Il bello della teologia

di: Roberto Mela

teologia

Se alcuni autori hanno avuto un grande successo nel far risorgere lingue “morte” come il latino e il greco, perché non potrebbe essere anche il caso della teologia? Non si può continuare a pensarla confinata nei seminari, come ritengono quasi tutti, con compiti funzionali. «Solo una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo e non si accontenti di essere soltanto funzionale, attira» afferma papa Francesco (Discorso alla Commissione teologica internazionale, 28/11/2019).

Il libro di Armando Matteo nasce da questa sana “invidia”, dall’ammirazione per la fortuna riscossa da opere di autori coraggiosi. L’autore è convinto che è possibile trasmettere la “novità” di Gesù ai confini dei cuori degli uomini e delle donne dei nostri tempi rendendola interessante, vitale. Far sentire loro che quando Gesù parlava, parlava di Dio agli uomini e degli uomini a Dio, ai quali egli rimane molto interessato.

Il “mistero” e la Luce

La “teologia” è un discorso (logos) su Dio (theos), un discorso che riguarda Dio ma anche l’uomo e la sua felicità. Essa nasce dall’avvertire un mistero che circonda l’uomo circa la sua provenienza, il senso del cammino, l’esito finale del proprio andare. Il “mistero” non è qualcosa di inconoscibile a cui arrendersi più o meno in partenza, ma ciò che proprio per la sua vastità e inesauribilità richiede sempre nuovi sforzi di comprensione e di attenzione. Una realtà – afferma Matteo – a cui approcciarsi come i topi, chiudendo gli occhi e serrando la bocca per percepirne a poco a poco il contenuto.

Dall’inizio dell’universo gli uomini hanno vinto l’angoscia trovando le parole per dire il mondo, esprimendo con esse non solo le denominazioni delle cose, ma anche il sapore del mondo. Ciò ha potuto accadere perché una condizione di possibilità vi era data: Dio, la cui etimologia rimanda al significato primordiale di “Luce”. Dio è la Luce, il Luminoso che dà possibilità di accostarci al mistero e alla realtà in genere illuminandone il senso profondo.

On the road

Gesù compare sulle strade della Palestina. Un «giovane ebreo» con cui confrontarsi «corpo a corpo», in modo necessario, unico e assoluto (P. Sequeri). Dio-uomo on the road ha rivelato il Padre con le sue parole e i suoi gesti, anche “scandalosi”, di accoglienza e di guarigione. Un Dio che per tutti è amore, che non lascia nessuno indietro, non trascura alcun uomo.

Gesù svela Dio e lo fa nell’estrema paradossalità della croce. Egli non si tira indietro dal dono totale di sé e, dopo la Pasqua, i suoi discepoli lo hanno sperimentato vivo e risuscitato dal Padre. Ad essi ora è data la possibilità di scrutare Dio, il mistero dei misteri, dando origine alla teologia, il discorso su Dio.

I Vangeli, la “bottega” della teologia

I Vangeli si presentano come la prima “bottega” della scienza teologica. Con stili diversi, i quattro evangelisti hanno ricuperato i detti e i fatti riguardanti Gesù. Con un linguaggio vivo, attraente, che attinge dal vissuto concreto della gente – specialmente con le parabole e altri strumenti linguistici –, Gesù e gli evangelisti toccano il cuore degli uomini nel variare delle loro culture, cioè “gli occhiali” con cui leggono e vivono la realtà in cui sono immersi.

La scelta del greco come lingua di scrizione mostra chiaramente il loro primario interesse ai destinatari dei loro scritti. Si tratta di mettere in rapporto Gesù con i lettori e viceversa. «È Gesù che per primo agisce in modo che la rivelazione che egli offre a riguardo del mistero di Dio non sia mai espressa in modo indifferente ai vissuti e agli immaginari del destinatario. Ciò che è in gioco nell’accoglienza o meno di quella relazione è esattamente la possibilità di un nuova relazione con la propria esistenza da parte chi ascolta in quanto vi è più radicalmente in gioco la possibilità di una nuova relazione con Dio. E viceversa. Vi è in gioco la possibilità di una nuova relazione con Dio proprio perché ne va di una nuova riuscita relazione con la propria esistenza» (pp. 59-60).

Gesù annuncia che Dio è per tutti amore e la fede è «imparare a vedere il mondo con gli occhi stessi di Gesù, a considerarne la totalità del suo punto di vista, ad apprezzarne la consistenza e bontà a partire dai suoi indici di valore (p. 60). I Vangeli sono stati scritti per far conoscere Gesù e affinché il cuore degli ascoltatori/lettori possa “ardere” e decidersi per lui. Si è creato uno spazio di un effettivo ed efficace dinamismo di presenza di Gesù, una scrittura performante, soprattutto con la “creazione” magnifica di singoli personaggi modelli di ogni possibile difficoltà a dare credito alla verità che emerge dai gesti e dalla predicazione di Gesù.

Dio non è lontano da nessuno e, dandogli credito, io posso ripristinare una relazione di prossimità con la mia vita. Dio ama tutti e inquieta per liberare. Liberando inquieta, inquieta liberando. Nei Vangeli incontriamo il linguaggio caldo e sereno delle cose, un linguaggio tratto dalla vita quotidiana. Un eloquio che illumina, scioglie, riscalda, purifica e incendia. Il lettore è inviato sempre di nuovo a mettere in questione la propria vita e il suo rapporto col mistero di Dio.

Animale non stabilizzato

L’autore riassume così il compito del teologo cattolico romano: «Comunicare Gesù assiduamente, lavorando in vista del sorgere di un desiderio della fede negli uomini e nelle donne della generazione cui egli appartiene, scrupolosamente individuando nel loro cuore gli spazi di apertura e quelli di resistenza alla decisione della fede. Promuovendo gli uni, smussando gli altri» (p. 62).

Animale non ancora stabilizzato, l’uomo è privo di istinti, cioè di risposte rigide agli stimoli esterni. Questo fatto lo mantiene libero, capace di progresso nella comprensione e nel dominio di ciò che lo circonda, capace di guidare in libertà la costruzione della propria vita. La libertà fondamentale dell’uomo gli dà la possibilità di aprirsi ai discorsi che danno senso alla propria esistenza.

La scoperta dei propri limiti, la capacità di lamentarsi, spinge l’essere umano in avanti, essendo la coscienza del proprio limite il suo tratto tipico. L’uomo è «un animale non ancora stabilizzato. Insomma, un animale semplicemente libero. Più concretamente: animale che si lamenta, comunque». (p. 70). E questo dà la possibilità del cambiamento, della mutazione, della trasformazione e del miglioramento. Cambiano in tal modo le culture, gli “occhiali” con cui l’essere umano guarda il mondo.

Il compito della teologia

Quale dunque il compito della teologia, del discorso divino, della scienza divina? È quello di fare da ponte tra il messaggio che i Vangeli rendono disponibili e le differenti stagioni della mai sopita evoluzione culturale degli uomini. Fare ponti perché la storia di Gesù, la suastoria (his- story), diventi quella dell’uomo e viceversa.

Nei quattro capitoli seguenti del libro (pp. 81-154) l’autore scorre velocemente la storia della teologia. I padri, alla luce di Platone, proposero la sapienza. Con uno sguardo positivo ad Aristotele, i dottori proposero una teologia per il Medioevo, sapendo che la mente non mente. Nell’età della ragione gli apologeti dovettero combattere sulla difensiva, situazione in cui è difficile vincere. Occorre scommettere per credere (Pascal). I mistagoghi, infine, agiscono nel regno libero della libertà. Gli “occhiali” postmoderni fanno dire all’uomo che è possibile toglierli tutto, ma non la propria libertà. E allora sarà l’occasione di chiedere a tutti: Cosa è veramente degno della mia libertà? Solo l’amore è credibile… Anche «nella postmodernità – cioè nel regno libero della libertà – l’amore possiede risorse sorprendenti» afferma l’autore (p. 152).

Teologia bella

L’ultimo capitolo della sua fatica (pp. 155-170) Matteo lo dedica al panorama odierno che pare mostrare una pressoché totale estraneità delle persone al messaggio evangelico e alla pratica religiosa. Pare interrotta la trasmissione generazionale della fede. Sembra persa la memoria collettiva della fede.

Molti testimoni oggi, a partire da papa Francesco e da molti teologi, si pongono come antenne per Dio, che sembrano mancare.

Tutti i credenti, però, devono cercare modalità nuove di trasmissione della fede, trasformando gli attuali luoghi ecclesiali. Da luoghi di celebrazione della fede dovranno «diventare soprattutto luoghi di generazione alla fede. Se uno non si incrocia e non si innamora di Cristo, lì dove i credenti pubblicamente ne celebrano la fede, sarà difficile che possa capitare altrove. Lì dove i cristiani si incontrano, lì si deve operare affinché chiunque possa incontrarsi con Gesù e la sua parola su Dio» (p. 166).

Da parte loro, i teologi dovranno sforzarsi di dare alla luce una teologia bella, capace di parlare in modo bello della singolare bellezza di Gesù, creando ponti tra la rivelazione del mistero di Dio offerta in Gesù e la “filosofia di vita” di ogni generazione presente al mondo (e che si esprime spesso in romanzi, saggi filosofico-sociologico-psicologici, film, canzoni, opere d’arte, app dei telefoni, moda dei capelli e dei vestiti ecc.).

Quale spazio c’è per un parola su Gesù? Per un parola di Gesù? Le persone lo ascolteranno se sentiranno parlare loro di una persona interessata alla loro storia di felicità. Una teologia bella, evangelica, sana e sanificante che fa interagire quotidiano e vangelo, facendo scaturire vita felice.

Credere o non credere, questo è il problema”, ricorda Matteo nella sua conclusione, dove commenta alcuni incontri di Gesù con persone che rende felici (Levi/Matteo, la peccatrice, Zaccheo, il centurione), ma anche delusi, seppur amati (il giovane ricco) (pp. 171-182).

Chiude il volume una piccola bibliografia di riferimento (pp. 183-186).

La percezione dell’amore

Mi piace riprendere la splendida pagina di von Balthasar posta a chiusura del volume (p. 153). L’amore “ostinato” della mamma schiude il bimbo e lo sveglia all’amore e alla conoscenza. Egli raggruppa tutte le vacue impressioni sensibili attorno al nucleo del tu. «Così Dio si manifesta all’uomo come amore: è Dio che illumina l’amore e lo fa risplendere e accende nel cuore umano la luce dell’amore, quella luce che è appunto in grado di vedere questo amore – l’amore assoluto: “Poiché Dio, il quale disse che dalle tenebre splendesse la luce, egli stesso rifulse nei nostri cuori, perché si rendesse chiara la cognizione della gloria di Dio nel volto di Gesù Cristo” (2Cor 6[sic!]; lege 2Cor 4,6). Da quel volto ci sorride paternamente-maternamente la Causa prima dell’essere. In quanto siamo sue creature, il germe dell’amore – come immagine (imago) di Dio – è assopito dentro di noi. Ma come nessun bambino si sveglia all’amore se non è amato, così nessun cuore umano potrà destarsi alla comprensione di Dio senza il libero dono della sua grazia – nell’immagine del suo Figliolo» (cit. da La percezione dell’amore. Abbattere i bastioni Solo l’amore è credibile, Jaka Book, Milano 2010, 105-106).

  • Armando MatteoEvviva la teologia. La scienza divina, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2020, pp. 192, € 16,00, ISBN 9788892222724.
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