Dopo il Sinodo. La reciprocità uomo-donna nella Chiesa che serve i giovani

La reciprocità uomo-donna nella Chiesa che serve i giovani

Avvenire

«Madri sinodali»: nel linguaggio ecclesiastico l’espressione non ha ancora diritto di cittadinanza. Sdoganandola, tuttavia, i giovani presenti al Sinodo hanno risvegliato sulla reciprocità maschile-femminile un’Assemblea di vescovi che si sarebbe probabilmente interrogata con meno coraggio. Durante una serata di festa e di ringraziamenti, rivolgendosi così alle ‘uditrici’, i giovani han dato nome alla maternità riconosciuta e apprezzata nelle quattro settimane di discernimento. Il loro saluto ha fatto sorridere tutti, dissolvendo nell’ironia una tensione rimasta a lungo nell’aria: dalle manifestazioni a inizio Sinodo che chiedevano per le uditrici il diritto al voto, ad alcuni interventi accalorati durante le sessioni, sino alle votazioni del documento finale, con un 15% di non placet negli articoli ‘donne nella Chiesa’ e ‘reciprocità tra uomini e donne’. Temi caldi e non risolti: la semplicità e la franchezza dei giovani nel rapportarsi anche ai vescovi han portato in primo piano la resistenza di certi tabù. Più di ogni altra generazione han notato, in fase preparatoria, la scarsa considerazione della voce femminile nelle Chiese di origine e in maniera più clamorosa, giunti in Vaticano, una ritrosia a rapporti di vera reciprocità.

Eppure, in un mondo in cui le disparità tra uomini e donne sono ancora pesanti, dove manca il rispetto e il grado di libertà delle une è spesso inferiore a quello degli altri, la comunità nata dal Vangelo potrebbe esser testimonianza di un ordine diverso nei rapporti, nei vissuti, nelle procedure. La questione non è superficialmente di ‘pari opportunità’, perché non nasce dalla rivendicazione di spazi, ma da una ricchezza smarrita, quella di una Chiesacomunità che attrae anche perché laboratorio di un’umanità dinamica e accogliente. Investe la natura gerarchica e comunionale della Chiesa: quello dell’Ordine, riservato agli uomini, è il solo sacramento a garantire un’assistenza dello Spirito santo in fase di ascolto, di confronto e di decisioni? O non è piuttosto il Battesimo a compaginare un Corpo con diverse membra, la cui possibilità di movimento sorge solo dalla loro cooperazione e armonia? Quale posto per un ‘Sinodo’ di soli vescovi, quindi, nell’avanzare di tutto il Corpo? Alcune diocesi e l’Oriente cristiano hanno un’esperienza di sinodalità più articolata e polifonica. È immaginabile – sembrano chiedere i giovani – attorno al successore di Pietro?

La Chiesa ha un volto feriale che non pochi di loro conoscono e cui devono la propria fede. Federica, universitaria milanese, ripensa la storia di comunità in cui è cresciuta: ancora alle soglie della sua adolescenza le proposte educative era- no distinte per genere. Il venir meno della presenza di religiose cancellò repentinamente l’esistenza di un oratorio femminile, con la transizione di tutti in un unico spazio, senza troppa riflessione pedagogica su opportunità e limiti del cambiamento. Oggi Federica studia Educazione professionale e racconta di come soprattutto in strutture religiose la questione le si sia fatta più chiara. «Al fianco di Lucia ho vissuto il tirocinio in una comunità minori salesiana di soli adolescenti maschi. Neoassunta, lei era la prima educatrice su dieci educatori. Più che in specifiche attività, il cambiamento era di stile: Lucia era figura nuova e molto presente, con un modo di comunicare, anche non verbale, più delicato e capace di suscitare un corrispondere attento da parte di ragazzi abituati a esser piuttosto grezzi e diretti. Verso noi due si rivolgevano tuttavia anche sguardi e provocazioni tipici di maschi inquieti rispetto alla sessualità. Anche nell’equipe educativa la differenza femminile era fortemente avvertita, sia perché funzionava come una rottura dell’abituale solidarietà tra maschi, sia perché il suo contributo apriva effettivamente ad un diverso tipo di attenzione e di rapporto coi ragazzi, che si intendeva valorizzare ». Una Chiesa sul campo sa oggi molto bene che gruppi di adulti mono-genere faticherebbero a corrispondere in modo ricco alla propria missione. Specialmente addentrandosi nelle periferie urbane ed esistenziali, la collaborazione tra uomini e donne rivela tutta la sua fecondità. Si pensi al ruolo delle suore in tante situazioni estreme o nei territori di missione. Marco, responsabile di un Centro di ascolto Caritas, ricorda ad esempio come l’attenzione di una giovane volontaria, l’autunno scorso, abbia captato l’esigenza taciuta di due ragazze mussulmane: il tema del velo islamico indossato a scuola stava diventando drammatico e chiedeva una rielaborazione rinvenibile solo nella confidenza femminile fuori dalla famiglia.

Se in Genesi l’immagine di Dio è ‘maschio e femmina’, solo insieme maschio e femmina saranno suo riflesso e non esclusivamente nel matrimonio. Il Sinodo ci invita a riflettere su quanto la loro reciprocità possa essere feconda in ogni ambito: «La relazione tra uomo e donna è compresa nei termini di una vocazione a vivere insieme nella reciprocità e nel dialogo, nella comunione e nella fecondità in tutti gli ambiti dell’esperienza umana: vita di coppia, lavoro, educazione e altri ancora. Alla loro alleanza Dio ha affidato la terra» (13). L’ultima affermazione è da brivido: la terra non è affidata alla cura degli uomini, intesi come esseri umani, ma all’alleanza uomo-donna. Come cambierebbero le nostre relazioni, le distribuzioni di compiti e ruoli, anche all’interno della Chiesa, se prendessimo sul serio questa affermazione? E perché raramente riusciamo a farlo? Nel governo delle Chiese locali e di quella universale si stenta a riconoscere un investimento sulla presenza femminile che dia forma a quell’alleanza originaria che rinvia al mistero divino stesso. Così rimane offuscata la particolarità del Regno di Dio rispetto a tutte le consuetudini umane, che vedono ancora deturpata da stereotipi e sopraffazione l’alleanza originaria.

Nei vangeli il gruppo di Gesù è senza precedenti specialmente per la comunione di donne e uomini, destinatari della stessa Parola e di un’unica salvezza. I giovani che osservano oggi la Chiesa istituzionale stentano a ritrovare la medesima polifonia di vocazioni e di esperienze. «Testimoniare Gesù completamente vuol dire anche tener conto di tutte queste donne. Purtroppo non lo facciamo abbastanza. E non lo facciamo in quest’aula»: così Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo, durante i lavori sinodali, con riferimento alle figure femminili del vangelo. Ancor più audace il cardinale Reinhard Marx, a nome dei vescovi tedeschi: «Non basta ripetere i testi magisteriali pertinenti. Dobbiamo affrontare le richieste dei giovani, spesso scomode e impazienti, di uguaglianza delle donne anche nella Chiesa. Non possiamo più tenerci semplicemente fuori dai discorsi del presente e dobbiamo imparare di nuovo una cultura del confronto, per inserirci argomentando e offrendo orientamenti nei dibattiti sociali su questioni importanti dell’umanità come la sessualità, il ruolo delle donne e degli uomini e il modo in cui si modellano i rapporti umani. E, per amore di credibilità, dobbiamo coinvolgere ancora di più le donne nei compiti di leadership a tutti i livelli della Chiesa, dalla parrocchia alla diocesi alla conferenza episcopale e anche al Vaticano stesso. Dobbiamo volerlo davvero e anche metterlo in pratica! L’impressione che quando si tratta di potere la Chiesa in fondo sia una Chiesa degli uomini va superata nella Chiesa universale, e anche qui in Vaticano. Altrimenti le giovani donne da noi non troveranno una vera possibilità di realizzazione. È davvero ora!».

La pastorale giovanile in molti luoghi d’Italia è un vero e proprio incubatore di reciprocità. Stanno prendendo forma coordinamenti territoriali in cui consacrate e consacrati, laiche e laici, sacerdoti, giovani e famiglie condividono la missione. Ne vengono luoghi di discernimento in cui donne e uomini, liberi dall’ossessione del potere ‘occupare spazi’ -, si interrogano su come ‘avviare processi’ generativi di trasmissione della fede. Si profila così, a servizio dei giovani, una Chiesa che, nell’arco di pochi decenni, sembra stia passando dalla netta separazione dei generi a una valorizzazione consapevole della loro reciprocità. Il Sinodo dei vescovi non ha potuto non cogliere in questo dato una domanda. E una profezia.