Disabili più inclusione, via i pregiudizi verso la disabilità

Avvenire

«In questi 28 anni la Chiesa ha avuto un’attenzione particolare alla catechesi delle persone con disabilità e ogni parrocchia si è aperta per mettere in atto dei processi inclusivi. Si sono così avviati nuovi cammini in ogni diocesi. Camminando verso una maggiore e reale inclusione, abbiamo avvertito l’esigenza di ampliare questo sguardo pastorale inclusivo in ogni aspetto di vita della persona disabile. Per questo la Cei ha deciso di avviare un nuovo servizio che rispondesse a tale necessità».

Suor Veronica Amata Donatello (francescana alcantarina) è stata nominata responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità nel corso dell’ultimo Consiglio permanente della Cei di fine settembre.

Quali esperienze mette a frutto nel suo nuovo incarico? Ho vissuto sempre accanto alle persone con disabilità sia a livello familiare che lavorativo, in quanto sono Interprete di Lingua dei Segni. Ho conseguito gli studi in ambito teologico e pedagogico-catechetico e questo mi ha fatto crescere professionalmente, umanamente e nella convinzione che l’inclusione sia possibile e occorre impegnarsi tutti (comunità, persone con disabilità, famiglie, realtà associative, etc). Non in modo assistenzialista ma nell’ottica dei diritti alla persona.

Perché la Cei ha avviato questo Servizio? La Cei ha sentito l’urgenza di alimentare e coordinare le ‘disabilità’ in ogni ambito della vita. Occorre allargare questa sensibilità in tutto l’arco della vita, coordinare vari processi, attraverso progetti rivolti alla vita di fede della persona con disabilità, all’accessibilità e alla leggibilità attraverso strumenti e sinergie con le realtà locali, con le Congregazioni, Associazioni, movimenti e Atenei. Quindi il nuovo Servizio intende operare nella continuità di quanto fatto finora, mettendo a frutto esperienze e diffondendo le buone pratiche in atto. Ma anche in discontinuità: allargando il discorso ad altri ambiti della vita, dai centri diurni al ‘dopo di noi’, dalle persone giovani a quelle adulte, agli anziani.

Come è cambiata l’attenzione alle persone con disabilità da parte della Chiesa? In questi anni si è avviato un processo inclusivo di sensibilizzazione con le comunità lavorando sul pregiudizio cognitivo, religioso e comunitario, passando dalla sola presenza alla partecipazione attiva in quanto soggetti. In modo specifico sostenendo la pastorale battesimale, l’iniziazione cristiana e in parte la realtà giovanile. Oggi abbiamo catechisti con disabilità intellettive, sindrome dello spettro autistico e del neurosviluppo in varie comunità. Vi è una maggiore attenzione a una pastorale integrata e a una formazione catechetico-pastorale. Tutto questo si è realizzato con una équipe di esperti del settore da me accompagnata.

Su quali aspetti occorre lavorare? Rimane ancora da approfondire la formazione del clero e dei seminaristi, degli operatori pastorali attraverso il contributo delle Università pontificie nell’ambito antropologico, pedagogico e spirituale. Approfondire la tematica per quanto riguarda la qualità di vita, di fede dell’età adulta e anziana anche nei contesti residenziali. Continuare a lavorare sui plurimi linguaggi e tutto ciò che riguarda l’accessibilità: per le Scritture, per sussidi e per gli ambienti. Utilizzare le nuove tecnologie a sostegno dell’inclusione per ‘fare rete’ e rendere le persone disabili soggetti attivi nell’ordinarietà delle comunità.

Come si inserisce il lavoro di inclusione nel rapporto con la società? Il nostro lavoro cerca di far emergere la cultura dell’inclusione pastorale che è già presente in alcune diocesi e di supportare chi sta iniziando questo processo trasformativo. «Quando la Chiesa evangelizza, sta contaminando la cultura». Come disse papa Francesco nel 2016 al 25° del Settore per la catechesi: o Tutti o Nessuno!