E Varsavia ordinò: «Arrestate Wojtyla»

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«Sì, eravamo loro e noi. I comunisti cercavano di farsi accettare non solo come autorità politica, ma anche morale, come espressione della nazione polacca. Ma fu la Chiesa a diventare tale espressione, specialmente nella persona del cardinale Wyszynski. I comunisti tentavano di far finta che non esistessimo; ma era impossibile».

È questa – nelle parole di Giovanni Paolo II – una delle piste con cui inerpicarsi nelle 600 e più pagine di George Weigel, avvincenti come un romanzo, istruttive come un testo di teologia della storia. Un libro, La fine e l’inizio. Giovanni Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità (pp. 624, euro 29, in uscita dal 18 giugno da Cantagalli) che completa il voluminoso Testimone della speranza (Mondadori) grazie a inedite ricerche, dialoghi, consultazioni negli archivi di varie polizie segrete (Kgb nell’ex Urss, Stasi nella defunta Germania Est, Sb in Polonia) da parte del teologo statunitense.

Nel lavoro spicca anzitutto la consapevolezza di Mosca che, con l’elezione a papa di un polacco, il mondo oltrecortina è minacciato nelle fondamenta. E se Weigel non indaga molto sull’attentato del 1981 in piazza San Pietro (da registrare la notizia che un agente del Kgb passò con gli Usa nel 1980 dopo «aver sentito parlare di possibili misure contro Giovanni Paolo II»), addebita il tentativo di omicidio papale ad ambienti del Kgb: «Un servizio segreto satellite di Mosca, il Khad afghano, progettò di sconvolgere un momento pubblico di Giovanni Paolo II in Pakistan nel febbraio 1981 facendo scoppiare una bomba durante l’omelia del papa nello stadio di Karachi, a cui assistevano 100.000 fedeli; la bomba esplose in anticipo». Il conflitto aveva origini lontane.

Già nel 1949 l’Sb aveva messo gli occhi addosso a don Karol (nel 1954 egli aveva respinto le avances di una discussione “politica” con la polizia del regime considerandola «noiosa»). Il primo ritratto dell’Sb ne aveva storpiato il nome (Wojdyla: siamo nel 1949): un prete informatore in curia a Cracovia lo considerava «molto stimato e da tenere sotto controllo». In codice era Pedagog e «fu tenuto sotto stretta sorveglianza; nei vent’anni seguenti fu pedinato ovunque e la sua residenza controllata con microfoni».

Nel 1960 don Karol venne dipinto dall’Sb come una «strana combinazione di qualità intellettuali con quelle tipiche di un uomo attivo, pratico e organizzato, un’intelligenza analitico-sintetica, molto attiva». Memorabili due inseguimenti in auto con il fido autista Jòzef Mucha, che riuscì a seminare l’Sb. Weigel conferma – con prove inedite alla mano – una diceria diffusa tra 1973 e ’74, ovvero che l’Sb vagliò l’ipotesi di arrestare il (divenuto) cardinale Wojtyla «con l’accusa di sedizione. Ma Gierek (l’allora primo ministro, ndr) non osò fare ciò che il suo predecessore aveva fatto a Stefan Wyszynski», il primate cattolico. Anzi: gli agenti di Varsavia non riuscirono – nonostante le microspie in arcivescovado – a scoprire che il cardinale avesse ordinato preti clandestini per la martoriata Cecoslovacchia.

Semmai provarono, con l’«Operazione Triangolo» (1983), a costruire un falso diario di un’altrettanto fasulla amante (Irina Kinaszewska) per ricattare il pontefice. Ma l’inganno fu svelato ben presto. Uno dei fil rouge di Weigel è l’analisi della dialettica interna alla Curia vaticana, sotto Wojtyla, tra l’Ostpolitik inaugurata da Giovanni XXIII e avente il cardinale Agostino Casaroli come sua punta “sul campo”, e l’opposizione al comunismo di Giovanni Paolo II.

Emblematico il resoconto – inedito – di un faccia a faccia tra Casaroli e il presidente americano Ronald Reagan il 15 dicembre 1981 a Washington. «Durante i 90 minuti di conversazione Casaroli parlò di Realpolitik. Il segretario di Stato vaticano assunse una posizione misurata e diplomatica sulla legge marziale in Polonia. Non è facile capire come il punto di vista di Casaroli potesse veramente riflettere quello del papa nel momento in cui affermò che Giovanni Paolo II condivideva la sua stessa convinzione secondo cui i tempi [nell’Europa dell’Est, ndr] non erano maturi per un serio cambiamento a causa dell’apatia dei giovani “insensibili” a Dio; questo giudizio non era in linea con l’esperienza trentennale di pastore di Karol Wojtyla ed era stato di recente contraddetto dal viaggio del giugno 1979, di cui Casaroli era stato testimone, ma che sembrava non aver compreso del tutto».

Commentando le nomine che Giovanni Paolo II nel 1979 fece di Casaroli come Segretario di Stato e Achille Silvestrini ai «rapporti con gli Stati», Weigel ammette che tali scelte «sconcertarono» i servizi segreti dell’Est. Ed annota: «Queste nomine mostravano come il papa intendesse seguire una duplice via nello scontro tra cattolicesimo e comunismo. La vecchia diplomazia dell’Ostpolitik sarebbe continuata; nel frattempo Giovanni Paolo II avrebbe continuato la sua personale campagna a favore dei diritti umani e della libertà religiosa, appellandosi alle coscienze e alle culture».

L’anticomunismo di Wojtyla non è sinonimo, per l’autore, del conclamato – si pensi al libro di Carl Bernstein e Marco Politi Sua Santità – patto tra il presidente Reagan e il papa da Cracovia: «Una tale “alleanza” in realtà non ci fu mai», sentenzia Weigel, non sospettabile di simpatie “a sinistra”. Fu lo stesso Wojtyla a smentire qualsivoglia patto Usa-Vaticano in chiave anti-comunista. Il teologo di Baltimora narra un aneddoto gustoso su Wojtyla e la sua sapiente fedeltà a Wyszynski, bestia nera del regime di Varsavia, verso il quale il Partito assunse una strategia di divide et impera: «Il regime acconsentì alla nomina [a cardinale di Wojtyla, ndr, 1967] per continuare nell’opera di dividere la Chiesa; la presenza di due cardinali poteva portare a due fazioni nella gerarchia ecclesiastica, creando così una spaccatura di cui il regime avrebbe approfittato».

A questa tendenza Wojtyla mai dette spago. Tanto da sbatter la porta in faccia a un certo generale (e presidente) Charles De Gaulle, il quale – nel 1967 – «fece una visita di Stato in Polonia e, pressato dalle autorità comuniste, decise di non incontrare il primate Wyszynski. A Cracovia, volendo visitare la cattedrale, si ritrovò come guida il sacrista, che lo informò che il cardinal Wojtyla aveva altri impegni». Commenta Weigel: «Un chiaro segno della fedeltà di Wojtyla e della sua decisione di non essere strumentalizzato contro il primate, nemmeno dal Grande Charles». Un legame indissolubile tra il primate e il futuro pontefice, che Weigel rende plastico dopo l’elezione pontificia: «Giovanni Paolo II aveva cambiato l’ordine consueto nella fila dei cardinali che gli rendevano omaggio per mettere al primo posto il vecchio nemico del comunismo, Stefan Wyszynski, e poi abbracciarlo dopo essere sceso dai gradini del soglio pontificio».
Lorenzo Fazzini – avvenire.it