I 50 anni della Fraternità Sacerdotale San Pio X

di: Johannes Lorenz

scisma

Cinquant’anni fa (1° novembre 1970), l’arcivescovo Marcel Lefebvre fondò la Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Schierato con la minoranza conservatrice, Lefebvre inizialmente rifiutò di condividere singole deliberazioni del Vaticano II, che ai suoi occhi consegnavano la Chiesa allo spirito moderno dei tempi. In particolare, la riforma liturgica, la dichiarazione sulla libertà religiosa, il decreto sull’ecumenismo e la dichiarazione sul dialogo con le religioni erano incompatibili con la sua visione della Chiesa cattolica. Col passare del tempo, giunse a respingere l’intero concilio.

Già fin dall’inizio Lefebvre aveva polemizzato contro la proposta dei cardinali Achille Liénart e Josef Frings, favorevoli al rinvio della composizione delle commissioni per avere più tempo per conoscere meglio i possibili membri.

Lefebvre vide in questo una cospirazione di modernisti, una mescolanza di dignitari e massoni, che voleva influenzare la composizione dei membri delle commissioni. Era convinto che le liste fossero state composte in anticipo, cosa che Yves Congar respinse come falsa.

Fino ad oggi, la Fraternità sacerdotale coltiva un’immagine monarchica di Chiesa, che vede lo Stato nel ruolo di garante della verità della fede. Tramite il rettore del Pontificio seminario francese, Henri le Floch, simpatizzante con le idee dello scrittore antidemocratico Charles Maurras, ebbe contatti con l’estrema destra monarchica “Action française”, il cui spirito – secondo Yves Congar – spiega vari atteggiamenti di Lefebvre.

Con la Dignitatis humanae in particolare, la Chiesa cattolica ha compiuto una svolta di riconciliazione con la forma democratica di governo. Non più la verità ha dei diritti che lo Stato dovrebbe promuovere, ma è la persona ad essere soggetto giuridico. Per la maggioranza dei Padri conciliari questa era una conquista di grande valore.

Per la Fraternità Sacerdotale, invece, tutto questo era un frutto avvelenato su cui aleggiava il demone della Rivoluzione francese, uno spirito che si è affermato nei contesti massonici. Pertanto, la lotta e l’ostilità verso questo “demone” della società moderna fanno parte dell’identità consolidata della Fraternità Sacerdotale.

Molta retorica di guerra

Come molte altre comunità fondamentaliste, essa vive in una simbiosi negativa con la modernità. Non per niente viene rafforzata di continuo l’immagine retorica che fa riferimento alla guerra – Ecclesia militans –, vale a dire la vera Chiesa in permanente stato di lotta per difendere i tesori che crede esserle stati affidati da Dio.

Non sorprende quindi che gli statuti prescrivano tra l’altro che il superiore generale della Fraternità Sacerdotale abbia cura che essa non cada nella tiepidezza e non si facciano concessioni allo spirito dei tempi. Secondo il punto di vista della Fraternità, viene prima di tutto l’autentica trasmissione e conservazione della (vera) tradizione cattolica. Particolarmente importante è la cosiddetta Messa Tridentina. «Si tratta di vivere la Santa Messa entrando pienamente in tutti questi misteri, in particolare in quello dell’amore che essa contiene. Ciò è inconciliabile con una blanda e insipida fede ecumenica centrata sull’uomo».

Lefebvre, morto nel 1991, esercita tuttora un ruolo centrale nella comunità. Nell’attuale notiziario della Fraternità, perciò, viene chiesta apertamente la sua canonizzazione. Il 24 settembre 2020, in occasione del 50° giubileo di fondazione, le sue spoglie mortali furono trasferite nella cripta di Ecône, nel Vallese svizzero, luogo natale della Fraternità. Questo evento faciliterà la venerazione e avrà un effetto stabilizzante all’interno.

Nelle file anche i negazionisti dell’Olocausto

Inizialmente, la Fraternità era stata riconosciuta da Roma. Fu soltanto dopo che l’arcivescovo Lefebvre ordinò illecitamente dei sacerdoti che il Vaticano ritirò alla Fraternità la sua legittimazione ecclesiale. Culmine del conflitto fu la scomunica, comminata nel 1988, a seguito di quattro ordinazioni episcopali illegittime.

Dopo questo evento, papa Giovanni Paolo II istituì la commissione “Ecclesia Dei” che avrebbe dovuto continuare il dialogo sotto l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Joseph Ratzinger. Papa Francesco la sciolse all’inizio del 2019 e trasferì le sue prerogative direttamente alla Congregazione per la dottrina della fede.

Molto si potrebbe dire sul complicato processo di trattative tra la Fraternità e Roma. Il culmine del tentativo di riavvicinamento si ebbe quanto papa Benedetto XVI, nel 2009, annunciò la revoca della scomunica dei vescovi illecitamente ordinati. Il papa dovette in seguito ammettere il fallimento dopo aver saputo che uno dei quattro vescovi negava apertamente l’Olocausto.

Da quando, nel 2018, Davide Pagliarani ha assunto la carica di superiore generale, le posizioni sembrano essersi allontanate ancor di più, nonostante diversi gesti di papa Francesco. Pagliarani si rifiuta ostinatamente di riconoscere la dottrina del concilio Vaticano II, in particolare la legittimità della Nuova Messa. Lo stesso papa Francesco che, insieme ad altre religioni del mondo, intende rafforzare la lotta contro la guerra, la fame e i disastri ambientali, guarda al superiore generale in maniera estremamente critica.

Pagliarani scrive nel bollettino di novembre che non è l’amore del prossimo la chiave interpretativa del Vangelo, ma è il Vangelo la luce per illuminare l’umanità. La fraternità universale sarebbe un’idea di origine liberale, naturalistica e massonica.

A ragione, il dogmatico viennese Jan-Heiner Tück ha sottolineato nel 2019, sul quotidiano Neue Zürcher Zeitung, che sarebbe un segnale positivo se il papa perdesse un po’ la pazienza qualora la Congregazione per la dottrina della fede conducesse ulteriori negoziati. «La Congregazione vigila sull’eredità del Concilio e non la metterà in gioco alla leggera come oggetto di scambio».

Non mancano gli alleati

Ma non sono solo i membri della Fraternità San Pio X a mettere in discussione il concilio Vaticano II. Nel bollettino attuale, Davide Pagliarani si rallegra che personalità della Chiesa cattolica romana, come il vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan) Athanasius Schneider e l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, mettano apertamente in discussione le risoluzioni centrali del concilio.

In un’intervista all’emittente katholisch.tv di “Kirche in Not”, Schneider sottolinea che il concilio, per un complesso di inferiorità, invece di portare Cristo nel mondo, ha permesso che si introducessero nella Chiesa modi moderni di pensare e di agire. Nel suo libro-intervista Christus vincit, pubblicato nel 2019, dedica un capitolo a parte alla Fraternità San Pio X.

Il libro è stato pubblicato nei giorni della memoria liturgica di san Pio X e di san Gregorio Magno. Resta da vedere se si tratta di una coincidenza o meno, in ogni caso è significativo che, sulla sovracopertina del libro, tra le altre cose, si possano leggere parole di saluto dei cardinali Robert Sarah e Raymond Leo Burke.

In una dichiarazione del giugno 2020, Viganò ha chiesto che la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa venga abbandonata del tutto. Egli chiede inoltre se, in definitiva, non sia meglio dimenticare l’intero concilio; i pericoli di confusione, malintesi e ambiguità sono semplicemente troppo grandi.

Contro la modernità

Lo spirito di difesa della fede contro la modernità, che Marcel Lefebvre ha voluto promuovere con la sua Fraternità Sacerdotale, rimane ovviamente una calamita seducente per le forze centrifughe di destra all’interno della Chiesa cattolica. Già nel 1976 la Conferenza episcopale tedesca ammoniva in una dichiarazione a Fulda di non utilizzare slogan come “Protestantizzazione della Chiesa cattolica” (a quel tempo si riferiva esplicitamente alla Fraternità San Pio X), poiché ciò avrebbe provocato un avvelenamento dell’atmosfera nella Chiesa.

Ma utilizzare slogan non appropriati come modernismo, democratizzazione, protestantizzazione o spirito del tempo non fa parte solo della “virtù fondamentale” della Fraternità Sacerdotale. In essi, infatti, è presente un atteggiamento autoprotettivo che non lascia spazi di manovra a nuove esperienze, esattamente ciò che l’aggiornamento di Giovanni XXIII voleva in realtà esprimere.

La Fraternità Sacerdotale considera la propria visione come l’unica teologicamente corretta e si presenta anche come forza elitaria di avanguardia del futuro della Chiesa.

Il padre domenicano presente al concilio, Yves Congar, nomina quattro atteggiamenti della Fraternità sacerdotale che si oppongono diametralmente a un reciproco rapporto di conciliazione: primo, un’etichetta spregiativa contro gli oppositori; secondo, l’uso di concetti sommari per screditare l’avversario; terzo, una attitudine litigiosa; quarto, l’opposizione come parte di un complotto maligno forze ebraico-massoniche o comuniste).

C’è da sperare che una teologia di centro che sa da dove viene e vede anche la necessità di un aggiornamento della fede non venga lacerata e che l’ala destra non si avvicini di nuovo a un Cattolicesimo del Sillabo (Yves Congar). Un criterio importante per questa teologia di centro è e rimane il pieno riconoscimento del concilio Vaticano II, che può essere interpretato in modo più conservatore o più progressista.

La Fraternità Sacerdotale segna un impasse teologico ed ecclesiale che, a ben guardare, tradirebbe del tutto l’eredità multiforme della tradizione, la cui ricezione non deve restringere le vedute ma renderle più ampie. (KNA, 13.12.2020)

  • Johannes Lorenz è direttore degli studi per le questioni relative alla visione del mondo e l’arte di vivere presso l’Accademia cattolica Rabanus Maurus/Haus am Dom, nonché l’incaricato per la visione del mondo della diocesi di Limburg.
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