Giornata di preghiera: l’impegno della Chiesa in Congo e Sud Sudan

Vescovi, sacerdoti e missionari impegnati nei difficili processi di pacificazione dei due Paesi africani. Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo sono dilaniati dalle lotte interne per il potere politico che provocano massacri e carestie.

Marco Guerra – Città del vaticano

Continuano ad arrivare da tutto il mondo le adesioni alla Giornata di preghiera per il Congo e il Sud Sudan che si celebra venerdì 23 febbraio. L’iniziativa rivolta a tutti i fedeli, è stata indetta da Papa Francesco durante l’Angelus di domenica 4 febbraio, proponendola anche ai cristiani delle altre Chiese e ai seguaci delle altre religioni. “Il nostro Padre celeste – ha detto il Pontefice in quell’occasione – ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell’angoscia, risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”.

Congo e Sud Sudan segnati da crisi politiche

Le ferite inferte alla popolazione dei due Paesi africani sono quelle delle instabilità politiche e delle tensioni interetniche, spesso sfociate in atti di vera e propria guerra civile.
In Congo le violenze sono causate dai continui posticipi delle elezioni presidenziali. Il Presidente Joseph Kabila è ancora al potere sebbene il suo mandato sia scaduto nel 2016. A chiedere il ritorno alle urne è il comitato di coordinamento dei laici e in questo contesto, la Conferenza Episcopale congolese si è fatta promotrice di un lungo processo di dialogo tra tutte le forze politiche per porre fine all’impasse politica. Il risultato di tale iniziativa è conosciuto come l’”Accordo di San Silvestro”, firmato il 31 dicembre 2016 e poi disconosciuto dallo stesso Kabila.

La repressione delle Chiesa congolese

Il mancato rispetto degli accordi ha scatenato, a partire dal novembre 2017, un’ondata di proteste in tutte le principali città del Paese, duramente represse dalla polizia congolese. Durante una giornata di protesta il 30 novembre, sono state arrestate più di 200 persone tra Kinshasa e Goma, un manifestante è rimasto ucciso e diverse decine feriti. Il bilancio dell’ultima manifestazione del 21 gennaio, la “Marcia Pacifica dei Cristiani”, per chiedere il rispetto dell’applicazione degli accordi di San Silvestro e le dimissioni di Kabila è di 5 morti, un centinaio di arresti, 134 parrocchie accerchiate dalla polizia o dall’esercito di cui una decina con lancio di lacrimogeni, celebrazioni di Messe impedite o interrotte dalla polizia. Alla grave situazione politica si aggiungono gli annosi conflitti nel Kasai e nelle regioni orientali nella Repubblica Democratica del Congo, dove vi è una delle crisi umanitarie più complesse del mondo.

Mons. Utembi Tapa: il Papa è vicino al Popolo

La preghiera chiesta dal Papa funge dunque anche come un raggio di luce che mette a fuoco le necessità di queste terre. Apprezzamento è stato espresso dal clero locale, come conferma a Vaticanews mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale nazionale della Repubblica Democratica del Congo:

“Sappiamo che il Papa, come lo conosciamo, è molto sensibile e molto vicino a tutto il popolo di Dio, ovunque si trovi. Egli sa bene quello che succede nella Repubblica democratica del Congo: sa delle ondate di guerra, dei conflitti armati; sa quello che è successo e succede ancora nell’Est; quello che è successo nel Grand Kasai; quello che succede in altri luoghi del nostro Paese; sa dell’ondata di violenza che colpisce il Sud Sudan … Il Papa ne è informato e vuole essere vicino a tutti questi popoli e attirare l’attenzione della comunità nazionale e internazionale, vuole sensibilizzarla. Di fronte a questa miseria il Papa ci invita a invocare la misericordia di Dio: attraverso questa preghiera, il Papa ci invita a convertirci, chiede la conversione dei cuori: è un messaggio rivolto a tutti, ma in particolare a tutti coloro che sono implicati in un modo o nell’altro nella gestione e nell’accompagnamento di questo Paese, nella ricerca di strade pacifiche per uscire dalla crisi”.

Sud Sudan: 7 milioni in emergenza umanitaria

La situazione non va meglio in Sud Sudan. Il Paese è indipendente solo dal 2011 e nel dicembre del 2013 i contrasti politici sono precipitati in un conflitto, dopo che il Presidente Salva Kiir, di etnia dinka, ha accusato il suo vicepresidente Riech Machar, di etnia nuer, di aver organizzato un colpo di Stato alle sue spalle.
La combinazione di instabilità, guerra, siccità e una grave crisi economica, ha provocato una disperata mancanza di cibo, violenze diffuse e un massiccio esodo della popolazione tant’è che a febbraio 2017 è stato dichiarato lo stato più grave di “carestia” in diverse zone del Paese.
Le agenzie delle Nazioni Unite stimano che più di 7 milioni di persone (degli oltre 12 milioni di abitanti totali del Paese) necessitano urgentemente di assistenza umanitaria. L’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha inoltre reso noto che dall’inizio del conflitto un sud sudanese su tre, ha cercato protezione sia all’estero sia entro i confini nazionali, il 90% sono donne e bambini.

Padre Chemello: governo responsabile del conflitto

Vescovi cattolici hanno alzato la voce, denunciando gli abusi sulla popolazione. In una lettera pastorale hanno definito “crimine di guerra” ogni tipo di violenza, omicidio, tortura e stupro di civili. Per un ulteriore sguardo sulle condizioni politiche e sociali del giovane Paese africano abbiamo raccolto la testimonianza del missionario comboniano Padre Francesco Chemello, appena tornato dal Sud Sudan, dove è stato Superiore della comunità di Leer per circa 11 anni:

R. – Storicamente parlando, i due gruppi principali, quello Dinka e quello Nuer, sono sempre stati l’uno contro l’altro. Però il vero discorso non è tanto Dinka e Nuher ma è tutta una questione generale fra il gruppo governante e tutti gli altri, perché sfortunatamente anche gli equatoriani sono stati esclusi, non hanno voce in capitolo. Quindi, io direi che il discorso deve essere allargato più sul fatto di come governare e di chi detiene il potere.

Quali ostacoli incontra il processo di pace?

R. – Certamente il presente governo non è legale, perché avrebbe dovuto essere già concluso, avrebbero dovuto già tenersi nuove elezioni, ma è stato proprio tutto questo che ha portato alle conseguenze che vediamo ora. L’attuale presidente non ha mai voluto mettere in questione la sua autorità. Le elezioni consistevano anche nell’avere una costituzione e fare elezioni eque, ma questo naturalmente è stato tutto buttato sottosopra perché la situazione non lo permette.

Lei è appena tornato dal Sud Sudan, la cronaca parla di atrocità, episodi di violenza ed emergenza umanitaria… Che cosa ha visto durante la sua esperienza?

R. – Io mi trovavo a lavorare tra i Nuer. I massacri più forti sono avvenuti tra i Nuer. Dopo ci sono state delle vendette e ritorsioni contro altre persone che erano della tribù opposta, quindi la violenza ha chiamato violenza. Ma le violenze ci sono state anche in Equatoria, per cui tutti gli sfollati che ci sono adesso in Uganda e Kenya, sono dovuti al cattivo comportamento dell’esercito, che è governativo, nei confronti delle altre tribù. Praticamente tutte le tribù. Anzi, anche tra i Dinka stessi i problemi ci sono, la questione è complicata, non è solo una questione Dinka-Nuer.

Cosa sta facendo la Chiesa per la pacificazione di questa terra? I vescovi cattolici hanno ribadito il sostegno al piano per la pace del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan…

R. – Sì, credo che questo sia uno sforzo molto forte, di tutte le Chiese, non solo di quella cattolica. Ma è logico che si trova in forte difficoltà perché è logico che se le parti interessate non ascoltano, il discorso va a vuoto… C’è chi ha una reale responsabilità e dovrebbe essere chiamato a rispondere.

Si sono registrate anche violenze e persecuzioni contro la Chiesa cattolica in Sud Sudan?

R. – Chi parla chiaro, naturalmente, cade sotto il controllo della Security. Quindi se uno parla o sparisce o deve trovare il modo di non farsi notare troppo.

Papa Francesco ha espresso più volte il desiderio di venire in Sud Sudan e poi ha indetto questa giornata di preghiera per il 23 febbraio. La Chiesa locale come ha accolto questa attenzione del Santo Padre verso questa terra?

R. – Penso che la preghiera che Papa Francesco ha indetto sia stata molto importante perché ha unito il mondo intero e anche le varie Chiese. Ma penso che sia importante perché se non mettiamo la nostra fiducia in Colui che guida la storia, credo che sia molto difficile trovare un’altra via. Dunque è veramente importante, a livello di fede, che questo sia portato avanti, perché i miracoli possono sempre capitare, però ci vuole la volontà concreta di risolvere la situazione, confidando che andando avanti con fede e fiducia qualche via si possa aprire, qualche spiraglio nuovo si possa aprire, e che il Signore apra anche i cuori all’accoglienza della pace.

da Radio Vaticana