Fare catechesi all’insegna dell’inclusione

dall’inviata Sir a Montesilvano, M. Michela Nicolais

“Inclusione”. È questa la parola d’ordine per raggiungere le “periferie esistenziali”, come vuole Papa Francesco. Perché “fare catechesi oggi significa collocarsi nelle periferie”. Don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico della Cei (Ucn), sintetizza così il “clima” del Convegno unitario dei settori Apostolato biblico, Catecumenato e Catechesi delle persone disabili in corso a Montesilvano (Pescara) sul tema “Verso le periferie esistenziali”. All’incontro partecipano 240 persone, in rappresentanza di quasi tutte le regioni italiane, da Nord a Sud.
Tre “periferie”, tre modi di fare catechesi. Periferie esistenziali dove si incontra la sofferenza e si fanno i conti con la realtà del limite e con le proprie, non solo altrui, fragilità. Dove è forte la domanda religiosa. Dove a dominare è la richiesta di senso. “Ci sono tre livelli di periferie esistenziali”, ci spiega il direttore dell’Ucn: “Il primo è quello che pone la necessità di incontrarsi con situazioni diverse, dove l’inclusione è una domanda forte, come nel caso delle presone con disabilità. Il secondo è quello che ci pone in contatto e in dialogo con chi non ha fede, o muove i primi passi verso di essa, come avviene nel catecumenato, un settore fondamentale della catechesi dei nostri tempi, e che si sta sviluppando sempre di più. Infine, c’è la necessità sempre impellente per il cristiano di far partecipi gli altri di quello che è il tesoro della nostra fede: la rivelazione di Dio in Cristo, l’annuncio del Vangelo a tutte le persone alla ricerca di un senso, attraverso proposte come l’apostolato biblico”. La “Chiesa in uscita” di cui parla il Papa nella “Evangelii Gaudium” esige anche “una contaminazione” tra i corrispondenti tre settori in cui in Italia si articola la catechesi, spiega don Benzi. I bambini oggi non sanno più farsi il segno della Croce, ha denunciato Francesco: se intendiamo la catechesi in senso “inclusivo”, propone il direttore dell’Ucn, i bambini possono imparare dalle persone disabili, perché “ogni disabile è un catechista per ciò che è, è un testimone della fede”. Quella fede, magari, di cui le famiglie rischiano di disimparare i gesti.
“Dove meno te lo aspetti…”. In Italia sono circa un migliaio, ogni anno, le persone che chiedono di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana. A ricordare il dato è monsignor Paolo Sartor, direttore del settore Catecumenato dell’Ucn, attestando come questa modalità di fare catechesi si stia diffondendo ormai “dai grandi centri urbani, dove è nata, ai centri più piccoli”. A chiedere il catecumenato sono stranieri che qui da noi “incontrano la fede perché nei loro Paesi non era possibile essere cristiani”, bambini ma anche italiani che “non hanno ricevuto un’educazione cristiana in famiglia e poi riscoprono la fede”. Che tipo di “periferie” intercetta il catecumenato? Mons. Sartor risponde con una frase lapidaria e molto evocativa: “Ci insegna che il Signore è presente là dove meno te lo aspetti…”.
“Mettere le persone a proprio agio”. “L’inclusione reale genera vita e coglie tutta la persona”. Parola di suor Veronica Donatello, responsabile del settore Catechesi delle persone disabili dell’Ucn, che mette l’accento sulla differenza tra “integrazione”, che interviene quando una realtà già c’è, e “inclusione”, che invece agisce prima che l’evento accada e vuole “mettere le persone a proprio agio”. Con le persone disabili, in altre parole, non funziona l’atteggiamento di chi dice “se arriva, poi ci pensiamo”, ma quello esattamente opposto, che “inserisce la cultura dell’accoglienza nella progettazione”. “Spesso anche le parrocchie possono essere ghettizzanti”, denuncia la religiosa, secondo la quale in materia di disabilità “siamo noi a creare periferie”. Un esempio per tutti: la liturgia. “Noi tendiamo a spiegare, a ridurre: le persone disabili ci insegnano invece che dobbiamo permettere alla persona di ‘esplodere’, recuperando la valenza simbolica del rito e l’importanza dei gesti”. Adattare i giochi alle persone disabili, considerare tutto lo spettro entro cui si manifesta l’autismo, affrontare la sfida delle disabilità intellettive: sono questi alcuni ambiti di impegno del “lavoro di rete” che compiono le équipe di questo settore della catechesi, in cui “non ci si improvvisa, la formazione è essenziale”. Non mancano le pratiche virtuose nelle diocesi: come a Pistoia, dove si affrontano i “casi estremi” sia delle disabilità lievi, “in cui la persona tra i ‘normali’ si sente fuori posto, e tra i disabili si sente strana”, sia delle disabilità gravi, in cui le persone sono quasi in stato vegetativo. Perché “Dio è per tutti”.
La Bibbia è “narrazione”. L’apostolato biblico è un modo per “raggiungere chi è ai margini della fede”. Ne è convinto don Dionisio Candido, responsabile dell’omonimo settore dell’Ucn, che definisce il suo ambito “periferia della fede” e spiega come il metodo narrativo sia quello più idoneo a “raccontare” la Bibbia all’uomo di oggi. “La Bibbia non è fatta per chi si sente arrivato”, spiega il sacerdote, ma per “recuperare quella parte di noi che ancora deve essere evangelizzata e cercare di portarla all’intimità con Gesù”. I centri di ascolto, la pratica della “lectio divina”, le scuole della Parola diffuse capillarmente in tutto il nostro territorio ne sono un esempio eloquente: “Se sfogliamo le pagine della Bibbia – conclude don Candido – ci accorgiamo che i personaggi crescono, attraversando fatiche e subendo anche i rimproveri”.
agensir.it
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