Dio tra le righe. L’impossibilità della condanna

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Spesso i credenti hanno una cattiva coscienza verso chi non crede. Glielo imputano come una colpa, come se non credere fosse una scelta etica sbagliata, e non invece la risposta libera a una proposta che liberamente arriva da Dio. Non tutti hanno il dono della fede, e questo resta un mistero. Di certo, chi ha ricevuto questo dono non può farlo proprio come se discendesse dalle sue capacità. Papa Francesco, nella sua prima intervista, data a La Civiltà Cattolica, quando gli venne chiesto chi si sentiva di essere, rispose: «Un peccatore a cui Dio ha guardato».

Pär Lagerkvist, premio Nobel per la letteratura, ci ha restituito in Barabba (Bur) un esempio mirabile di riscrittura evangelica. Sapendo cogliere in vari aspetti la novità evangelica. Ad esempio, quando Barabba compare davanti ad un gruppo di seguaci di Gesù, e la loro reazione fu di «occhi roventi e minacciosi nella semioscurità», ecco sopraggiungere le parole di grazia di un vecchio credente: «È un infelice, noi non abbiamo il diritto di condannarlo. Anche noi siamo pieni di colpe ed errori e non è merito nostro se il Signore ha avuto misericordia di noi. Noi non abbiamo alcun diritto di condannare un uomo perché non ha un dio».

Stiamo ben lontani dal giudicare «chi non ha un dio», perché le ragioni di ciò le conosce solo Lui.

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