Giovani. Il Sud si spopola, la Sicilia prova a ribellarsi con le «Valigie di cartone»

Diocesi e Comuni fanno fronte comune per reagire a un processo che indebolisce sempre più il patrimonio umano dell’isola. Gli studenti si organizzano col movimento “Si resti arrinesci”

Manifestazione a Palermo del movimento "Valigie di cartone" (Fotogramma)

Manifestazione a Palermo del movimento “Valigie di cartone” (Fotogramma)

La vera emergenza del Sud? I giovani che se ne vanno, alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Lo spopolamento, che interessa piccoli e grandi centri, soprattutto del Mezzogiorno, è un colpo per l’economia di un’Italia in difficoltà: è la perdita del capitale umano. Lo dimostrano gli ultimi dati Svimez: gli emigrati tra il 2002 e il 2017 dalle regioni meridionali sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi, si legge nel rapporto, «66.557 sono giovani, cioè il 50,4%, di cui il 33% laureati». Sempre secondo lo Svimez, al termine del 2019 l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Al Centro-Nord dovrebbe crescere di appena lo +0,3%, nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è del -0,3%. Previsioni di cui si attende conferma. Non solo, la stessa associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno stima pure che nei prossimi 50 anni le Regioni del Sud perderanno 5 milioni di residenti. Un calo, dunque, che sembra inesorabile e progressivo. Molti giovani partono verso il centro-nord per motivi di studio, altri decidono di trasferirsi per motivi di lavoro. Secondo Almalaurea al 2018, a cinque anni dalla laurea, il 18,9% degli studenti del Sud si è trasferito per motivi di studio e non è rientrato. E un 21,2% di giovani parte per motivi di lavoro dopo essersi laureato in un ateneo del Sud. (Fulvio Fulvi)

Una valigia simbolo di chi sale su un aereo per trovare finalmente un futuro lontano da una terra che sembra non offrire più niente, ma anche di chi decide di tornare a costruire qualcosa dove è nato e dove si trovano i propri affetti.

Ormai Chiesa, studenti, sindaci in Sicilia hanno compreso che è necessario un fronte comune per frenare l’esodo dei giovani, che sta spopolando l’isola, pretendendo una inversione di rotta, anche stimolando le occasioni per fare impresa.

Il movimento delle “Valigie di cartone”, fondato da don Antonio Garau a Palermo, e quello degli studenti “Si resti arrinesci”, assieme a molteplici iniziative organizzate in piccoli e grandi Comuni della Sicilia hanno fatto scoppiare il caso. Ci sono giovani che si mettono in gioco per offrire una testimonianza diversa, denunciando i forti limiti di un sistema locale asfittico, ma pretendendo di potere avere un’occasione.

Come Attilio Costa, caparbio 26enne palermitano, neolaureato in Economia, ma con il cappello dello chef in testa. Il suo è un percorso particolare. Diplomato in ragioneria, ma con la passione per la cucina, Attilio ha cominciato a lavorare nei locali per poi decidere di volare in Inghilterra per perfezionare l’inglese e fare esperienza nel settore della ristorazione. «Se sei uno chef e vuoi girare il mondo, devi conoscere bene l’inglese. Così ho lavorato per un anno in Inghilterra, anche in un hotel di lusso – racconta –. Mi sono reso conto che lì, se vuoi, puoi riuscire. Poi sono andato in Corsica per la stagione estiva, in un ristorante di lusso. E ora sono tornato».

Nel frattempo ha continuato a studiare, si è laureato in Economia, «perché penso che chi vuole fare impresa deve essere ben formato» e ha ingaggiato una bella sfida. «Sto aspettando di trovare un locale adeguato qui a Palermo, in regola con tutte le licenze, per aprire un ristorante tutto mio – confida –. Mi sono sempre domandato perché vado bene lontano da qui e invece dove ci sono le mie amicizie, i miei affetti, è tutto più difficile. Io devo riuscirci. Anche se devo ammettere che sto trovando molte difficoltà a trovare un locale adatto e con le carte in regola».

Unire le forze, sembra essere diventata la parola d’ordine. Vescovi si sono messi in gioco per diffondere la cultura d’impresa, come monsignor Giuseppe Marciante a Cefalù, che ha lanciato il Laboratorio della Speranza per mettere a disposizione dei giovani beni ecclesiali da promuovere e valorizzare turisticamente, o come monsignor Nino Raspanti, vescovo di Acireale che ha promosso il “Contamination lab” per rilanciare la cultura dell’imprenditorialità, favorendo la contaminazione tra idee e persone. I vertici di numerose diocesi (Palermo, Monreale, Trapani, Piazza Armerina e Siracusa) assieme a tanta gente hanno partecipato a manifestazioni per sollevare il grave problema dell’emigrazione forzata dei giovani. Lo ha ricordato proprio ieri don Garau, invitato all’assemblea straordinaria dei Comuni siciliani a Palermo, per accendere i riflettori sulla grave situazione degli enti locali in situazione di dissesto e pre-dissesto.

«Non possiamo più stare a guardare dai nostri balconi la sofferenza della gente. Una Chiesa in uscita e una politica per l’uomo devono saper uscire dalle comode sacrestie e dai comodi palazzi di potere e farsi vedere e sentire, condividendo le gioie e le speranze di un’umanità che va sempre più alla deriva» denuncia Garau, che ha presentato un “pentalogo” con alcuni segnali di discontinuità: l’impegno «ad attivare tutte le risorse disponibili e gli investimenti programmatici 2014-2020», a «rafforzare la rete di collaborazione tra imprese, scuole e università», «aprire un fronte di discussione con il governo nazionale», un ammodernamento della struttura amministrativa della Regione, una nuova strategia che sappia attrarre risorse.

Ieri pomeriggio, il movimento “Si resti arrinesci” ha organizzato a Petralia Soprana, paesino delle Madonie, l’iniziativa “addumamu i luci”, “accendiamo le luci” con una fiaccolata contro l’emigrazione forzata dalla Sicilia, mentre un’altra iniziativa si era svolta qualche giorno fa a Mazara del Vallo.

Avvenire