I “beati” dell’Apocalisse

I “beati” dell’Apocalisse

L’Antico Testamento ebraico contiene 45 beatitudini o macarismi (< gr. makarismoi), i testi greci deuterocanonici altre 17 e il Nuovo Testamento ben 44. L’esegeta, docente a Matera – e a Gerusalemme, come professore invitato per il corso sull’Apocalisse –, ha conseguito il dottorato sul tema delle beatitudini nell’ultimo libro della Bibbia. Qui “distilla” i risultati della sua ricerca.

L’Apocalisse non è un libro del genere catastrofico, ma apocalittico nel significato di rivelativo. Esso rivela profeticamente che Gesù, Agnello immolato ma vivo, nel mistero pasquale ha vinto il male e accompagna la Chiesa che cammina nella storia in un percorso di testimonianza e di purificazione, ma allo stesso tempo scende dal cielo come dono di Dio all’Agnello-Sposo.

Satana insidia ancora la Chiesa, ma è già stato sconfitto nella guerra, sebbene vinca ancora qualche battaglia. Un libro di incoraggiamento nella tribolazione, di resistenza al male, ma anche di ammonimento contro il pericolo che i cristiani corrono di adattarsi al pensiero mondano-demoniaco, opposto a quello evangelico. Un testo controcorrente, modernissimo.

Piazzolla esamina brevemente i sette macarismi presenti in Apocalisse.

Ap 1,3 e 22,7 sono due beatitudini collegate all’ambito del messaggio evangelico che va ascoltato e custodito, prima di essere messo in pratica. Il discepolo dell’Agnello è invitato a vigilare per il tempo della venuta di Cristo, che è sempre imminente e improvvisa.

Ap 14,13 e 20,6 sono invece due macarismi collegati alla testimonianza. I discepoli dell’Agnello che muoiono a causa della testimonianza data a Gesù vengono rassicurati del fatto che riposeranno dalle loro fatiche e che saranno seguiti dalle loro opere. Non vedranno la “seconda morte”, cioè l’irrigidimento cadaverico definitivo di una vita che termina nel nulla. Dopo aver partecipato alla “prima risurrezione”, cioè alla vita nuova immessa nella Chiesa dall’Agnello col suo mistero pasquale partecipato nel battesimo, avranno accesso alla vita della Gerusalemme celeste.

In vita e in morte essi sono costituiti sacerdoti che offrono la vita e intercedono per i santi che vivono ancora sulla terra e regneranno per “mille anni” con Cristo. Regneranno, cioè, non per un tempo cronologico misurabile (e decodificato nella storia dell’interpretazione scorrettamente in senso letterale dai “millenaristi”), un “tempo” che corrisponde alla vita qualificata dalla presenza impregnante della vittoria pasquale di Cristo che appartiene al mondo e al tempo di Dio (“mille”).

Altre tre beatitudini (Ap 16,15; 19,7-9; 22,14) sono infine collegate alla tematica della “veste”. Questo simbolo antropologico rimanda all’identità profonda della persona. L’Apocalisse invita i discepoli dell’Agnello a essere vigilanti, a custodire integra la propria identità cristiana per non dover camminare vergognosamente mettendo in mostra le proprie nudità.

La Chiesa è la fidanzata-sposa che cammina nella storia preparandosi e abbellendo la propria identità in vista delle nozze definitive con l’Agnello Sposo. Nello stesso tempo – leggendo la realtà su due piani diversi e complementari – la Chiesa scende dal cielo come dono del Padre al Re dei re, al Signore dei signori, Cristo Gesù.

Il Veggente di Patmos sente acclamare in cielo l’arrivo del tempo previsto per le nozze della Chiesa. Essa “ha preparato se stessa” (19,7; non “pronta”, CEI 2008), a lei fu donato un vestito di lino splendente del mondo di Dio e puro (byssinon lampron katharon), a differenza della veste di lino pregiato sì ma non puro della tunica impura e ingannatrice della prostituta Babele, comunità umana massificata, edonistica e consumistica chiusa a Dio e ai valori del vangelo. Lei è vestita sì dibyssinon, ma non “puro/katharon” (diversamente dalla traduzione fuorviante di CEI 2008).

La Chiesa cammina nel mondo operando in sinergia con l’Agnello: «La veste di lino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19,8c). Il Veggente di Patmos vede la santa Gerusalemme nuova mentre scende dal cielo, da Dio, preparata come sposa e abbellita per il suo sposo. Due participi perfetti passivi certamente “divini” e non qualità proprie della Chiesa (non gli aggettivi qualificativi“pronta” e “adorna”, dunque, come tradotto da CEI 2008).

L’umanità è incammino verso il suo esito definito glorioso, la vita nella comunione con Dio e fra gli uomini tutti. L’esito non è individualistico, ma comunitario. Quelli che hanno lavato le loro vesti, che hanno purificato la loro identità rendendola “bianca” del mondo di Dio e della risurrezione attraverso la partecipazione al mistero pasquale, avranno diritto all’albero della vita genesiaco (Ap 22,14), che si rivela essere la vita di Dio e dell’Agnello. Attraverso le porte della città nuova – realtà comunitaria e comunionale –, essi entreranno nella città dove Dio e l’Agnello sono l’unica luce e il riposo definitivo.

Le beatitudini dell’Apocalisse aprono uno squarcio di speranza certa e di incoraggiamento offerto da Dio e dall’Agnello nel cammino testimoniale-martiriale della Chiesa, chiedendo nello stesso tempo alla Chiesa di custodire attivamente il vangelo e di metterlo in pratica nelle circostanze quotidiane della sua vita nel mondo degli uomini.

Il volumetto contiene riflessioni ricche, sintetiche e chiare, con rarissime note a piè di pagina, che nel corso dell’esposizione chiariscono molti dei simboli presenti nell’Apocalisse, facendo evitare il rischio di una sua falsa interpretazione. A metà pagina 39 userei il termine “marchio/charagma” e non “sigillo/sphragis”, per non indurre in confusione il lettore. A pagina 56 (riga -8) si legga “quinta beatitudine” e non “sesta beatitudine”.

Francesco Piazzolla, Le beatitudini dell’Apocalisse. Un cammino per la Chiesa, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, pp. 128, € 14,00, ISBN 9788892214392.

settimananews