Giornata per le vittime di violenze basate su religione o credo. Combattere le persecuzioni

L’Osservatore Romano

Si celebra oggi la prima Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sulla religione o sul credo, istituita nel maggio scorso dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’obiettivo è «condannare fermamente la violenza e gli atti di terrorismo, in nome della religione o delle convinzioni personali, nei confronti di appartenenti a diverse religioni, comprese quelle di minoranza». «In questo giorno, riaffermiamo il nostro sostegno incrollabile alle vittime di violenza basata sulla religione e sulle convinzioni personali», ha affermato il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, spiegando che l’Onu intende «fare tutto il possibile per prevenire tali attacchi e chiedere che i responsabili siano perseguiti». La Giornata serve a riaffermare «l’inequivocabile condanna di tutti gli atti, i metodi e le pratiche terroristiche ed estremiste violente in tutte le forme e manifestazioni, ovunque e da chiunque siano commessi, indipendentemente dalla motivazione».
Nei documenti con cui è stata istituita la Giornata si legge che «terrorismo ed estremismo violento non possono e non devono essere associati ad alcuna religione, nazionalità, civiltà o gruppo etnico».
L’obiettivo deve essere quello di assicurare «un dibattito aperto, costruttivo e rispettoso delle idee», nella convinzione che «il dialogo interreligioso, interreligioso e interculturale, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, possono svolgere un ruolo positivo nella lotta contro l’odio religioso, l’incitamento e la violenza».
La libertà di religione o di credo, la libertà di opinione e di espressione, il diritto di riunione pacifica e il diritto alla libertà di associazione sono «interdipendenti, correlati e si rafforzano a vicenda»: sono sanciti dagli articoli 18, 19 e 20 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Con la Giornata si ribadisce la convinzione che «il rispetto di questi diritti svolge un ruolo importante nella lotta contro ogni forma di intolleranza e di discriminazione basata sulla religione o sul credo». Inoltre, l’esercizio del diritto alla libertà di opinione e di espressione e il pieno rispetto della libertà di cercare, ricevere e trasmettere informazioni possono svolgere un ruolo positivo nel rafforzamento della democrazia e nella lotta contro l’intolleranza religiosa.
Il punto è che secondo i dati a disposizione dell’Onu, si registrano «continui atti di intolleranza e violenza basati sulla religione o sulle convinzioni personali, anche nei confronti di persone appartenenti a comunità religiose e minoranze religiose in tutto il mondo, e il numero e l’intensità di tali incidenti, spesso di natura criminale e internazionale, sono in aumento».
I cristiani si confermano il gruppo di fede maggiormente perseguitato: nel mondo uno ogni sette vive in un paese di persecuzione. Significa quasi 300 milioni di persone. È quanto emerge dalla XIV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre. In particolare, se il 61 per cento della popolazione mondiale vive in paesi in cui non vi è rispetto per la libertà religiosa, nel 9 per cento di questi paesi si deve parlare di discriminazione, mentre nell’11 per cento di vera e propria persecuzione. E altro dato significativo: dal giugno 2016 al giugno 2018 si è riscontrato un aumento delle violazioni della libertà religiosa in molti di questi Stati.
L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2019