«Un vitello, che veniva condotto al mattatoio, preso dalla paura andò a nascondere la testa in grembo a Rabbì Giuda il Santo, e scoppiò in pianto. Ma il maestro non si commosse. Disse: ‘Và, per questo sei stato creato’. (Cioè per andare al macello). E lasciò che lo uccidessero. Per questa mancanza di compassione, Dio decise di punire il rabbi con tredici anni di sofferenze. Ma il maestro si riscattò quando, un giorno, una sua serva, spazzando la casa, stava gettando via i cuccioli di una donnola (animale allora indispensabile nelle dimore, come il gatto). Rabbi Giuda il Santo ordinò subito di salvare i cuccioli. ‘Lasciali, perché sta scritto: ’Buono è il Signore verso tutti, verso tutte le sue opere è la sua tenerezza’. Allora Dio decretò: ‘Ha mostrato compassione, e noi mostreremo compassione a lui’». Paolo De Benedetti già docente di Giudaismo alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, insegna Religione di Israele presso l’Istituto di Scienze Religiose della Università di Urbino. Con il racconto su Rabbi Giuda il Santo, vuole fornire un esempio, fra i tanti, in cui la tradizione ebraica dà spazio agli animali, nostri ‘fratelli minori’. Professore, a Munster è sorto un istituto di Zoologia Teologica. Secondo lei, su quali basi si fonda questa ‘teologia degli animali’? «Basta leggere le parole di Dio riportate dalla Bibbia, al Capitolo 9 della Genesi, appena dopo la narrazione del diluvio universale. ‘Ecco che io stabilisco la mia alleanza con voi e con la vostra progenie dopo di voi, e con ogni essere vivente che è con voi: con i volatili, con il bestiame e con tutte le fiere della Terra che sono con voi, con tutti gli animali usciti dall’ArcaQ. Il testo è, in un certo senso, la base negletta (che oggi si va riscoprendo) di una teologia degli animali. Questi, secondo una retta teologia, partecipano all’alleanza con Dio. E perciò entrano a far parte di una teologia, nel senso che non si può parlare, in modo completo, degli animali senza parlare di Dio; e non si può parlare, in modo completo, del genere umano se non si parla anche degli animali». Gli animali, si dice, non peccano. Sono innocenti. Certo, perchè non hanno libertà e coscienza, concludono molti. «Libertà e coscienza esistono , almeno negli animali cosiddetti superiori. Cani, gatti, mucche vivono con l’uomo da migliaia di anni. Sanno esprimere alcuni sentimenti fondamentali: chiedono perdono, soffrono alla morte del padrone o della loro compagna. Quando uccidono una preda e la mangiano, non si comportano diversamente da noi che ci cibiamo di carne ». Ulisse piange quando il suo cane, ravvisatolo dopo venti anni, muore. «Si narra che a un bambino in lacrime per la morte del suo cagnolino, Paolo VI abbia detto: ‘Non piangere, perché nuovamente l’avrai’. Personalmente io credo che l’animale, compagno di tante solitudini, di tante tristezze e anche di tante gioie, in misura varia secondo la sua coscienza (affermo e ripeto: coscienza) ci accompagnerà anche nell’altra vita. E non ci si chieda di spiegare il perché. O forse c’è un perché: se tutto ciò che ha avuto da Dio la vita, non l’avrà di nuovo, la morte sarà più potente di Dio». Luigi Dell’Aglio – avvenire 21 Luglio 2010