Felicità? Tra guru e sapienza eterna

Giovedì sera (“La 7”) “Servizio Pubblico” con “fuori opera” d’eccezione: Roberto Saviano in persona. Lui “parla”. Tutti in devoto ascolto. Il tema pare quello della felicità, con questa tesi: «Ciascuno cresce – e quindi è felice, ndr – nella misura in cui si verifica un sogno. Ciascuno dovrebbe essere sognato». Si parte da un libro e da un film in cui felicità è vivere per “un figlio” sognato e desiderato. E così a lungo, con la platea adorante. Persino Travaglio tace senza obiezioni, persino Vauro è tutto intento all’ascolto, e Michele lascia piena libertà al torrente di parole, che in concreto sono tutte al futuro nella formula che «l’allegria sta arrivando», e ci sarà una vera «rivoluzione» con la memoria viva della liberazione totale – «il nostro 25 aprile!» – ove, ed è la conclusione in cui il sermone plana verso l’atterraggio morbido, si annuncia una realtà nella quale «ogni notte sarà come l’ultima e ogni giorno come il primo». L’applauso finale è insieme liberatorio e consolatorio, prolungato e corale. Saggezza laica sopraffina che ammalia e incanta: un’omelia non sacrale sulla felicità, davvero alta e solenne. Dunque la “felicità” è nell’essere “sognati” e quindi poter sognare? Sì. Per caso vedo la tv mentre ho sul tavolo la pagina 16 di mercoledì di “Avvenire”, ove Giacomo Gambassi – titolo: “E Paolo VI disse: cristianesimo non facile, ma felice – presenta due libri di Leonardo Sapienza, uno sul silenzio, e l’altro proprio… sulla felicità. Ecco: felicità per felicità, forse “Servizio Pubblico” nel caso è in ritardo. Sappiamo – crediamo – che tutti siamo stati “sognati” dall’Alto, perciò possiamo “sognare” altri, e su questa duplice coscienza regge la radice di una felicità possibile nel presente e nel futuro, senza fine: un privilegio, e una responsabilità.

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