I doni dello Spirito Santo

In tutti i cristiani, a partire dal Battesimo, lo Spirito Santo va ad abitare nel corpo come in un Tempio. E, ci ricorda San Paolo – Rm 8,14 -, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. Questa abitazione dello Spirito Santo non ha un carattere passivo ma dinamico: prende dimora in noi per guidarci nelle varie circostanze della vita. E questa guida avviene mediante le virtù teologali (fede, speranza, carità), i doni e i carismi. Se i carismi – che abilitano il Messia (e i suoi Apostoli) non solo ad annunciare autorevolmente il regno di Dio, ma anche a leggere nei cuori, a compiere esorcismi e guarigioni – non sono dati a tutti, i sette doni che la Bibbia enumera (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio) sono infusi in tutti i battezzati, e ricevuti in pienezza con il Sacramento della Cresima. Il mondo va male, tra i cristiani ci sono discordie e troppi distinguo anche perché queste operazioni più basilari dello Spirito Santo, nell’interiorità umana vengono bloccate dal credere poco in esse, dal non ricorre alla terza persona della Santissima Trinità, dal crederla uno sconosciuta nella nostra società. E pensare che l’insegnamento biblico in materia è notevolissimo e ci spiega bene quali sono e come agiscono nell’interiorità umana i doni che lo Spirito Santo dà. La vita interiore del battezzato è toccata da in due principali facoltà: la mente e la volontà. Quattro di questi sette doni agiscono sulla mente (sapienza, intelletto, consiglio e scienza – o meglio, conoscenza -), tre invece influiscono sulla volontà (fortezza, timore di Dio e pietà). Ricchezze salutari sono sapienza e scienza, ci ricorda Isaia 33,6. Dio si compiace di chi si decide a chiedergli la sapienza come prima. Chi cerca la sapienza, dimostra già con questo di essere un saggio. Al contrario, gli stolti disprezzano la sapienza (Prv 1,7). Nell’Antico Testamento, la figura del saggio per antonomasia è quella di Salomone, figlio di Davide. Nel primo libro dei Re, notiamo che al Signore piacque che Salomone avesse chiesto la saggezza nel governare e non avesse chiesto gloria, ricchezza e potenza o la morte dei nemici. Però, dal momento che Salomone ha chiesto la cosa più importante, Dio gli garantisce anche le cose che lui non aveva chiesto: gloria, ricchezza e potenza. Gesù riaffermerà questo, anche per tutti i cristiani, suoi discepoli, quando dirà: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33). Il dono della sapienza procura tutti i beni, ossia il bene per eccellenza che è l’amicizia di Dio. Stando così le cose, la sapienza va cercata al di sopra di tutto, attraverso tre vie: preghiera, ascolto dell’insegnamento biblico, meditazione cristiana. Si capirà allora che il dono della sapienza è quella luce che ci porta a conoscere la nostra posizione nel disegno di Dio, vale a dire la nostra vocazione specifica. La scoperta della propria vocazione e del posto che Dio ci ha assegnato nella vita della Chiesa, è segno certo che il dono della sapienza ha operato in noi. Un’ulteriore caratteristica dell’uomo saggio è la castità, cioè l’uomo non soggetto più alle passioni dell’io inferiore. La sapienza infatti sta lontana dai disordini passionali (cfr. Sap 1,4). L’ultimo atto della sapienza è farci capire come anche una vita tormentata ha la sua spiegazione nella nostra personale storia della salvezza. La luce sapienziale che invade la vita dei veri credenti fa comprendere che i dolori della vita, vissuti nel e col Signore, distruggono nell’uomo solo ciò che deve essere distrutto, in modo tale che ciò che sopravvive è sempre la parte migliore e più eletta della personalità, senza mai pensare che Dio ci abbia colpiti per capriccio o per arbitrio. Il saggio, ancora, si presenta pure come un uomo di preghiera. La luce sapienziale si ottiene, in sostanza, nel contesto della preghiera. La sapienza è data a chi prega. Ecco perché nella società molti non ce l’hanno. E questo preclude di ricevere un’altra dote che caratterizza il saggio: il rifiuto del servilismo verso i potenti o i vip. Molti veri cristiani, è noto, si dimostrano perfino disposti a morire, pur di non adorare il potere umano come se fosse una divinità. Per il saggio, l’autorità umana perde ogni valore quando è esercitata contro la verità e contro il bene. Quanto al dono della scienza, il libro del Siracide afferma che tale dono, ossia la conoscenza rivelata della verità di Dio, è uno di quei doni che l’essere umano ha ricevuto fin dall’origine della creazione Il Signore creò l’uomo dalla terra, pose davanti a lui la scienza e gli diede in eredità la legge della vita (Sir 17,1.9). Coloro che hanno ricevuto il dono della sapienza, apprezzano i contenuti della scienza di Dio, perché, avendo la sapienza, li possono guardare nella luce giusta: “I saggi fanno tesoro della scienza” (Prv 10,14). Essi sono in grado anche di comunicarla nel loro insegnamento (Cfr. Prv 15,2.7). La divina rivelazione e le profondità della sua divina verità nessun uomo può raggiungerle con la sola luce della ragione naturale. E’ un dono di Dio non solo la conoscenza della sua verità (dono di scienza), ma anche la luce intellettuale che permette di vederla (dono di sapienza). Che la scienza sia un dono risulta inoltre dalla dottrina paolina: “In Lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza” (1 Cor 1,5). E’ dunque Dio che concede il dono della scienza, che rimane comunque distinto dal dono della sapienza e da quello dell’intelletto. Nelle cose naturali, la possibilità di conoscere il mondo risulta dall’incontro di tre fattori: un oggetto da vedere; la luce per poter vedere; l’occhio sano. In mancanza di uno di questi tre elementi non si ha la conoscenza del mondo esterno. Se il dono della sapienza è la luce per vedere e il dono della scienza è l’oggetto divino da vedere, il dono dell’intelletto è la facoltà di vedere. La conoscenza del disegno divino di salvezza risulta egualmente da tre doni spirituali: la scienza (l’oggetto da vedere), la sapienza (la luce per vedere), l’intelletto (l’organo della vista). Considerando Mt 15,16 con Gesù che rimprovera i suoi Apostoli (“Anche voi siete ancora senza intelletto”), dobbiamo dire che il dono dell’intelletto è una particolare capacità di capire la Parola di Dio. Il dono dell’intelletto entra quindi in azione nei momenti di meditazione personale, nei ritiri e negli incontri di annuncio o di formazione dottrinale. Senza l’organo della vista, cioè senza il dono dell’intelletto soprannaturale, la nostra comprensione delle Scritture non sarebbe né profonda né salvifica. La Bibbia diventa Parola di salvezza solo a condizione che venga letta e meditata nello Spirito; ossia sotto l’influsso e l’operazione dei doni che innalzano le facoltà mentali dell’uomo a un livello di conoscenza soprannaturale. Se la Bibbia viene studiata senza il dono dell’intelletto può essere compresa solo nei suoi significati umani, ma non nelle sue energie salvifiche, che si possono raggiungere e penetrare solo in una lettura nello Spirito. Il dono dell’intelligenza, cioè la comprensione soprannaturale della realtà, non è limitato però ai soli contenuti della Rivelazione, visto che Paolo lo preannuncia a Timoteo come un aiuto per tutte le altre eventuali difficoltà del ministero apostolico: “Il Signore ti darà intelligenza per ogni cosa” (Tm 2,7). Il dono del consiglio non è ordinato al conoscere ma all’agire. Il consiglio è un dono che si aggiunge alla ragione umana. Chi non lo possiede non può rispondere alle esigenze quotidiane della volontà di Dio, perché non è interiormente diretto da Dio. Al massimo egli potrà individuare il bene umano e regolarsi su di esso in base al suo buon volere, ma la perfezione cristiana, ovviamente, è ben altro. Chi ha il dono del consiglio è guidato da Dio nelle circostanze piccole e grandi della vita pratica, e perciò egli non agisce bene, ma agisce santamente: “Mi guiderai con il tuo consiglio” (Sal 73,24); “Il Signore dirigerà il consiglio del saggio” (Sal 39,7). Per ottenere il dono del consiglio, al pari di tutti gli altri doni soprannaturali, occorre una precisa disposizione: “L’uomo accorto acquisterà il dono del consiglio” (Prv 1,5). Insomma, i doni di Dio non possono essere elargiti a chi non si dispone a riceverli. Tre sono i doni dello Spirito Santo che riguardano la sfera emozionale volitiva: la fortezza, la pietà, il timor di Dio. Se c’è una fortezza naturale, come la forza del carattere, per affrontare le difficoltà normali della vita, c’è anche una fortezza carismatica per affrontare le difficoltà che sono proprie del cammino di fede. A questo è appunto orientato il dono della fortezza. Dio infonde forza ed energia all’uomo: “Il Signore ti darà la forza” (Dt 8,18), “Il Signore darà forza al suo popolo” (Sal 29,11). Senza il dono della fortezza infusa, si cederebbe radicalmente dinanzi a ostacoli non di rado superiori alle forze umane, come si vede bene dalla vita dei Santi, e in particolare da quella dei martiri. Lo Spirito di Dio aggiunge quella dose di coraggio e di inflessibilità che umanamente manca al carattere. Gesù, nel NT, dice ai suoi discepoli che essi nel mondo dovranno portare il peso di angustie e persecuzioni per il fatto stesso di essere cristiani; per questo Dio li soccorrerà infallibilmente nel momento della prova. Questo divino soccorso nel tempo della prova è stato identificato dalla teologia spirituale con il dono della fortezza di Is 11,2. I discepoli sono sorretti nel loro cammino e nei loro combattimenti da un intervento tempestivo e attuale dello Spirito di Dio, che sposta i limiti delle loro forze aldilà delle normali possibilità umane. Anche il dono della pietà tocca la sfera emozionale volitiva, creando delle disposizioni abituali che qualificano il rapporto del cristiano con Dio e non riguarda il rapporto col prossimo ma la virtù di religione, cioè la disposizione di filiale ubbidienza, sentita dal cristiano come una esigenza interiore, insieme al dovere di sottomettersi alla volontà di Dio non per paura ma per amore. Il dono della pietà qualifica il rapporto con Dio ma di riflesso qualifica anche il rapporto con tutto ciò che sulla terra ha valore di segno della divina Presenza. Il dono della pietà dispone il cristiano a sentirsi figlio di Dio, con tutto ciò che ne consegue sul piano delle decisioni e dei sentimenti, e lo dispone anche a un atteggiamento di delicatezza e di rispetto verso tutto ciò che Dio ha istituito nella Chiesa e nel mondo come un riflesso della propria universale Paternità. Tra i personaggi biblici dell’AT che incarnano l’ideale della pietà, possiamo ricordare soprattutto Giobbe e Tobia. Il giusto non è mai abbandonato al potere del male, ma è soccorso da Dio in tempi e modi che non sempre coincidono con le aspettative della logica umana. In questo senso, il libro della Sapienza dice che la pietà è più potente di tutto (Sap 10,12); al legame religioso, che unisce l’uomo a Dio, corrisponde, da parte di Dio, una benedizione più potente di qualunque male. Il NT riafferma: “La pietà è utile a tutto” (1 Tm 4,8). “Quando pregate, dite Abbà” (Lc 11,2). Il senso della pietà cristiana è tutto qui. Il dono della pietà genera in noi gli stessi sentimenti di Cristo verso il Padre. Infine, il dono del timore di Dio è il timore del figlio, preoccupato di non addolorare il padre con la propria disubbidienza. E’ questo che intende Giovanni: “Nell’amore non c’è timore” (1 Gv 4,18). Il timore di Dio comincia ad assumere le sue giuste proporzioni quando dal timore scaturisce la lode, e ciò avviene solo dove Cristo compie i suoi gesti di liberazione o di guarigione. Il racconto dell’episodio in cui Gesù risuscita il figlio della vedova di Nain, si conclude rimarcando che “tutti furono presi da timore e glorificavano Dio” (Lc 7,16). Il termine di passaggio dal timore servile veterotestamentario al timore filiale del discepolato è lo squarcio del velo del Tempio, che ha luogo in concomitanza con il terremoto che accompagna la morte di Gesù (cfr. Mt 27,51). Il velo separava infatti il Santo dei Santi, luogo sacro dove nessuno poteva entrare, se non il sommo sacerdote una volta all’anno. Squarciato questo velo, il luogo sacro dove abita Dio non è più inaccessibile: la morte di Cristo inaugura un’epoca nuova e noi siamo accolti presso Dio come figli a cui è promessa l’eredità (cfr. Rm 8,16-17). In sostanza, il dono del timore di Dio si specifica in tre atteggiamenti particolari: l’attesa della misericordia, la confidenza in Dio e la speranza di essere da Lui beneficati. Da questi doni che lo Spirito Santo ci dà, se veramente accolti, discendono le sette opere di misericordia corporale (dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestire gli ignudi e alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi e i carcerati; seppellire i morti) e le sette opere di misericordia spirituale (consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste e pregare Dio per i vivi e per i morti). E non dimentichiamoci, infine, che ogni cristiano, se non è schiavo di Satana, deve operare con amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza e castità; mentre si rimane schiavi di Satana se si agisce con superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia. Quindi lasciamo agire in pienezza lo Spirito Santo, per migliorare il mondo, per (dopo la morte) essere giudicati da Dio ed accedere alla beatitudine eterna, piuttosto che alla dannazione, dove gran parte del mondo sembra purtroppo incamminarsi. (di Matteo Orlando – papanews)