I pilastri costituzionali della scuola

Libertà di insegnamento e scuola aperta a tutti sono i pilastri su cui poggia la scuola nel nostro ordinamento costituzionale. In questo articolo l’Autrice indaga i rapporti tra la scuola e i principi costituzionali di libertà e uguaglianza, e le implicazioni culturali, sociologiche e psicologiche, che la scuola comporta sull’educazione e lo sviluppo della persona.

Sommario
La libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento
L’apertura della scuola a tutti
La libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33 comma 1 Costituzione).

È interessante rileggere e interpretare, nel XXI secolo, il 1° comma dell’art. 33 della Costituzione mutuando le parole di esperti in vari settori.

Educare è condividere e trasmettere un’ispirazione e aspirazione di vita. Educare è far alzare lo sguardo degli educandi al cielo, è far dipingere il loro cielo con i colori che hanno a disposizione esprimendo le nuance delle loro emozioni, far scorgere un arcobaleno ancor prima che spunti. Arte e vita, arte è vita: passione da trasmettere ai giovani e da promuovere nei giovani per innalzarli dal limbo in cui si adagiano o sono lasciati adagiare. Bisogna trasmettere che la vita è fatta di arte, dall’arte del comunicare all’arte del ricominciare.

Lo scrittore e saggista Pier Luigi Celli scrive: “Per ridare speranza ai giovani l’insegnante deve essere un maestro. Un nuovo mondo è possibile sulla base di una realtà antica: il maestro”. Il maestro è quell’insegnante che possiede e condivide l’arte, la scienza e la libertà. “Maestro”, composto da “magis”, più e il suffisso “-tero”, che indicava opposizione fra due (e, pertanto, “il più grande, il maggiore”): il maestro, pertanto, dovrebbe essere colui che fra due possibilità dovrebbe fornirne un’altra, tra due vie dovrebbe indicare l’alternativa, la libertà. In questo, però, dovrebbero crederci tutti, dal Ministero preposto al singolo genitore.

Un’altra bella definizione di maestro è quella del teologo e scrittore Valentino Salvoldi: “Ecco l’identikit del maestro di vita: uno che ti conosce personalmente. Ti ama. Ti crea spazi in cui tu possa realizzarti. Ti parla da entusiasta ad un punto tale da operare miracoli per sé e per te”. Arte, scienza e libertà, in altre parole principi, mezzi e obiettivi di vita, la vita stessa: e questo è il vero insegnamento di vita e per tutta la vita. Come l’esempio dato da grandi maestri in passato, tra cui Mario Lodi che, ancor prima della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, parlava di “scuole e diritti dei bambini” (1983) e Gianfranco Zavalloni che ha teorizzato e praticato il decalogo dei diritti naturali dei bambini, la pedagogia della lumaca e gli orti di pace.

Sulle peculiarità del maestro anche la scrittrice Michela Murgia precisa: “È impossibile sterilizzare il fascino di chi è maestro: fuori dai ruoli ufficiali che regolamentano le relazioni tra adulti e giovani, è il solo che può insegnare quello che sa attraverso quello che è”. “Fascino” dovrebbe significare etimologicamente “parlare” (dalla stessa radice di “fama”): ogni insegnante, pertanto, col suo parlare, col suo manifestare dovrebbe incarnare il binomio di arte e scienza.

Michela Murgia aggiunge: “Il lavoro misterioso dei docenti, quello che nessun contratto remunera, vale più di mille riforme intitolate alla buona scuola”. Insegnare è mettere in circolo qualcosa che rimane e ritorna.

“Un vero insegnante sa cambiarti la vita – così il giornalista Francesco Giorgino –. Sa aiutarti a capire ciò che è meglio per te. Sa valorizzare il tuo talento. Se io sono diventato un giornalista, se mi sono appassionato alle scienze sociali, in modo particolare alla sociologia, lo devo in gran parte agli insegnanti […]. Mi hanno abituato a leggere in modo critico i quotidiani, a guardare i telegiornali, ad ascoltare i giornali radio e mi hanno abituato a studiare la filosofia sociale. Sosteneva William Arthur Ward [scrittore statunitense]: «L’insegnante mediocre parla, il buon insegnante spiega, l’insegnante superiore spiega e dimostra, il grande insegnante ispira». Io sono stato ispirato!”. Insegnare non è implementare ma instillare, non è inserire dati ma inculcare.

“È sufficiente un professore – uno solo! – per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri” (da “Diario di scuola” di Daniel Pennac). L’insegnamento sia veramente professare (“dichiarare pubblicamente”, “riconoscere solennemente”) l’arte e la scienza e soprattutto la libertà.

Don Antonio Mazzi, in qualità di esperto di problematiche giovanili, lancia un monito: “[…] la scuola dovrebbe divenire un luogo creatore di tensioni al mutamento. La vita è l’opposto della noia e la cultura è matrice di curiosità, di capacità di apprendimento e di rinnovamento. Ce lo dice Zagrebelsky [giurista]: «Il divenire è la generazione del nuovo, la continua rigenerazione, cioè il costante nuovo inizio a partire dallo stadio precedente al quale si mette fine, per iniziare l’esplorazione attraverso affiancamenti e distanze che prendiamo nei confronti di chi ci ha generato. Questa è la legge della vita e arriva prima della trigonometria, delle guerre puniche e di Leopardi»”. Gli insegnanti: coloro che lasciano segni emozionali e che, nella vita, contribuiscono a tracciare disegni esistenziali.

La storica e saggista Lucetta Scaraffia chiarisce: “Letteratura, poesia, arte, sono nutrimenti a una facoltà in via di estinzione: l’immaginazione. Gli insegnanti non dovrebbero limitarsi a insegnare nozioni prefabbricate, oppure i tanto conclamati «metodi» di ricerca, ma hanno un compito più importante, generante, cioè devono educare, ovvero portar fuori l’allievo, indirizzarlo verso la libertà di pensare e creare, portarlo a capire che il futuro è una potenzialità deposta anche in lui, da immaginare e costruire da ciascuno. Del resto, non è detto che i frutti dell’immaginazione debbano essere solo arte e poesia: anche le iniziative produttive più nuove sono nate da essa, cioè dal saper pensare al futuro, dal generare idee originali. Ma coltivare l’immaginazione significa avere del tempo vuoto davanti, provare desideri per un tempo lungo, desideri importanti, per realizzare i quali è necessario sforzo e riflessione”. Gli insegnanti hanno una grossa responsabilità: non a caso gli articoli della Costituzione relativi all’insegnamento, articoli 33 e 34, sono posti tra la disciplina della salute (art. 32) e quella del lavoro (artt. 35 e ss.), ovvero gli insegnanti concorrono al benessere dei ragazzi e al loro futuro professionale.

La scuola: volendo fare un gioco di parole la scuola è la “suola” su cui si poggia il cammino di ogni uomo e di ogni società (familiare, civile, politica), è il “suolo” sul quale si edificano le persone, i cittadini, il futuro. Purché non rimanga “sola”! La scuola, più che un’agenzia educativa che offre servizi, è (o dovrebbe essere) soprattutto un soggetto educativo che costruisce e contribuisce a relazioni di crescita e in crescita. La scuola è un ambiente di lavoro che dovrebbe distinguersi dagli altri perché si mettono le mani nell’impasto della vita altrui.

Già Plutarco sosteneva: “La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, ha bisogno solo di una scintilla, che la accenda, che vi infonda l’impulso alla ricerca e il desiderio della verità”. Da un combinato disposto dell’art. 9 comma 1 Costituzione, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, e dell’art. 33 comma 1 Costituzione si ricava che un buon insegnante deve trasmettere lo spirito della ricerca e della libertà: vita e vitalità.

“Arte” è contenuta nella parola “partecipazione” (“partecipare” trae origine dalla stessa radice del verbo latino “parere”, che significa “produrre”), perché è un modo per “prendere parte” alla vita, mentre “scienza” evoca “conoscenza” e “coscienza”, concetti che richiamano quelli espressi nell’art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ove al par. 1 si legge: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo, allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”. L’effettiva partecipazione che rende cittadini, come si evince dall’art. 3 comma 2 della Costituzione.

Non solo, si noti pure che il Costituente ha inserito questo assunto nell’art. 33 immediatamente successivo all’art. 32 relativo alla salute, giacché arte, scienza e libertà sono strumenti di prevenzione e promozione della salute più piena. Arte e scienza che non sono materie scolastiche ma discipline di vita, diritti ad una vita piena come espressi nella Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura (testo rilevante ma non prescrittivo, presentato a Bologna il 3 marzo 2011). Etimologicamente “arte”, dalla radice “ar”, è “andare, mettere in moto, muoversi verso qualcosa”, “scienza”, dalla radice “ska” o “ski”, “tagliare, separare le cose”, “libertà”, dalla radice “lib”, “piacere, gradimento”: ciò che caratterizza l’uomo, insieme alla famiglia e al lavoro. L’arte e la scienza hanno fatto progredire l’uomo, sono propensione al futuro, sono il futuro stesso: basti pensare ai graffiti dell’uomo primitivo e alle sue scoperte arrivate all’uomo contemporaneo e ancora studiate o al grande esempio del genio artista e scienziato Leonardo da Vinci.

Gianni Rodari dissertava sul binomio arte e scienza e sulla sua polivalenza nel 1973, ancor prima della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dello sviluppo di una nuova cultura dell’infanzia: “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione. […] «Creatività» è sinonimo di «pensiero divergente», cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. È «creativa» una mente sempre al lavoro sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti (anche dal padre, dal Professore e dalla società), che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi. Tutte queste qualità si manifestano nel processo creativo. […] Nessuna gerarchia di materie. E, al fondo, una materia unica: la realtà, affrontata da tutti i punti di vista, a cominciare dalla realtà prima, la comunità scolastica, lo stare insieme, il modo di stare e di lavorare insieme. In una scuola del genere il ragazzo non sta più come un «consumatore» di cultura e di valori, ma come un creatore e produttore, di valori e di cultura”1. L’immaginazione genera quell’iniziativa imprenditoriale di cui all’art. 41 della Costituzione, quelle start up giovanili che dimostrano che la scuola è e può essere ancora un luogo vivo di idee.

Operando e adoperandosi in tal senso la scuola contrasta la povertà educativa minorile ed esplica il suo significato etimologico di “quiete, aver tempo di occuparsi di una cosa per divertimento, tempo libero (quindi piacevole, propizio per coltivare idee)”, e realizza gli adempimenti per il futuro quali il trinomio “scienza, tecnologia e innovazione” (che ricorre nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015) e “un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana” (dal n. 2 del Preambolo del Pilastro europeo dei diritti sociali del 17 novembre 2017).

Insegnare è seminare senza clamori per raccogliere primizie di emozioni nel tempo seppure lontano.

L’apertura della scuola a tutti
Una delle affermazioni costituzionali suscettibili di più interpretazioni è quella contenuta nel 1° comma dell’art. 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”.

“Scuola” è un nome collettivo che si riferisce a un soggetto collettivo, che interagisce con altri soggetti (quel “tutti” che è complemento di termine). La scuola è aperta a tutti, non a tutto: non può essere mercificata, bistrattata, contesa, fino a essere annientata. Il Costituente ha usato una proposizione breve (la più corta in tutto l’articolato), netta e precisa, senza l’aggiunta di altre condizioni. Sembra un’affermazione apodittica che richiama altre disposizioni costituzionali fondamentali, come “La libertà personale è inviolabile” (art. 13 comma 1 Cost.).

Scuola che suscita gratitudine in molti, come nelle parole di Claudio Imprudente, giornalista e scrittore “diversabile”: “Guardiamo con occhi di gratitudine anche alla nostra scuola statale che, nonostante le difficoltà economiche, rimane un’eccellenza per l’integrazione degli alunni con disabilità. Specie quando intercetta insegnanti che ben interpretano il loro splendido ma complicato ruolo”.

Scuola che desta tanti interrogativi, come nell’analisi dello psicoanalista Massimo Recalcati2: “Non respira, non conta più nulla, arranca, è povera, marginalizza, i suoi edifici crollano, i suoi insegnanti sono umiliati, frustrati, scherniti, i suoi alunni non studiano, sono distratti o violenti, difesi dalle loro famiglie, capricciosi o scurrili, la sua nobile tradizione è decaduta senza scampo. È delusa, afflitta, depressa, non riconosciuta, colpevolizzata, ignorata, violentata dai nostri governanti […]. È già morta? È ancora viva? Sopravvive? Serve ancora a qualcosa oppure è destinata a essere un residuo di un tempo ormai esaurito?”.

Scuola che rappresenta la memoria di tutti: “Ricordati che sei polvere: d’accordo. Se però posso scegliere di cosa: non dell’oro, non della conchiglia, ma polvere di gesso di una parola appena cancellata dalla superficie di lavagna. E intorno un’aula di scolari applaude la fine della scuola” (lo scrittore Erri De Luca in “Polvere”). La lavagna tradizionale rappresenta un patrimonio di ricordi per tantissime generazioni: lo stridore del gesso che provocava i brividi ad alcuni, le nuvolette di polvere quando cadeva il cassino (cancellino), la gara dei bambini per cancellare la lavagna o per andare a prendere i gessetti dalla bidella. La LIM (lavagna interattiva multimediale) non dovrebbe sostituire la lavagna tradizionale ma la dovrebbe affiancare. La scuola deve essere multimediale, digitale, tecnologica, “2.0”, “3.0”, ma continuare a essere emozionale. Essa stessa deve essere “lavagna” su cui docenti e discenti devono scrivere e leggere esperienze culturali. Anche questo realizza l’inciso costituzionale: “La scuola è aperta a tutti”.

Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, afferma che la scuola: “È una palestra per la formazione cognitiva ed emotiva dell’individuo. Offre l’occasione di conciliare bisogno di affermazione e appartenenza a un gruppo. Per questo, tutelata da squilibri e prevaricazioni, va riprogrammata nell’interesse di tutti”. Sia questo uno dei significati dell’asserto costituzionale: “La scuola è aperta a tutti”.

La scuola, senza significato, senza scopo, diventa un luogo di detenzione e non di attenzione (dal pensiero del sociologo statunitense Neil Postman). Qualsiasi luogo, anche la famiglia, senza significato, senza scopo, rischia di diventare un luogo di detenzione e non di attenzione.

Illuminante l’intervento di Eric Hanushek, uno dei più grandi esperti internazionali di economia dell’istruzione: “Disponiamo oggi di un’importante serie di ricerche che ci indicano con chiarezza quanto la qualità degli insegnanti abbia un’enorme influenza sugli studenti e il loro futuro. […] Nell’arco di un singolo anno scolastico, lo scarto fra le conoscenze acquisite dagli studenti di un insegnante eccellente rispetto a quelli che hanno seguito un insegnante scadente equivale alla frequenza di un intero anno di un gruppo medio di riferimento”3. L’insegnamento è esplicazione della libertà e educazione alla libertà (art. 33 Cost.). È il lavoro che prepara le nuove generazioni ai lavori futuri: è il lavoro che più concorre al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 comma 2 Cost.). Anche per questo dovrebbe essere eccellenza (da “salire oltre tutti”) e dovrebbe mirare all’eccellenza. L’insegnamento fa la scuola e non il contrario; non a caso, la scuola (art. 34 Cost.) è disciplinata dopo l’insegnamento nel testo costituzionale.

Lucetta Scaraffia richiama: “La scuola innanzitutto deve insegnare a scrivere e a leggere correttamente nella propria lingua, in modo da avere accesso alla cultura e all’informazione, ma anche in modo da non essere ingannati da un cattivo avvocato, da un contratto disonesto, da una falsa notizia. Avere il possesso della propria lingua è un requisito fondamentale per essere rispettati e capiti, per non restringere la propria rete di rapporti alle persone che già si conoscono e che fanno parte di un ambiente limitato”. La scuola è luogo deputato all’educazione alla libertà personale (art. 13 Cost.) e all’esercizio della libertà personale: libertà di e da, libertà della persona e di essere persona. Quell’essere cui si riferiva don Lorenzo Milani, “profeta dell’educazione”4: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono, perché scriva per loro un metodo. […] Sbagliano la domanda, poiché non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna “fare” per fare scuola ma solo di come bisogna “essere” per poter fare scuola!”.

Anche lo scrittore Simone Perotti coniuga scuola e libertà: “A scuola si dovrebbe parlare soprattutto del concetto chiave della vita del singolo: la libertà. Quel difficile percorso che può portarci a vivere in un modo molto simile a come vogliamo, sconfiggendo i draghi sputafuoco dei condizionamenti, i limiti imposti dal sistema economico, le trappole commerciali, fiscali, edonistiche, e riappropriandoci in tempo utile della nostra esistenza”. “Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, a prescinderne dalle frontiere, sia verbalmente che per iscritto o a mezzo stampa o in forma artistica o mediante qualsiasi altro mezzo scelto dal fanciullo” (art. 13 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La scuola non sempre è stata e non sempre è fucina di libertà perché spesso presa da altre occupazioni e preoccupazioni. Ci vorrebbero più “scuole di Barbiana”, perché come diceva don Milani: “In Africa, in Asia, nell’America Latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’esser fatti eguali”5. Lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati precisa: “[…] don Milani ha insistito di più sulla necessità di assicurare l’uguaglianza delle condizioni di partenza, di fare cioè in modo che la gran parte dei giovani si muova, inizialmente, dalla stessa linea. Combattere le disuguaglianze, dunque, per favorire lo sviluppo intellettuale degli studenti, non certo per tentare di appiattirne la personalità”6. La scuola non deve attenersi solo ai due articoli ad essa dedicati nella Costituzione, articoli 33 e 34, ma innanzitutto ai principi espressi nei primi articoli della Costituzione, articoli 1-4, dalla democrazia al lavoro.

Operando in tal modo la scuola realizza quanto previsto nelle “Nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (settembre 2012), tra cui: “Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta. […] La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze. […] Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali. […] L’elaborazione e la realizzazione del curricolo costituiscono pertanto un processo dinamico e aperto, e rappresentano per la comunità scolastica un’occasione di partecipazione e di apprendimento continuo. […] La presenza di comunità scolastiche, impegnate nel proprio compito, rappresenta un presidio per la vita democratica e civile perché fa di ogni scuola un luogo aperto, alle famiglie e ad ogni componente della società, che promuove la riflessione sui contenuti e sui modi dell’apprendimento, sulla funzione adulta e le sfide educative del nostro tempo, sul posto decisivo della conoscenza per lo sviluppo economico, rafforzando la tenuta etica e la coesione sociale del Paese”.

L’art. 34 della Costituzione è l’unico in cui è usato il termine “aperta”, che evoca direttamente quella rimozione degli ostacoli di cui al 2° comma dell’art. 3 sulla cosiddetta uguaglianza sostanziale e le locuzioni “rendere utilizzabili, accessibili, disponibili, alla portata di tutti i fanciulli” dell’articolo 28 (relativo all’istruzione) della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Così la scuola è inclusiva e non esclusiva e occlusiva. Inclusività: quel concetto che ingloba e supera tutti quelli adottati sinora, compresa l’integrazione, perché accoglie tutti e ognuno, insieme e individualmente, la totalità e la singolarità. La scuola diventa veramente spazio di vita, con tutti i significati positivi e propositivi di “spazio”, che deriva dal verbo latino “patere”, il quale aveva più accezioni, dall’“essere aperto” all’“avere importanza”.

(Altalex, 14 giugno 2019)

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1 G. Rodari, “Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie”, cap. 44 “Immaginazione, creatività, scuola”.

2 M. Recalcati in “L’ora della lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”, edizioni Super ET Opera viva (Einaudi), 2014.

3 In un convegno a Roma il 12 dicembre 2013.

4 L. Milani in “Esperienze pastorali”, 1958.

5 L. Milani in “Lettera a una professoressa”, 1967.

6 E. Affinati in “L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani”, edizioni Mondadori, 2016.