Il 19 agosto del 1954 moriva Alcide De Gasperi, lo statista italiano che lavorò per anni alla Biblioteca Vaticana

 

Nei decenni successivi alla morte di Alcide De Gasperi (19 agosto 1954), Nello Vian tornò spesso sulla figura dello statista trentino: in particolare sugli anni in cui lo ebbe collega alla Biblioteca Vaticana, nella quale De Gasperi era entrato come “soprannumerario” nell’aprile del 1929 (sarebbe entrato nei ruoli nel 1939, diventandone segretario) e Vian nel 1934. Già nel più notevole e disteso dei suoi interventi, quello pubblicato su “Studium” nell’aprile del 1956 (Ritratto morale di Alcide De Gasperi), egli aveva cercato di tracciarne appunto un “ritratto morale” più che tentare una ricostruzione meramente politica: di chiarire come le sue principali scelte fossero germinate da una coscienza morale e religiosa che non aveva mai travalicata. Quello che si ripropone in questa pagina (De Gasperi, bibliotecario di passo) è una sintesi di alcune di quelle pagine: è compreso nel volume del 1980 Il leone nello scrittoio, una raccolta di aneddoti e curiosità letterarie di cui l’umanista Vian – al pari dell’amico Pietro Paolo Trompeo – fu veramente maestro. Vi mostra anche la sua perizia di bibliografo, ricordando un intervento degasperiano del grande orientalista Giorgio Levi Della Vida, che è invece sfuggito agli studiosi che hanno ripercorso gli anni dell'”esilio interno” dell’ex leader popolare, pur contenendo una serie di elementi piuttosto illuminanti.
Si tratta di un articolo (Un cimelio da rintracciare negli scaffali della Vaticana) pubblicato nella terza pagina del “Corriere della Sera” di Mario Missiroli il 21 agosto 1954, all’indomani della morte dell’ex presidente del consiglio.
All’inizio del 1920 Levi Della Vida era stato chiamato a sostituire il maestro Ignazio Guidi, giunto alla pensione, sulla cattedra di ebraico e lingue semitiche dell’università di Roma, ma – antifascista da sempre – nell’autunno del 1931 era stato uno dei dodici docenti universitari estromessi dall’insegnamento per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime. Fu monsignor Eugène Tisserant a procurargli un impiego alternativo che gli permise di proseguire la sua attività di studioso, invitandolo, con il consenso di Pio XI, a curare i manoscritti arabi islamici della Biblioteca Apostolica Vaticana. Avrebbe tenuto questo incarico dal 1932 al 1939: di questi anni l’articolo del 1954 costituisce una testimonianza preziosa, anche perché Fantasmi ritrovati, la sua straordinaria autobiografia pubblicata nel 1966, si arresta proprio al 1931 e quindi tace sia degli anni “vaticani” che di quelli “americani” (dopo la promulgazione delle leggi razziali, l’illustre semitista emigrò negli Stati Uniti, dove sarebbe rimasto fino alla fine della guerra).
Alla Vaticana, appunto, Levi Della Vida conobbe De Gasperi: “Chi l’ha frequentato in quegli anni difficili risente con accorata dolcezza la stima profonda e la schietta simpatia che suscitava la sua personalità diritta, onesta, ricolma di gentilezza umana”. Anch’egli ne traccia a suo modo un “ritratto morale”, che – derivato da una sensibilità certo diversa – conferma e, al tempo stesso integra, quello di Vian, ricordando anche due singolari vicende di cui fu testimone in quegli anni.
Il 28 aprile 1933 (i Taccuini di lavoro di Benedetto Croce ci consentono di precisare la data e le circostanze), il filosofo napoletano varcava le soglie della Biblioteca Vaticana per una serie di controlli sui manoscritti dell’umanista Elisio Calenzio. “Non era passata un’ora – ricorda Levi Della Vida – che dal piano del catalogo veniva su De Gasperi, seguito a breve intervallo, sbucata non si sa di dove, dalla fedele Maria Ortiz, che di recente era stata sbalestrata dalla direzione della Biblioteca nazionale di Napoli all’Universitaria di Roma soltanto, si diceva, per far dispetto a Croce”.
Levi Della Vida conosceva Croce dagli anni immediatamente precedenti la grande guerra, quando aveva insegnato all’università di Napoli. Ma anche De Gasperi aveva già avuto contatti con lui, anche attraverso il comune amico Stefano Jacini, e Croce sapeva benissimo che il Vincenzo Bianchi che, pochi mesi prima, aveva recensito su “Studium” rispettosamente, ma assai criticamente, la sua Storia d’Europa altri non era che lo stesso De Gasperi. Si era a pochi mesi dalla Machtergreifung hitleriana e della situazione tedesca e dei pericoli nuovi che stavano incombendo sull’Europa si parlò a lungo in quella lunga conversazione. “Dovevano passare ancora molti anni pieni di tormento e di orrore – commentava Levi Della Vida alludendo all’europeismo di De Gasperi – prima che noi e i tedeschi ci si accordasse a riconoscere, e in gran parte anche per opera di lui, che tra gente di buona fede e di buona volontà si impara sempre reciprocamente”.
L’altra vicenda rammentata da Levi Della Vida è di qualche anno dopo: nel 1935 era uscita a Zurigo l’autobiografia del medico svizzero Fritz Brupbacher (60 Jahre Ketzer von Fritz Brupbacher, Zürich-Leimbach, B. Ruppli, 1935), in cui quell'”eretico” ricostruiva il suo lungo itinerario nel sovversivismo europeo: era stato socialdemocratico, poi sindacalista rivoluzionario con diffusi contatti con gli ambienti anarchici, nel 1921 era entrato nel partito comunista svizzero, ne era stato espulso nel 1933 per sospetto trotzkismo. Brupbacher – scrive Levi Della Vida – “ben sapendo che [la sua opera] non sarebbe potuta penetrare in Italia, aveva avuto l’ingegnosa idea d’inviar[la] in omaggio alla Vaticana perché almeno colà trovasse qualche lettore”. Ne trovò almeno due, Levi Della Vida e De Gasperi, anzi questi volle assolutamente avere la precedenza. “E qualche giorno dopo gli riportò il libro, tutto quanto larderellato ai margini da vigorosi tratti di lapis nei punti di più attuale e più scottante contenuto politico. Guai se le gelose autorità della Vaticana si fossero accorte che le leggi rigorose intorno alla conservazione dei libri erano state sfacciatamente violate proprio da chi era chiamato a farle osservare! Chi sa che oggi, se qualcuno pensi a tirar fuori dagli scaffali quel volume impresso col segno dell’ardore segreto dell’uomo che più tardi ha tenuto in mano le sorti dell’Italia per così lungo e così fortunoso periodo, esso non potrebbe trovar luogo tra i cimeli dell’insigne biblioteca…”.
Lo ha fatto, con la consueta acribia, l’amico Paolo Vian, che fornisce questa rapida descrizione del libro: “A onore del bibliotecario De Gasperi devo dire che le tracce della sua lettura sono davvero molto discrete. Sulle 381 pagine che compongono il volume trovo, nel margine esterno delle pagine, discreti tratti verticali (più raramente orizzontali), a matita (che individuano una o più righe del testo), in poco più di un centinaio di pagine. Solo in due casi sono sottolineate alcune righe o parole. (…) Mai un commento. Gli interventi, che solo l’articolo di Levi Della Vida permette di ricollegare alla mano di De Gasperi, sono, ripeto, molto discreti e non invadenti. De Gasperi ha letto tutto il libro perché i segni di lettura attraversano l’intero volume, dall’inizio alla fine. Si può aggiungere che il volume, per il tipo di testo, deve essere stato assai poco consultato in Vaticana e appare quasi nuovo (pur avendo quasi ottant’anni). Forse l’unico a leggerlo è stato proprio De Gasperi. Guai al bibliotecario che legge! Per una volta, egli ha contraddetto il principio: ma si può giurare che deve averlo fatto senza nulla detrarre al lavoro d’ufficio”.
L’uomo politico fece tesoro di quella lettura, anzi essa gli fornì numerosi spunti in merito a una questione su cui avrebbe meditato, si può dire, fino alla morte: il problema della tutela legislativa dell’ordine democratico contro le forze che, da destra come da sinistra, possano attentarne la stabilità (la cosiddetta “democrazia protetta”). In questa prospettiva (lo ha ben visto Federico Mazzei nel suo recente volume su De Gasperi e lo “Stato forte”, recensito da Eugenio Capozzi sul nostro giornale del 27 giugno 2013), particolare attenzione rivolgeva all’esperienza della democrazia elvetica, che adottò allora misure restrittive nei confronti del partito comunista e più in generale dell’estremismo politico di ogni colore.
Ne trattò ne La quindicina internazionale del 1° maggio 1937 (si tratta – com’è ben noto – della rubrica che pubblicava con lo pseudonimo di Spectator nell'”Illustrazione vaticana”). “Bisogna aver letto le recenti memorie del dottor Brupbacher per farsi un’idea di quello che sia la Svizzera, come centro internazionale di smistamento rivoluzionario. Il dottor Brupbacher è un medico estremista di Zurigo che da cinquant’anni s’è trovato coinvolto in tutte le agitazioni di carattere rivoluzionario e che ora, dopo esser passato attraverso il socialismo, il sindacalismo rivoluzionario, il comunismo ufficiale e il trotzkismo, terminando coll’essere ribelle di volta in volta a ognuna di queste organizzazioni eppur rimanendo fedele ai suoi ideali sovversivi, pubblica un grosso volume di delusioni e di rimpianti. In questo libro vi passano dinanzi come in una danza macabra le figure più note del sovversivismo internazionale, in particolare dell’emigrazione russa. La camera ospitale del Brupbacher ha accolto fra le sue pareti parecchi degli attuali dominatori russi e molte delle loro vittime odierne, e vi hanno albergato i più celebri sindacalisti rivoluzionari sia della Francia sia della Germania. Il suo libro vi descrive la Svizzera come luogo d’appuntamento per tutti i sovvertitori, gli utopisti, i fanatici del movimento sociale, e quasi tutti gli uomini che giocarono più tardi una parte attiva nelle rivoluzioni europee hanno abusato della libertà svizzera per elaborarvi i piani di rivolta o di rivoluzione economica. Nel dopoguerra sono i propagandisti ufficiali del comunismo bolscevico, inviati direttamente e diretti dalla centrale di Mosca, che si riuniscono, fanno progetti e impartiscono ordini da Zurigo, da Basilea o dal lago Lemano. Questo fatto e le rivelazioni degli stessi comunisti disillusi avevano provocato anche nella Svizzera un movimento di reazione che alle guardie operaie voleva opporre le squadre nazionaliste. Ma ora i partiti conservatori, moderati e radicali, che tengono il governo, sono intervenuti per proibire qualsiasi uniforme politica e per dichiarare illecito qualsiasi partito che non accetti le basi fondamentali della democrazia Svizzera. Si vedrà ora fino a qual punto i plebisciti chiamati a confermare questa legislazione di salute pubblica troveranno nel popolo plauso e sostegno”.
Ai disordini e alle agitazioni dei partiti estremisti non bisogna permettere che rispondano bande armate dei partiti opposti (com’era successo nell’Italia del primo dopoguerra), ma dev’essere lo Stato democratico a farsi carico della propria difesa, anche con intransigenza, se necessario: questo – in sostanza – l’insegnamento che De Gasperi-Spectator si sentiva di ricavare dalla parabola del rivoluzionarismo di Brupbacher. Come si vede, la lettura del libro sovversivo piovuto alla Vaticana contribuì a porre le basi storico-culturali di quella che sarà l’idea degasperiana dello “Stato forte” nell’età del centrismo.

(©L’Osservatore Romano 19-20 agosto 2013)