Dieci punti per rinnovare la pastorale

Partire dalla vita: lì si incontra Dio!

Per cambiare, bisogna partire da una nuova prospettiva: la vita! La vita, non guardandola dal versante dei sacramenti, ma dando attenzione alle tappe dell’esistenza: nascita, infanzia, adolescenza, giovinezza, formazione della famiglia, il lavoro, la malattia, la vecchiaia, le tragedie, la morte… Tutta la pastorale agisce nell’affiancamento agli uomini, tutti, nei loro momenti cruciali.

Non partire da Dio, ma dalla vita: su quella strada si incontra Dio.

Basta con la prospettiva autoreferenziale

Tutta l’azione dell’attuale pastorale della Chiesa oggi è incentrata soprattutto sulla propria sopravvivenza e non sulla missione evangelica dell’essere sale. È questo il tallone d’Achille e il dramma del cristianesimo. Il clericalismo si annida in questa opzione. Se vogliamo uscirne, dobbiamo modificare la prospettiva.

Il cuore del rinnovamento è nel primato dell’amore e della comunità

Il cuore del rinnovamento passa allora attraverso la scelta della comunità cristiana (la parrocchia), una famiglia di persone che cercano di vivere il comandamento dell’amore consegnatoci da Gesù. Prima ci si ama e poi si fa la dottrina. Adesso si fa il contrario, o meglio si fa quasi sempre e solo la seconda parte. Una comunità che non può essere l’Unità Pastorale di oggi (una vera bestemmia), che deve avere la sua logica anche numerica: dagli 800/1.000 ai 3.000 abitanti. Ci sono molte riflessioni da fare collegandoci a questa premessa: primato dell’amore, trovare il giusto posto alla fede, il ruolo dei credenti all’interno dei paesi e dei quartieri (come diceva santa Teresina: “saranno il cuore”), finirla con la diatriba minoranza/maggioranza (argomento che ritengo antievangelico), ridare più importanza ai luoghi di comunione (centri comunitari, visita alle famiglie, più spazio alle scadenze della gente e meno a quelle ecclesiastiche…) che non ai luoghi di culto o di riunioni (casa della dottrina e Chiesa). Una comunità che non ha alcuna fretta (per fortuna è finita l’epoca dell’equiparazione regno di Dio = Chiesa cattolica) e che è consapevole che i frutti arriveranno solo se ci sono relazioni di amore.

Una pastorale di vita e non di riunioni

Una pastorale di vita quotidiana. Attenzione massima alle relazioni e non alle prediche e alle conferenze. Bisogna ridurre almeno dell’80% le riunioni che sono diventate una vera overdose di cose inutili, fonte di stress e di crisi tra i preti più giovani. I ragazzi e i giovani li aiuti a stare insieme nei centri comunitari (ruolo unico e insostituibile in un momento storico di smarrimento per far crescere l’integrazione e l’accoglienza) e non nel catechismo come è offerto oggi (un vero fallimento). La visita alle famiglie. Sotto alcuni aspetti è ritrovare alcuni schemi che vediamo nei cinema: don Camillo di Guareschi e don Matteo della serie televisiva.

La domenica: il cuore della settimana con un’unica celebrazione

La domenica. La stessa comunità che ha cercato di vivere al suo interno relazioni di amore celebra in un’unica celebrazione nel giorno del Signore. Un appuntamento che è preceduto da tutti i momenti formativi che attualmente sono collocati nella settimana. Per esempio: “desiderate battezzare il vostro bambino? Vengo a farvi visita a casa e poi venite alla celebrazione eucaristica della domenica, per due/tre volte almeno, prima della santa messa sarete introdotti al sacramento e poi verrete all’eucaristia. Dopo arriva anche la celebrazione del sacramento. Questo vale per la prima comunione, per la cresima e per tutti gli altri momenti della vita.

Ogni comunità parrocchiale deve avere una guida

Fondamentale è avere un pastore (o una coppia) per ogni comunità di credenti. Una guida presente, in canonica (se non h 24, almeno dal mattino alla sera), che tiri le fila della vita comunitaria, che sia capace di relazione, accettata dalla comunità, che possa presiedere la celebrazione domenicale (se non è sacerdote, ci possono essere altre modalità per esercitare la sua presidenza, come in terra di missione), che possa essere retribuita, con un contratto a termine. Un diacono permanente, una religiosa, un laico scelto dalla comunità (con la sua famiglia)… Ogni comunità è chiamata a proporre i suoi candidati capaci di rivestire un simile ruolo; saranno alla fine il presbitero e il vescovo a scegliere tra i candidati proposti.

Ruolo dei presbiteri

Un nuovo ruolo per i presbiteri. In questa prospettiva è necessario riprendere in mano il tema antico delle Pievi. Le Unità Pastorali attuali possono benissimo essere utilizzate come scelta territoriale e prevedere la presenza del presbitero con un ruolo ben chiaro. Deve avere una comunità di riferimento, quella dove vive. Deve essere centro di comunione e sinodalità tra le piccole comunità e tra le guide al loro interno. Deve curare la delicata gestione economica e assicurare lo stipendio alle guide di comunità attraverso il coinvolgimento dei fedeli e anche della società civile. In breve, il prete potrà agire da piccolo-vescovo.

Il coinvolgimento della società civile

La relazione con la società civile è fondamentale, sia perché viene riconosciuto il ruolo della comunità dei credenti al centro del territorio, sia perché deve essere coinvolta per una gestione economica che possa essere all’altezza. Per poter affrontare un tale progetto è necessario un importante impegno per mantenere sia le guide che gli operatori all’interno dei centri comunitari. Questa è una sfida delicatissima, ma necessaria per uscire dalle ambiguità di questi decenni su questo versante.

La sperimentazione

È assolutamente necessario che all’interno del territorio diocesano ci siano delle zone pastorali dove un simile impianto venga sperimentato, grazie soprattutto al coraggio di alcuni preti che hanno a cuore il futuro della Chiesa. Un esperimento che possa essere monitorato e seguito dal vescovo e dagli organi diocesani.

Un percorso possibile, con le normative attuali

Tutto questo è possibile all’interno delle attuali normative canoniche. Non è necessario un nuovo concilio per prendere in mano un tema così divisivo come quello del celibato permanente.