Gli invitati alle Nozze. Il vangelo della XXII domenica del tempo ordinario

«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto».

Questo Vangelo è certamente una chiamata all’umiltà, ed è una luce sempre imprescindibile nella nostra avventura di cristiani: ma questo tema lo troviamo anche nella bellissima prima lettura della liturgia; e forse possiamo permetterci di andare a un livello ulteriore.

Noi cristiani sappiamo che le vere nozze sono quelle dell’Agnello — la liturgia originariamente direbbe: «Beati qui ad Cenam Agni vocati sunt», con riferimento alla grande scena delle nozze dell’Agnello con la sua sposa, la Chiesa, di Ap 19,7.9.

Invitati a queste Nozze che sono il Regno di Dio, noi siamo la Sposa dell’Agnello. Tale invito implica uno stile: in queste Nozze si entra senza mettersi al primo posto.

Abbiamo pensato spesso che il nostro compito fosse farci avanti, mostrarci, sottolineare la nostra presenza, proporci e avere un ruolo importante. Ma san Paolo dice: «Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1Cor 4,9).

A ben vedere il vero problema qual è? Né il primo né l’ultimo posto, ma quello che ci assegna il Padre!

Ci scervelliamo per essere visibili, ma questo è affar Suo. Non c’è da salire sul pinnacolo del tempio, ma se siamo la luce che deve splendere davanti agli uomini, è lui che la accende e la mette sul candelabro (Mt 5,15s).

San Massimiliano Kolbe, posto sul candelabro ad Auschwitz, entrò nelle Nozze diventando una carne sola con lo Sposo, dando spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.

Quando iniziamo a lasciarci assegnare il posto, sperimentiamo la creatività del Padre che fa le sue scelte sorprendenti e salva il mondo per mezzo di ciò che è stolto, debole, ignobile e disprezzato (1Cor 1,27s).

Allora capiamo perché è opportuno invitare alla cena «poveri, storpi, zoppi, ciechi». Sono coloro a cui si annunzia la Buona Novella. Questi ci faranno entrare «nella resurrezione dei giusti».

di Fabio Rosini – Osservatore Romano