Il cantico delle religioni

Si torna ad Assisi 25 anni dopo. Tornano i rappresentanti di tutte le religioni, invitati dal Papa, a pregare insieme. Tornano le critiche, le lettere aperte di cattolici e non, i richiami alla prudenza: andare ad Assisi sarebbe un gesto audace e quindi pericoloso. Eppure nel Vangelo si raccomanda di accompagnarci con chiunque, anche con quelli che ti possono rubare il mantello. Non so voi, ma a me l'insistenza esagerata alla prudenza di molti nostri giornali, il suggerimento a pensarci due volte prima di muoverci ricorda i lontani permessi strappati ai genitori per uscire di casa, quando poi, soffocati dalle troppe raccomandazioni, eravamo quasi tentati a rinunciare… Non si dimentichi che l'invito parte dal Papa, la prima volta da Giovanni Paolo II, ritenuto da qualcuno troppo istintivo, e ora da Benedetto XVI, considerato invece eccessivamente riflessivo e cauto. Venticinque anni fa sono stati più di centocinquanta gli esponenti di tutte le religioni a dire di sì e a unirsi, ciascuno secondo le proprie tradizioni, nell'invocazione alla pace. Con le diverse confessioni cristiane partecipavano hindu, musulmani, buddisti, ebrei, shintoisti ecc. dai variopinti copricapi piumati. Non c'era nessuna intenzione di «negoziare le convinzioni di fede», nessun relativismo, spiegherà Giovanni Paolo II, ma il convincimento che «se il mondo deve continuare, e gli uomini e le donne vogliono sopravvivere, il mondo non può fare a meno della preghiera». Confesso di aver vissuto allora un'esperienza unica, quasi irreale, accanto al popolare telecronista vaticano Dante Alimenti, che era uscito contro il parere dei medici dal policlinico Gemelli (e ne rientrerà poco dopo per morire) convinto di dover trasmettere da Assisi un nuovo cantico delle creature. Non so se ripeteranno gli stessi gesti di venticinque anni fa, davanti alla Porziuncola e nella piazza inferiore di San Francesco: fra canti di lingue esotiche, dal greco al giapponese, tutti allineati, soli, senza particolari segni di autorità religiosa, senza il suggerimento di cerimonieri; reggevano un vaso con una pianta di olivo, in silenzio. E si rivolgevano tutti allo stesso Altissimo invocandolo con nomi diversi e pregando per la pace nel mondo. Ricordo i pensieri di venticinque anni fa a quella scena di Assisi: pensavo al messaggio del film con Gregory Peck Le chiavi del Regno e cioè alle porte del Paradiso che sono aperte a tutti gli uomini di buona volontà, anche se risultano misteriose le strade della salvezza che passano per Cristo. Ma non ne ho parlato con nessuno: tutti in silenzio si pregava.

L'acquasanta

foto CENSI

Pregiudizi razziali

Il cartello è all'entrata del paese. Di solito queste scritte annunciano il gemellaggio con città estere o avvenimenti caratteristici o monumenti storici. Qui, pur facendo onore al Comune, suona come un rimprovero per la maggioranza delle città italiane che non possono vantare lo stesso distintivo. Siamo a Pessina Cremonese, 755 abitanti, e il sindaco ha fatto apporre in grande, sotto il nome della località, la scritta "Comune libero da pregiudizi razziali". La prima annotazione che ti viene è che non dovrebbe essere una novità, specie per un cristiano del duemila. Ma se qui ne fanno un vanto, ci sarà pure una ragione. E non è solo l'orgoglio di aver costruito per i molti indiani del posto un tempio Sikh che è il più grande d'Europa e di vivere e lavorare in armonia fra razze diverse. Basta percorrere qualche chilometro nei dintorni per imbattersi in Comuni che scrivono il nome in dialetto prima che in italiano e dichiarano l'ostracismo al velo delle donne e alla mezzaluna delle moschee. Meglio sarebbe se alla celebre frase che a Roma domina dal Colosseo quadrato: "Italiani un popolo di santi, poeti e navigatori…" ecc. si potesse aggiungere, come a Pessina cremonese, "liberi da pregiudizi razziali".

Facili miracoli

Chissà se l'apostolo Paolo darebbe degli italiani lo stesso giudizio che riservò ai greci parlando all'Areopago di Atene: cioè che siamo molto religiosi, vedendosi circondato da tante chiese e da espressioni di culto. Da noi anche la pubblicità, televisiva o murale, è intrisa di religione. Così in Paradiso si serve un buon caffè e Qualcuno vigila perché non ci cada in testa una disgrazia. Da alcuni mesi si è aperta una campagna di abbonamento per una rete televisiva nella quale assistiamo ai miracoli dello sport: a turno atleti, in atteggiamenti ieratici, come i santini delle chiese, compiono prodigi moltiplicando i pani, dividendo il Mar Rosso e proclamano le beatitudini. Insomma si ripassa la Bibbia in chiave sportiva. Il commento? È nel detto popolare: «Scherza con i fanti e…».

Attilio Monge – vita pastorale ottobre 2011