Il cardinale Parolin ha ordinato ventinove sacerdoti dell’Opus Dei

La celebrazione nella basilica romana di Sant’Eugenio

Vita, semplicità e missione. Su queste tre parole ha sviluppato il suo pensiero il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nell’omelia tenuta durante il rito di ordinazione sacerdotale di 29 membri della Prelatura personale dell’Opus Dei. La celebrazione si è svolta sabato mattina, 5 settembre, nella basilica romana di Sant’Eugenio. I 29 candidati provenivano da Italia, Spagna, Messico, Guatemala, Cile, Uruguay, Costa d’Avorio, Slovacchia, Argentina, Costa Rica, Olanda, Uganda, e Perú.

Nella sua riflessione il cardinale ha ripreso le letture della liturgia, commentando le parole di Gesù che si proclama il Buon pastore. «È piuttosto radicata l’idea — ha osservato — che il pastore designi esclusivamente la conduzione del gregge». Certamente, il pastore è «colui che guida il gregge». Tuttavia, nel Vangelo emerge «una prospettiva più ampia» e si nota «la differenza che Gesù fa tra il pastore e il mercenario».

Il primo, ha sottolineato il porporato, «non riveste prima di tutto un ruolo, ma assume uno stile di vita». Il pastore infatti, soprattutto ai tempi di Gesù, «non veniva inteso come qualcuno che aveva una mansione da svolgere» ma come uno che «condivideva ogni cosa con il proprio gregge»; non viveva «come voleva, ma come era meglio per il gregge»; non si fermava dove «desiderava, ma dove stava il gregge». In effetti, «si spostava con le pecore e trascorreva il giorno e la notte in loro compagnia». Più che condurre il gregge «ci viveva immerso».

Dunque, l’immagine del pastore sembra riferirsi non anzitutto «al governo, ma alla vita». Difatti, ha aggiunto il segretario di Stato, «non a caso Gesù caratterizza il pastore come colui che dà la propria vita per le pecore». Da qui l’invito a considerare il ministero sacerdotale come «una questione di vita». Perché i preti, «assimilati al Buon pastore immerso nel suo gregge», non sono «in primo luogo chiamati a fare qualcosa» — magari neppure quella per cui si sentono più portati — ma «a dare e a condividere la vita». Così potranno «realizzare in pienezza la chiamata ad agire in persona Christi che caratterizza il sacramento dell’ordine». E questo «non solo nell’amministrazione dei sacramenti, ma incarnando lo stile di Gesù». Così come scrisse san José María Escrivá de Balaguer, «il sacerdote, chiunque egli sia, è sempre un altro Cristo».

Si comprende perciò la ragione per cui la vita del sacerdote è «una chiamata a testimoniare la gioia nell’incontro tra Dio e noi, la gioia che Dio prova nell’usarci misericordia». Essere pastori oggi, ha fatto notare il porporato, «significa, soprattutto, diventare testimoni di misericordia». E il tempo della misericordia è proprio quello che «ha proclamato il Papa nell’imminenza dell’apertura dello scorso giubileo». La grazia dell’oggi ecclesiale e le esistenze dei sacerdoti si incontrano così «nel segno del pastore misericordioso che dà la vita per il suo gregge».

Il cardinale ha poi fatto riferimento ad alcune conseguenze pratiche che derivano dall’esempio del Buon pastore, mettendo in risalto le parole e il perdono «che devono caratterizzare la vita del prete». Rivolgendosi agli ordinandi, il porporato ha raccomandato: «Le parole con cui predicherete e userete dovranno essere parole di vita». La predicazione, ha aggiunto, «ha sempre al centro il kerygma, la novità perenne e risanante della morte e risurrezione di Cristo per noi, ed è il fondamento dell’annuncio». Da qui l’invito ai nuovi sacerdoti, affinché ricordino che nella predicazione «prima di esortare va sempre proclamata la bellezza della salvezza». Infatti è «da questa bellezza che noi siamo attratti per vivere di conseguenza, per avere una vita morale all’altezza di questa chiamata».

Il segretario di Stato ha poi ricordato il pensiero di san Paolo contenuto nella seconda lettura, laddove l’apostolo ricorda «l’imprescindibilità del perdono». In questa chiave, ha invitato i nuovi preti a essere «ambasciatori di misericordia, portatori del perdono che risolleva l’esistenza, sacerdoti che amano disporre i fratelli e le sorelle a lasciarsi riconciliare con Dio». Nasce da qui il bisogno di prestare molta attenzione al sacramento della confessione. Perché è lì che i presbiteri hanno modo di essere «dispensatori di quelle grazie, di quel perdono cui il mondo di oggi ha estremo bisogno».

La seconda parola indicata dal cardinale per descrivere la figura del pastore è stata la semplicità. «Pensiamo — ha detto — ai pastori presenti alla nascita di Gesù: non rappresentavano certamente il vertice culturale del popolo e non erano l’espressione compiuta della purezza rituale». Eppure, ha aggiunto, «furono i primi chiamati ad accogliere il Messia apparso in terra». In particolare il porporato ha ricordato il giovane Davide, che «in quanto pastorello non era stato annoverato dal padre tra i figli idonei a essere consacrati». Ma il Signore, ha fatto notare, «guarda il cuore, ama i piccoli e cerca i semplici». A questo proposito, il celebrante ha invitato a guardare all’esempio di santa Teresa di Calcutta, di cui ricorreva la memoria liturgica. «Conoscete il cammino semplice che delineò — ha detto — tratteggiando in poche parole il tragitto essenziale del credente». Quindi ha ricordato una sua frase: «Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace». Si tratta di «parole semplici per collegare i poli dell’esistenza: Dio e gli altri». Infatti, «il primo e decisivo passo suggerito è trovare ogni giorno tempo per fare silenzio ed entrare nella preghiera». Questa dimensione «costitutiva del credente» è «fondamento dell’edificio spirituale», così come la definiva il fondatore dell’Opus Dei, «non mancando di ricordare che essa è sempre feconda». Poi, rivolgendosi agli ordinandi, ha assicurato che questa dimensione «rappresenterà un vero e proprio opus da esercitare fedelmente per l’intero popolo di Dio».

Il cardinale ha inoltre sottolineato come «la semplicità che nasce dalla trasparenza della preghiera comporta anche scelte concrete per andare all’essenziale del ministero». In proposito ha ricordato che madre Teresa chiedeva per prima cosa quante ore pregassero ogni giorno. Quindi, ricordando le parole di san Escrivá de Balaguer, ha detto che per essere pastori «occorre anzitutto avere una vita ben ordinata; e ciò significa non lasciarsi ingolfare da mille cose, pena il rischio di smarrire la semplicità di un cuore pienamente dedito al Signore».

Infine, il segretario di Stato non ha mancato di far notare come i 29 ordinandi ricevano il sacramento dell’ordine alla missione del sacerdote durante questo pontificato di Francesco, che, «oltre alla priorità della misericordia vissuta e al richiamo alla semplicità evangelica», sta insistendo sulla «esigenza non più rimandabile della missione, quale vocazione principale della Chiesa». Essere Chiesa in uscita, ha sottolineato il cardinale Parolin, «significa non concepirsi più come fine , ma come mezzo, per portare non noi stessi, ma il Signore che salva».