Domenica 3 Dicembre 2017 I Avvento (Anno B) commento di don Fabrizio Crotti

Non possiamo fare a meno di una premessa teologico letteraria riguardante l’escatologia e l’apocalittica: il discorso del c. 13 si inserisce in questo filone teologico letterario. Il significato più ovvio di “escatologia” è quello di discorso sulle ultime e definitive realtà . Certo si tratta di realtà che vanno oltre la storia, ma ciò non significa che esse non si preparino nella storia. In effetti la teologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla. Lo sguardo al futuro(cioè la rivelazione di ciò che sarà) rende importante il presente e offre un criterio di scelta e di valutazione. L’attenzione è rivolta al presente: il futuro offre un criterio di orientamento nel presente, ma è in questo presente che il futuro si gioca. Tale è la posizione, ad esempio, difronte a Gesù:Egli è il Figlio dell’uomo che tornerà, ma ciò che è decisivo è l’atteggiamento che assumiamo oggi difronte al suo annuncio. Il punto più originale del messaggio biblico in genere, e di quello profetico in particolare,è il concetto che la storia cammina verso un termine ultimo e questo contrariamente al concetto ciclico della storia del mondo greco ad es.

Possiamo così riassumere la convinzione di Israele sulla storia: Dio,e non solo l’uomo,é il protagonista della storia; essa è condotta verso una salvezza definitiva; la storia è percorsa da un giudizio(non ogni scelta conduce alla salvezza, ma solo quelle che avvengono in obbedienza al disegna di Dio).

Quanto detto corrisponde sostanzialmente alla visione escatologica dei profeti: visone insieme grandiosa e sobria: nessun tentativo di penetrare i segreti di Dio e nessun cedimento alle curiosità “del quando e del come”.

Tale sobrietà sembra venir meno  nel tardo post-esilio,quando si sviluppa una vasta letteratura chiamata “apocalittica”. Sono tempi difficili, di persecuzione e la fedeltà dei buoni sembra inutile.E’ necessaria una consolazione che viene trovata nella fiducia incrollabile che alla “fine dei tempi” (e questi sono ormai “prossimi”) per l’intervento di Dio, il giudizio sarà fatto e le situazioni saranno rovesciate.

Il linguaggio di questa letteratura è tipico: descrive gli ultimi tempi come tempi di guerre e divisioni, di terremoti e carestie, di catastrofi cosmiche, e tutto questo nel segno di una grande subitaneità (come improvvisi sono i dolori del parto in una donna). Tale linguaggio è ampiamente presente nel discorso di Mc: non è il messaggio, ma semplicemente il mezzo espressivo che tenta di comunicarcelo. In nessun modo devono essere intese alla lettera.

Ma ci sono anche altre tendenze che lasciano perplessi:l’azione di Dio è talmente sottolineata che la parte dell’uomo sembra venir meno, è la sfiducia in “questa storia” è tale che sembra tutto rimandato al futuro come se la nostra storia terrena non fosse il luogo in cui il futuro faticosamente si prepara. Tali tendenze decisamente ambigue sono completamente assenti nel discorso di Mc che sembra prenderne consapevolmente le distanze:tutto il discorso trova infatti la sua conclusione nel richiamo alla “vigilanza” che è un richiamo all’impegno nella storia. 

Iniziamo un nuovo anno liturgico con il tempo di “avvento”. L’avvento non è un tempo di penitenza tout cour;  non è la “quaresima” del Natale! E’ tuttavia tempo di preparazione, e come tale anche di penitenza, in “attesa” della venuta del Signore.

Attesa della venuta escatologica-finale che invochiamo in ogni celebrazione eucaristica (nell’attesa della tua venuta), ma anche attesa della attualizzazione della prima venuta di Gesù sulla terra.

Per tale motivo la liturgia della prima domenica di avvento è centrata sull’invito alla “attesa” anche se differenziata in tre differenti attese: il forte desiderio”se tu squarciassi i cieli e scendessi!”(v.19 I°lettura) per togliere il peccato e ridonare prospettive;

la normalità di sttendere “la venuta del Signore”(v.7 2°lettura)in una comunità ricca di doni operanti;

l’esortazione ad una comunità che rischia di addormentarsi:”vegliate perchè non sapete quando il padrone ritornerà”(v.35 vangelo).

L’elemento comune ai tre testi è dunque il futuro. Ma l’attesa è articolata in situazioni diverse.

Nella lettura isaiana l’attesa è causata dal fatto che , a motivo del peccato, ora Dio è lontano. L’attesa si esprime in toccanti invocazioni tra cui figura la domanda di avere da Lui la conversione. “noi siamo lontani…ritorna per amore dei tuoi servi”…

Nel testo paolino l’attesa è inserita in un contesto positivo, lo sviluppo carismatico della comunità. Questo contesto per essere veramente sano ha però bisogno di essere relativizzato da ciò che non può essere atteso:la manifestazione che supera certamente ciò che si dà per via di conoscenza e di parola.

Il testo evangelico imposta l’attesa sul dato della non conoscenza del momento in cui il Signore viene e quindi insiste sul pericolo che non vengano mantenuti con responsabilità quegli atteggiamenti che si erano  assunti all’inizio del cammino di fede.

Il brano si apre e si chiude con il medesimo invito:vigilate. Due sono gli insegnamenti: il primo sul “perché” della vigilanza (non sapete quando sarà il momento) e il secondo sullo “stile” della vigilanza.

Gesù non rivela il giorno non per tenere il cristiano in uno stato continuo di tensione e paura; al contrario non rivela l’ora perché tutte le ore sono buone per aprirsi al vangelo e impegnarvi l’esistenza. Gesù desidera dar vita ad una comunità che non sia ossessionata dal desiderio di conoscere le scadenze ma che sia preoccupata di discernere i tempi e i momenti di Dio e sia profondamente impegnata in ogni momento nell’ascolto e nella obbedienza.

Nel secondo insegnamento, è possibile vedere nella “casa” la comunità cristiana alla edificazione della quale tutti sono impegnati. La vigilanza si caratterizza allora come “vigilanza sulla casa” della quale, attendendo il Signore, ogni cristiano deve avere cura.

di don Fabrizio Crotti