dio vuol dire rifiutarne l’oggettivazione che l’ha resa tributaria del mito, della fantasia, dell’invenzione antropomorfa, l’ “Oggetto Immenso” fatto preda della ragione; e ne hanno i motivi. Ma col Dio pensato così i conti sono stati fatti da tempo, alla domanda sull’identità di Dio la risposta è quella di Gesù alla Samaritana,  Dio non va cercato su questo monte o su quell’altro, ma in Spirito e verità; la questione invece è quella del rapporto umano con lui, è la fede che lo coinvolge nella storia, è della fede che si può identificare un prima e un dopo (“il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla Terra?”); la domanda è sul senso e le implicazioni della fede di quanti credono in lui, è questo che appicca il fuoco alla storia.

E qui, su questo rapporto vitale con un “Tu” che ci ama, vale la notazione con cui Enrico Peyretti ha accompagnato il suo dossier per rivendicare il rapporto con Dio come “persona” : «Se ciò che abbiamo chiamato Dio non fosse comunicante, appellante, ispirante, in qualche modo parlante,  trasmittente una comunicazione significativa per lo spirito umano (cioè se non fosse persona), avremmo “deus sive natura” (infatti è una ipotesi): la bellezza, armonia, sensatezza, e anche cecità e violenza della natura. Ci sono, infatti, religioni della natura… Se non fosse persona, non avrebbe alcun senso l’atteggiamento umano di fede, affidamento, fiducia interiore e resistente ai colpi del caso, e della malvagità umana. Una fede che genera speranza, al di là di tutte le vicende storiche e biografiche… Se non fosse persona, non ci sarebbe la preghiera umana, che è anche il semplice sospiro, più grande di tutte la parole, davanti all’alba, al tramonto, al morire, al nascere, all’incontrare altri simili a noi, e accompagnarci nell’impresa della vita».

Se perdessimo questo Dio, possiamo aggiungere, perderemmo anche il Dio nonviolento che è il grande dono fatto all’umanità dalla Chiesa del Concilio, da Giovanni XXIII a papa Francesco ad Abu Dhabi alla preghiera nella piana di Ninive, e la violenza, a cominciare da quella religiosa, resterebbe inarginata.

Adista