Effetti Musicali. Immersi nell’universo sonoro

Katsushika Hokusai, «La grande onda di Kanagawa» (1830)
Come il vibrare delle onde scandisce e simboleggia il ritmo e i movimenti della quotidianità

Osservatore Romano
Aveva circa settant’anni quando Hokusai creò La grande onda di Kanagawa. Intorno al 1830, dopo la morte della moglie, assediato da problemi economici e di salute, il pittore giapponese inizia a immaginare una serie di xilografie che intitolerà Trentasei vedute del monte Fuji.

La grande onda di Kanagawa è certamente la sua opera più famosa ed è entrata di diritto anche nell’immaginario visivo occidentale. L’immagine rappresenta un’onda imponente che, con tutta la sua potenza e il suo fragore, assedia tre piccole imbarcazioni. Sullo sfondo il monte Fuji, innevato. Nelle imbarcazioni si intravedono, degli uomini impauriti, in balia del mare. Non è difficile riconoscere in quest’opera la potenza del suo significato spirituale: di fronte all’insondabilità della potenza della natura, l’uomo si scopre improvvisamente fragile e bisognoso d’aiuto.

Ognuno di noi ha esperienza di un’onda marina. La vediamo arrivare da lontano, preceduta e seguita da altre onde di forma diversa, e spegnere la sua corsa sulla battigia. Vediamo i bambini divertirsi e lanciarsi contro di esse, lasciandosi travolgere dalla loro energia. Ne riconosciamo il suono, che cambia a seconda dell’impetuosità con cui si avvicina alla costa e di come si infrange su essa. Non c’è onda che sia uguale all’altra. Non c’è onda che abbia lo stesso suono di un’altra.

Se riusciamo con facilità ad immaginare un’onda (ne abbiamo un’esperienza visiva) è ben più difficile immaginare cosa succeda quando ci accorgiamo di un evento sonoro. Sentiamo qualcosa, ma non vediamo nulla. Eppure, qualcosa accade. E accade continuamente perché, di fatto, il silenzio, inteso come assenza totale di eventi sonori, non esiste, se non riprodotto artificialmente dall’uomo. Esiste nella dimensione spirituale, ma non in natura.

L’evento sonoro ha una forma, anche se non si vede. Ed è proprio quella dell’onda. È fatto di vibrazioni, di vibrazioni sonore prodotte da dei materiali “elastici” che, da qualcuno o qualcosa, ad un certo punto, sono messi in movimento. Quando, presi dall’ira, sbattiamo un pugno sul tavolo, non facciamo altro che percuotere un corpo elastico, mettendolo in vibrazione. La vibrazione produce delle onde sonore che si propagano, come quelle del mare o di un sasso gettato in uno stagno, fino a raggiungere il nostro orecchio. Lo stesso accade se pizzichiamo con le dita le corde di una chitarra. Le corde, messe in vibrazione producono onde sonore che vengono amplificate e propagate dalla cassa armonica dello strumento.

Quasi tutti i materiali naturali possono essere messi in vibrazione e produrre eventi sonori: l’aria, la terra, il legno, i metalli, ecc. Il nostro mondo, potessimo vederle, è un immenso groviglio di onde sonore che si propagano, si incontrano, si scontrano, si sommano contribuendo a creare l’universo sonoro in cui siamo immersi. Ma non tutte le onde sono uguali, tutte hanno una forma sinusoidale, ma ognuna diversa dall’altra. Nella forma di quell’onda, un po’ come fosse un Dna, si nascondono tutte le informazioni su un determinato evento sonoro.

Dalla sua forma riusciamo a capire ad esempio se è un suono o un rumore. C’è una bella differenza tra questi due termini. Siamo tentati di definire un suono come un evento gradevole, che quantomeno non ci urta. Quando invece parliamo di rumore l’accezione si fa negativa, ed è spesso connotata come un fastidio. Se il mio vicino usa l’aspirapolvere tutto il giorno lo definirò rumore e non suono, proprio perché quell’evento sonoro mi disturba. Ma non sempre è così. La differenza tra questi due termini non sta tanto nella percezione, positiva o negativa, che posso averne. Un rumore ha una forma d’onda irregolare, tanto che il nostro orecchio non riuscirà a percepirlo in maniera determinata. Un suono, invece, ha una forma d’onda regolare e il mio orecchio potrà percepirlo in maniera determinata. Se mentre cammino per strada sento improvvisamente la sirena di un’ambulanza che si avvicina, non ne avrò una percezione positiva, probabilmente sarò colto da una sorta di turbamento nonostante la sirena non sia altro che una serie di suoni posti uno di seguito all’altro a formare una sorta di melodia, sicuramente ben riconoscibile.

Così, d’altro canto, se mi trovo seduto, dopo una lunga camminata, lungo le rive di un torrente, il rumore dell’acqua che scorre fresca e disordinata scendendo dalla montagna, quasi certamente infonderà in me un moto di serenità e di quiete. Eppure, quello che sto sentendo è un rumore, non un suono. Sempre diverso, sempre in cambiamento. Impossibile riconoscere al suo interno una melodia, un’altezza comprensibile.

Tra le tante informazioni contenute nelle onde sonore ve n’è un’altra che ha un fascino particolare. La forma dell’onda, ci dice anche l’altezza del suono, ovvero quanto un suono è acuto o grave. La voce di una donna che canta, in linea di massima, produrrà un suono più acuto di quella di un maschio, che sarà, quasi certamente, più grave. Riusciamo a capire questa particolare caratteristica del suono in base a quante vibrazioni l’onda contiene nell’arco di un secondo, ovvero attraverso quella che viene chiamata comunemente “frequenza” e viene misurata in Hertz. Grazie a questa misurazione si è scoperto che non tutti i suoni sono udibili all’uomo. Nell’immenso sistema viario delle vibrazioni sonore, ve ne sono alcune che, anche se prodotte, non sono accessibili all’orecchio umano, come ad esempio gli infra-suoni — che hanno una frequenza al di sotto dei 20 Hertz — e gli ultra-suoni, la cui frequenza è superiore ai 20.000 Hertz. Gli infra-suoni possono essere prodotti da fenomeni naturali come i terremoti, il vento, i tuoni, o da alcuni animali, come ad esempio gli elefanti, che li usano per comunicare tra loro. Gli ultra-suoni, invece, possono essere uditi dai pipistrelli o, ad esempio, dai cani. L’uomo, dunque, può udire tantissimi suoni, ma non tutti. E tra i tanti suoni e rumori che si accavallano, non sempre riesce a distinguerli uno per uno e a riconoscerne la provenienza.

Vive un po’ come gli uomini nelle imbarcazioni de La grande onda di Kanagawa. In balia di onde piccole e immense, vulnerabili e invincibili, comprensibili e indecifrabili, si muove sulla sua imbarcazione cercando di comprendere il significato di tutto ciò che sente, dal guaito di un cane in lontananza ad una sinfonia di Brahms. Tutto teso a comprendere quell’armonia sonora che, in fin dei conti, si nasconde dietro il suono più dolce o il rumore più detestabile.

di Cristian Carrara