Eucarestia, segno di contraddizione

Rubrica Gazzetta Santa Marta, mensile Jesus

(Iacopo Scaramuzzi) Quando tutti o quasi si attendevano l’affondo, lui ha digredito. Basilica di San Pietro, lunedì otto luglio, il Papa celebra messa con 250 tra migranti e soccorritori a sei anni dalla sua visita a Lampedusa. Estate di porti chiusi e braccia aperte, la capitana Carola Rackete contro il «capitano» Matteo Salvini, giornali pronti a registrare lo scontro aperto tra Francesco e i lupi sovranisti. E invece niente. Jorge Mario Bergoglio parla degli immigrati, certo, ma allarga il discorso, cita la Bibbia, spiega che sono «il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata». Ricorda i loro viaggi della speranza, dalla morte nel deserto su su fino al «mare impietosito» e ai «campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea», ma evita accuratamente di menzionare i respingimenti. Jorge Mario Bergoglio, come è suo solito, scarta. Perché la sua Messa è già di per sé un segno di contraddizione, sicuramente. Ma anche perché ci tiene a far capire che occuparsi degli «ultimi» per un cristiano non è un optional, che – per citare il cardinale dubioso Walter Brandmueller – l’ecologia, l’economia e la politica hanno sì a che fare «con il mandato e la missione della Chiesa», che il suo magistero è spirituale eccome. Non è il ministro dell’Interno pro tempore italiano il punto, ma le opzioni inconciliabili aperte da un’epoca nuova. Tra chi vede nella fluidità del mondo moderno, nelle società multiculturali, pluraliste e secolarizzare, o semplicemente nelle grandi città una minaccia, e chi vi intravvede una possibilità; chi il rischio del contagio e chi la possibilità dell’incontro. Da una parte o dall’altra della modernità: col fondamentalismo o per la fratellanza. E il Papa si limita a svelare l’alternativa: con sguardo evangelico o senza.