Il cammino di fede del Battista

di: Giovanni Giavini

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Settimana News

Non possiamo pretendere dai Vangeli la cronaca esatta di una vita come quella del grande precursore, tuttavia è pure una fortuna che di lui parlino tutt’e quattro gli evangelisti, sia pure con la solita loro concordantia discors; particolarmente discorde dai Sinottici appare, a prima vista, Giovanni.

Giovanni dall’infanzia all’adolescenza

Con questa avvertenza possiamo però tentare – è solo un tentativo – una traccia del suo cammino di fede: iniziato in una famiglia, sviluppato in un deserto, cresciuto in un incontro con il più grande di lui, scontratosi con una crisi dolorosa, concluso con un martirio simile a quello degli antichi profeti e del Cristo da lui proclamato.

I primi suoi passi in una famiglia, quella di una coppia sacerdotale e molto legata a leggi e tradizioni liturgico-templari: Zaccaria ed Elisabetta, di cui ci parla il solo Lc, cap. 1. Leggendo anche tra riga e riga – e pure con un po’ di fantasia – la pagina giudeo-cristiana di Lc, possiamo intravvedere, anche qualche linea della formazione di Giovanni. I suoi genitori, pur bravi e oranti ebrei, attendono tempi nuovi innanzitutto per Israele ma anche per altri timorati di Dio ancora nelle tenebre, in sintonia con l’illustre e misteriosa visitatrice Maria di Nazaret (cf. il suoMagnificat e il Benedictus di Zaccaria).

Ma attendevano tempi nuovi pur con i propri limiti personali: Zaccaria è spaventato e resta muto per mesi; Elisabetta è timida e preoccupata delle dicerie delle comari al lavatoio; Maria stessa «si chiedeva il senso del saluto dell’Angelo» e «comprendeva» a poco a poco, di stupore in stupore. Nel IV vangelo, Giovanni ricorderà che il Battista dapprima «non conosceva» Gesù, solo dopo poté davvero conoscerlo (Gv 1,1-33). Ciò ci permette di leggere ora quelle pagine come frutto di una comprensione progressiva sia di quei personaggi sia degli evangelisti stessi: quindi, appunto, non vi pretendiamo una cronaca esatta degli eventi originali.

Quali tempi nuovi attendevano quei personaggi? Nell’annunciazione a Zaccaria nel tempio di Gerusalemme si precisa la missione dell’atteso figlio: sarà come Elia, il profeta di fuoco, il profeta predetto da Malachia 3,23s per i tempi messianici e per preparare la sua gente a evitare il «giorno grande e terribile» della rovina minacciata in particolare sui sacerdoti del tempio (3,3ss).

Possiamo ipotizzare che i genitori – e forse anche altri loro compatrioti (Lc 2,65s) – abbiano pronunciato auguri e auspici profetici sul piccolo Giovanni, magari anche in seguito a segni del suo carattere forte: “Sarai un nuovo Elia, annunciatore di salvezza e di misericordia, ma anche castigatore di costumi fuorviati, magari anche dei nostri capi, indegni del grande e forte messia in arrivo…”.

Come figlio di un sacerdote del tempio, il piccolo Giovanni, quasi suo… chierichetto, avrà girato per la città, sarà entrato nel tempio… estasiato forse dai riti solenni, ma anche acuto osservatore di mercato, soprusi, slealtà, ingiustizie anche da parte di re, capi e soldati. Lo spirito del vecchio Elia, forte critico contro falsi sacerdoti e profeti e contro i suoi re Akab e Gezabele, poneva in Giovanni sempre più solide radici. Forse i genitori, ormai anziani ed esperti, lo volevano più mite e arrendevole?

Giovanni rompe con la famiglia

Fatto sta che, come spesso gli adolescenti, Giovanni rompe con la famiglia e si instaura in un deserto (in ebraico: luogo senza parola), alla ricerca della Parola che parla anche nel silenzio, come fu per Elia nel deserto dell’Oreb (1Re 19,1-12). Alla ricerca della sua vocazione: servo della misericordia di Dio o della sua ira minacciata? E, nel deserto, si veste e si ciba in modo simile proprio a Elia (2Re 1,8). Notiamo: deserto poteva essere anche una zona presso qualche sorgente, come quella abitata dai gruppi di Qumran, ricca di grotte e vicina al Mar Morto. Giovanni avrà conosciuto e frequentato Qumran? Può darsi, ma poi se ne deve essere staccato: quei gruppi, contrari a tutto e troppo chiusi in se stessi, non potevano soddisfare il suo cuore e scelse un suo luogo vicino al Giordano e probabilmente al Mar Morto.

Avrà incontrato Gesù da ragazzo e da giovane? L’arte ce lo assicura, i vangeli no. Possiamo però pensare che ne abbia sentito parlare, come di uno che Elisabetta aveva conosciuto tramite Maria e che, in Maria, aveva salutato come «mio Signore». Ma, dopo, che cos’era successo di quel figlio di Maria? Rintanato nella sua misera Nazaret? Ma il mondo aveva bisogno di lui: perché non arriva con la sua forza di Signore, con lo Spirito infuocato del giudizio di Dio?…

Animato da questi sentimenti e ancora in ricerca della propria missione, per una misteriosa suggestione avvalorata probabilmente da qualche informazione di altri o di Gesù stesso, presso il Giordano il Battista vede arrivare il «più grande di lui, al quale non era degno di sciogliere i calzari», che pure avrebbe voluto fare: ma è Gesù stesso che se li scioglie, si mette a nudo, si mette in fila tra peccatori e gli chiede un battesimo di «conversione in remissione dei peccati»!

Lo stupore diventa protesta, che Mt ci ricorda: «Non è giusto! Io devo essere battezzato da te, così vuole la giustizia di Dio: Dio vuole che tu, con la forza infuocata del suo Spirito, tu prenda in mano ventilabro e fuoco per bruciare ogni zizzania!».

Compilando insieme i racconti di Mt, Mc e Lc sul battesimo di Gesù, è facile riscoprire quella prima immaginazione che Giovanni ebbe del Messia e della propria missione-vocazione. Lo conferma anche il tipo di predicazione del Battista contro tutti e, insieme, aperta a tutti, con lo scopo di prepararli al tempo messianico dell’ira e della salvezza (cf. Mt 3,1-12; Lc 3,1-18).

Il IV evangelista (1,29) sembra staccarsi dagli altri tre, facendo presentare dal Battista alle folle Gesù come «l’agnello di Dio che porta via il peccato del mondo».

Ma in quale senso «agnello»? Il vero agnello pasquale che allontanava mali e morte? Può darsi.

Ma in quale senso quel «portare via»? Perdonando solo o anche bruciando peccato e peccatori? Difficile sapere esattamente come la pensasse all’inizio il Battista, ma è probabile il secondo senso, alla luce del racconto dei Sinottici.

Ci si chiede anche se abbia proprio usato la parola «agnello» (o non dipenda solo dall’evangelista). Se il Battista aveva parlato, come pare, in aramaico, potrebbe aver usato la parola taljà, usata sia per «agnello» che per «servo» e troveremo questa seconda idea tra poco.

Comunque, come immaginava dapprima quel profeta l’azione del Messia servo o agnello di Dio che fosse?

Lo scandalo del battesimo di Gesù

Qui soprattutto Mt e Mc sono chiari, Lc meno, Gv lo lascia intravvedere: in un primo momento il Battista non voleva “conoscere-riconoscere” il comportamento umile e stupefacente di quel Grande: non gli pareva giusto vederlo in fila tra peccatori, spogliato come loro, mescolato con altra gente, tra folle anche di sacerdoti, leviti e farisei attratti e pur perplessi sul personaggio che battezzava con l’acqua del fiume (Gv 1,19-35). Il pur grande Battista forse qui ebbe la prima crisi di fede in Gesù e in se stesso: che io abbia sbagliato tutto, che sia andato inutilmente a sentire le voci del deserto?

In questo frangente succede qualcosa di illuminante. I tre sinottici, pur con qualche variante, parlano di una “teofania” o “epifania” rivelatrice. Con immagini della tradizione biblica e popolare, essi scrivono di «apertura/lacerazione di cieli… di voce celeste… di colomba». Il IV vangelo invece ignora la manifestazione celeste e la riduce a una folgorazione interiore del Battista.

Tutt’e quattro però lasciano intuire il senso: il Battista fu portato a capire che proprio quel tipo di evento, per lui dapprima scandaloso/urtante, corrispondeva alla “giustizia” di Dio, al divino “compiacimento”! E che quell’uomo in fila tra peccatori era il vero Figlio di Dio, Figlio e Servo, come l’aveva predetto Is 42 (che tutti gli evangelisti citano): «Ecco il mio figlio-servo, nel quale io mi compiaccio… ho posto su di lui il mio Spirito… perché porti un giudizio di luce e di salvezza per Israele e per le genti lontane» (un servizio che gli costerà anche umiliazioni e sofferenze, come di agnello condotto al macello: Is 53).

Ma il Battista – e non era l’unico: vedi Pietro, scribi e farisei, folle – stentava ad accettare e a comprendere totalmente; avrebbe preferito una manifestazione diversa anche dello Spirito divino: un globo di fuoco, un volo di rapace, un angelo con ventilabro e falce… Invece, ne ha la percezione «come di colomba» semplice e senza artigli. Che l’abbia proprio visto con gli occhi (sinottici) o solo col cuore (Gv) è secondario e solo curiosità e… pascolo per artisti e predicatori.

In un modo o in un altro, comunque, il Battista riscopre il suo posto, la sua vocazione e missione: quella di essere «voce angelico-divina» a servizio del più grande di lui e della sua azione messianica (Is 40, citato dai quattro evangelisti: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore… che vuol consolare il suo popolo»).

Una seconda crisi di fede

A quanto pare, rimaneva nel Battista anche, anzi forse ancora forte, la vecchia attesa del grave giudizio e del ventilabro fiammeggiante, almeno come assai prossima e severa preparazione alla «consolazione» predetta da Is 40,1-5. Ma ancora dovrà cambiare attesa. E sarà un’altra crisi di fede, causata proprio da Gesù! Lo sappiamo da Mt 11,1-6 e Lc 7,18-23: «Giovanni, che era in carcere (per le note vicende di Erode Antipa e Erodiade), avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo di suoi discepoli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».

Chiaramente la fede del pur grande Battista è rimasta “scandalizzata”, ossia urtata dall’attività di Gesù: non era come se l’aspettava! Rimase tuttavia in ricerca e in attesa di qualche risposta. Gesù, che pure non interviene a liberarlo dal carcere – perché? I misteri della provvidenza… – ne illumina la fede e lo conforta con l’appello alle opere che stava compiendo in adempimento di antiche profezie: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi riacquistano l’udito, i morti risorgono, ai poveri è predicata la buona novella. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo».

Le antiche profezie alle quali Gesù poteva alludere erano parecchie, in particolare nel libro di Isaia: 26,19; 29,18; 42,7; 61,1. In alcuni di questi testi si parlava, oltre che di vendette divine contro i peccatori, anche di liberazione di carcerati! Liberazione che Gesù non compì nemmeno per Giovanni, pur compiendone per indemoniati! Per Giovanni però Gesù riservò una grandiosa lode: «È più che un profeta… un angelo-messaggero… tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui… egli è quell’Elia che deve venire» (Mt 11, 7-14; Lc 7, 24-28).

Eppure, Gesù aggiunge: «Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»: frase misteriosa, che forse voleva suonare come un invito a Giovanni e a tutti ad accettare Gesù, considerato più piccolo da molti a causa della sua umile condizione e attività, come invece «il più grande nel regno dei cieli». Ricordiamo, tra l’altro, che Gesù era un laico di Nazaret, mentre Giovanni era di stirpe sacerdotale e di Gerusalemme.

La fine di un cammino drammatico

Comunque, Giovanni seppe concludere il suo drammatico cammino di fede, coerente con la sua coscienza fino alla morte. Certamente anche la risposta datagli da Gesù lo confortò a vivere fino in fondo la sua missione nata in famiglia, cresciuta nel deserto, confrontata – sia pure con momenti di crisi – con la Parola e lo Spirito di Gesù. Non per niente tutt’e quattro gli evangelisti hanno ricordato con indiscutibile stima la sua figura.

Particolarmente interessante a questo riguardo Gv 3,25-30, dove il IV evangelista, ex discepolo del Battista, riferisce di lui che seppe riconoscersi come semplice «amico dello Sposo… che esulta di gioia alla voce dello Sposo. Ora questa mia gioia è piena. Egli (Gesù) deve crescere e io invece diminuire». Allusione a testi dell’AT in cui si parlava di Dio come il vero sposo di Israele (cf. Os 1-3; Ger 3,1 e 4,1; Is 54,5-7; Ez 16 e 23): il Battista, dunque, amico del divino Sposo del suo popolo! Dalle crisi iniziali a una fede matura e gioiosa!

Ognuno può confrontare ora con quello del Battista il proprio cammino di fede.

 * Don Giovanni Giavini, prete ambrosiano dal 1955, ha insegnato scienze bibliche per molti anni nei seminari milanesi e nell’Istituto superiore di scienze religiose di Milano. È stato anche direttore dell’Ufficio Catechistico e di quello per l’Irc della curia diocesana. È anche autore di parecchi articoli e libri di carattere scientifico e popolare. Ora risiede in una parrocchia di Milano e tiene corsi popolari sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa.