I terribili dubbi agitati dopo Auschwitz e Hiroshima, oppure dopo una strage, un terremoto, la morte di un bambino… Non c’è come l’ingiustizia a far vacillare la fede

16 ottobre

 

LA LIBERAZIONE DI SAN PIETRO DAL CARCERE

(Raffaello Sanzio, 1514, Città del Vaticano, Stanza di Eliodoro)

«Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti…? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,1-8)

 

Delle somiglianze tra la parabola del giudice ingiusto e quella dell’amico importunato, abbiamo già riferito. Entrambe insistono sul fidarsi di Dio. Tuttavia la storia del giudice ha due aspetti originali: il primo riguarda il rapporto tra il giudice e il fare giustizia; il secondo, il rapporto tra il fedele e l’aver fiducia. Rapporti che dovrebbero essere ovvi, automatici, eppure non lo sono.

Infatti, nel racconto, c’è qualcosa in più di un richiamo alla perseveranza nella preghiera: c’è una richiesta forte di fare giustizia (tant’è che questo verbo torna quattro volte). Si tratta della preghiera più dolorosa: quella di chi, avendo subìto un grave torto, ha bisogno di riparazione in tempi rapidi. E, non ricevendola, potrebbe essere tentato di credere che «Dio non c’è», che «non s’è mosso», che «non ci ascolta»: i terribili dubbi agitati dopo Auschwitz e Hiroshima, oppure dopo una strage, un terremoto, la morte di un bambino… Non c’è come l’ingiustizia a far vacillare la fede.

Ciò che sorprende è che Gesù lo sa: sa, cioè, quanto sia forte la tentazione di pensarsi abbandonati (per questo domanda se troverà la fede sulla terra). E ciò che si scopre, alla fine della parabola, è paradossale: un giudice ingiusto può fare giustizia, mentre un credente può smettere di credere.

La scelta di quest’opera è dovuta al forte legame tra la preghiera e la miracolosa liberazione di Pietro: ricordano gli Atti degli Apostoli che «mentre Pietro era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (12,5). E che, anche dopo la sua liberazione, «molti erano riuniti e pregavano» (12,12).

Raffaello, invece di accontentarsi di un unico quadro, racconta (forse con l’intento di dare più peso alla prigionia di Pietro). E divide la storia in due momenti, con tre scene: in quella centrale l’angelo scuote dal sonno Pietro,«piantonato da due soldati e legato con due catene»; a sinistra, due guardie danno ben altro risveglio ai colleghi (che fan parte dei «quattro picchetti di quattro soldati ciascuno», a cui il re Erode ha consegnato Pietro in custodia); a destra si vedono l’angelo e Pietro, ormai libero ma ancora convinto di «avere una visione», mentre stanno per oltrepassare due sentinelle addormentate.

In quei giorni drammatici, poco prima di far catturare Pietro, Erode Agrippa aveva fatto uccidere di spada uno dei Dodici: il fratello di Giovanni, Giacomo. Ed è un suo omonimo, autore di una lettera riportata dalla Bibbia, a soffermarsi (Gc 4) sulla mancanza di preghiera dei cristiani («Non avete perché non chiedete») e sulla preghiera malfatta («Chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni»).

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