Don Agostino Roscelli, testimone della misericordia

Ricordare la vita di un santo può essere un modo per fissare lo sguardo interiore sul «volto della misericordia», ammirandone un sembiante nuovo, anche se fosse notissimo. In particolare don Agostino Roscelli (1818/1902), di cui oggi si celebra la memoria liturgica, non si impone come autore di un sistema pedagogico o di ascesi o di dottrina ma si colloca come uomo d’azione, alla ricerca inesausta dell’umanità sofferente, delle «pecore senza pastore» protagoniste nel Vangelo.

La Chiesa ha definito la misericordia tratto distintivo della sua santità, per la cura appassionata che dedicò ai meno fortunati. Giunto adolescente dall’entroterra chiavarese a Genova per diventare sacerdote, vi trascorse per tutta la lunga esistenza, soggiornando e operando in zone della città al tempo piuttosto decentrate, dove si andavano sviluppando attività produttive e commerciali.

Fu curato nella parrocchia di San Martino d’Albaro, e confessore nella parrocchia di Nostra Signora della Consolazione in una zona urbana di transito verso il centro cittadino. Negli stessi anni strinse amicizia con don Francesco Montebruno, diventando suo collaboratore nell’opera degli Artigianelli, occupandosi della gestione economica, della formazione catechistica degli ospitati e delle funzioni religiose. Allo stesso tempo era cappellano al Conservatorio delle Bernardine, dove le convittrici vivevano comunitariamente, svolgevano attività di ospitalità e facevano funzionare una scuola elementare popolare per ragazze a spese del Comune.

Dal 1874 esercitò la cappellania per l’amministrazione dei Battesimi presso il nuovo Ospizio provinciale dell’Infanzia abbandonata, inaugurato quell’anno a sostituire il sistema della “ruota”, funzionante all’ospedale di Pammatone.

Don Roscelli era costantemente a contatto con situazioni di disagio specie femminile, dedicandovi attenzione anche attraverso il confessionale. Così nel 1864 e nel 1868 coadiuvato da alcune associate alle Figlie di Maria, assidue alla sua direzione spirituale, diede inizio a due scuole laboratorio a vantaggio delle giovani in cerca di un’occupazione, avviandole alla professione di sarte.

L’opera si ispirava all’iniziativa promossa da don Giuseppe Frassinettiper la Pia Unione a nome di sant’Orsola e sant’Angela Merici, che in Piemonte interessò anche santa Maria Mazzarello. Nell’evoluzione delle scuole laboratorio fu determinante il ruolo delle educatrici, ossia la loro aspirazione a risolvere quell’attività di beneficenza in un’opera religiosa, che nel 1876 assunse la forma dell’Istituto delle Suore dell’Immacolata, tuttora impegnato nel settore dell’educazione.

Alla base di tale azione orientata alla promozione umana e cristiana del ceto meno abbiente stavano profonde motivazioni religiose, che don Roscelli lasciava trapelare nelle catechesi e nelle omelie, tenute presso le istituzioni in cui fu attivo.

Un esempio significativo è la spiegazione del racconto matteano del lebbroso guarito, in cui commenta la risposta data da Gesù al lebbroso: «Lo voglio, sii purificato», per istruire i fedeli sulla «verità indubitata di fede» che Dio vuole veramente salvare l’umanità. Nel narrare il fatto evangelico descrive con accento poetico il gesto di Gesù che «stende pietosa la mano» perché «tocco nel più vivo del cuore» dalla compassione per l’umile e fiducioso lebbroso, e così la sua riflessione sul mistero della salvezza inizia dal punto di vista della pietà di Dio nei confronti dell’uomo, cui spetta aderire a questa azione con la volontà di compiere opere buone, come Roscelli insegna nella sezione parenetica che conclude l’istruzione.

Egli medita la guarigione del lebbroso alla luce della lotta di Gesù nell’Orto, seguendo l’esegesi che pone qui l’abbraccio tra la misericordia e la giustizia e vi trova il nesso per intendere la «vera volontà di salvarci» di Dio, ossia come «superamento della giustizia nella direzione della misericordia ». Tratto caratteristico della catechesi del Roscelli è il costante confronto con i testi di illustri predicatori, come in questo caso l’omelia sesta del Quaresimale del teatino Gioacchino Ventura da Raulica.