Giornata della Memoria 2016: dalla Shoah un seme di speranza

Alberto Mieli è uno degli ultimi deportati romani nei campi di sterminio nazisti ancora in vita. È un bisnonno che ama la sua famiglia e ne è teneramente riamato. Con il trascorrere del tempo è riuscito a superare il comprensibile rifiuto di parlare degli indicibili orrori vissuti negli anni della sua giovinezza, e ha capito che raccontare il suo passato diventava una medicina per la sua anima e un dono prezioso per gli altri, in particolare per le nuove generazioni, che hanno tanto bisogno di “memoria” per costruire il futuro.

Aiutato dalla buona penna dell’affezionata nipote Ester ci conduce così con semplicità attraverso i ricordi della sua vita, dall’infanzia serena, all’esclusione dalla scuola perché ebreo, al graduale peggioramento delle condizioni di vita della sua famiglia e al deteriorarsi dei rapporti sociali in conseguenza delle leggi ‘razziste’ del fascismo.Eravamo ebrei, questa era la nostra unica colpa. La concretezza delle esperienze della vita quotidiana aiuta – forse meglio di studi dotti e documentati – a capire quale terribile ingiustizia e offesa alla dignità delle persone si stesse consumando in Italia e in Europa con l’ascesa delle ideologie razziste e totalitarie. Un crescendo che alla fine esplode nell’abominio delle deportazioni e dei campi di sterminio, dove la dignità delle persone veniva distrutta sistematicamente e brutalmente ancor prima della distruzione della loro vita fisica. Anche questo viene raccontato con le circostanze e gli episodi della vita quotidiana nei campi e con i sentimenti che li accompagnano.

Come è stato possibile tutto ciò? Ma il racconto suscita spontaneamente anche un’altra domanda. Come è stato possibile che un giovane sia riuscito a sopravvivere a una vicenda così terribile e densa di orrori disumani? Alle torture e alle sofferenze fisiche, ma anche a quelle morali e spirituali? E come è possibile che ci presenti oggi una memoria che è allo stesso tempo terribile nel suo semplice realismo, ma anche del tutto priva di sentimenti di odio e di vendetta? Anche il racconto finale della vicenda di due giovani olandesi incontrati nel campo di sterminio, che dopo la guerra identificano un criminale nazista e lo denunciano alla giustizia, ma rinunciano a vendicarsi sui suoi figli, è come un’appendice e un’integrazione al racconto personale di Mieli, che si iscrive bene in questa logica delle ricerca della ricostruzione di un mondo umano, non più dominato dall’odio.

Certamente, come dice il titolo stesso – “Eravamo ebrei…” – le leggi razziste, la persecuzione e lo sterminio degli ebrei sono un filo conduttore essenziale del racconto; ma esso abbraccia con piena umana comprensione e compassione anche i compagni di sofferenza che ebrei non sono, come i giovani ungheresi fuggitivi che vengono impiccati o il prete cattolico belga che viene immobilizzato in forma di crocifisso e ucciso con la stessa croce di legno che si era costruito per pregare… Insomma è l’umanità comune che viene calpestata, uccisa e distrutta dalla follia dell’odio. In questo senso il racconto di Mieli mi pare straordinario – posso dire “miracoloso”? – e mi pare un dono preziosissimo di sapienza e di speranza per il nostro tempo.

E certamente Alberto Mieli è un privilegiato per aver potuto percorrere tutto l’arco di una lunga vita in cui ha vissuto la prima esperienza della gioia, poi l’addensarsi delle nubi dell’odio, fino alla tragedia dell’imperversare più assurdo del male, ma poi soprattutto per aver potuto ancora vivere il ritorno alla vita e all’amore. Così la memoria dell’orrore dell’antisemitismo, dell’odio razziale, delle innumerevoli vittime della Shoah, della violazione totale della dignità delle persone, entra profondamente nel nostro cuore, come monito da non dimenticare proprio per aiutarci a continuare a costruire insieme un mondo di rispetto reciproco, di dialogo, di rispetto e di pace.

Auschwitz raccontato dalla nipote. Il libro di Alberto Mieli ed Ester Mieli, ‘Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica colpa’ (Marsilio, pagine 126, euro 15,50) è la biografia di Alberto scritta da sua nipote Ester. Alberto, oggi novantenne, è uno dei pochi ebrei italiani deportati dai nazisti a essere ancora in vita. A 16 anni venne portato ad Auschwitz. Un libro testimonianza ricco di racconti inediti, che ha la prefazione di padre Federico Lombardi (che pubblichiamo per intero) e la postfazione del rabbino capo Riccardo Di Segni. È stato presentato ieri sera al museo Maxxi di Roma con gli interventi, oltre che del rabbino Di Segni, dell’ex ministro Mara Carfagna, di Roberto Giachetti e Riccardo Pacifici.

Avvenire