Delitto mediatico. La scure delle tariffe postali, a rischio decine di testate.

Delitto mediatico. La scure delle tariffe postali, a rischio decine di testate. UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA E DI EQUITÀ.  C’È IN GIOCO LA VERA LIBERTÀ DI STAMPA

FRANCESCO OGNIBENE  – avvenire 18 luglio 2010


 C’
è un modo semplice e devastante per mettere il bavaglio – vero e letale – alla stampa libera in Italia. È un sistema che non sta su­scitando dibattiti nelle aule parlamentari e nelle piazze, né può essere contrastato a colpi di post–it. Arriva dritto alle radici e zac, taglia l’albe­ro fino a renderlo instabile, pericolante e a farlo cadere. Non è un’ipote­si, è già realtà. Lo è da quasi quattro mesi. Da quando cioè si è deciso di sopprimere, con un tratto di penna, le tariffe postali agevolate per l’edi­toria, facendo male a un settore già in seria difficoltà, ferendo testate im­portanti (anche la nostra, non lo nascondiamo di certo) e soprattutto i­potecando drammaticamente il futuro di quasi 200 testate locali che so­no voce indipendente e talora scomoda delle diocesi italiane, da Bolza­no a Noto: le loro copie – come quelle di decine di altre pubblicazioni minacciate dallo stesso, sciagurato decreto interministeriale del 1° apri­le – viaggiano perlopiù in abbonamento. Lo fanno in molti casi da oltre un secolo, coprendo quasi tutta Italia con un reticolo d’informazione ‘del territorio’ che parla ogni settimana a 5 milioni di lettori. E dunque chi è intervenuto non poteva ignorare l’effetto perverso che quell’azio­ne superficiale e rozza avrebbe sortito su un bene sensibile, un diritto pri­mario garantito dalla Costituzione, un’area di libertà e pluralismo au­tentico, vitale, che la Chiesa che è in Italia da sempre coltiva con spirito profetico, passione per il bene di tutti, coraggio esemplare.
  Perché, allora, colpire questo punto così sensibile della nostra democra­zia con la precisione di chi prende la mira? Una risposta ancora non l’ab­biamo trovata, e ci stiamo convincendo che neppure esista. Una rispo­sta ragionevole, intendiamo. Perché aumentare fino a oltre il doppio l’e­sborso necessario per esercitare il basilare diritto-dovere di diffondere ogni settimana informazione in ogni angolo del Paese significa perseguire uno scopo tanto preciso quanto irragionevole: lo strangolamento lento, inesorabile, di voci serie e libere. Molte di queste presenze storiche, au­tonome, radicalmente alternative per valori, parole, idee dovranno in­fatti arrendersi ai costi eccessivi, e dopo aver ridimensionato tutto quel­lo che è ridimensionabile saranno costrette ad alzare bandiera bianca. Non è forse questo il vero bavaglio imposto alla stampa italiana?
  Non stiamo parlando di astrazioni, né gridiamo vanamente al lupo: qui si contano già le vittime, e nessuno pare curarsene. Dove siete colleghi giornalisti della grande stampa? Dove siete signori parlamentari di mag­gioranza e di opposizione? Dove siete signori del governo? Il colpo di ma­glio delle nuove tariffe postali – già pesantemente operative, lo ripetia­mo, da quasi quattro mesi – è calato come una mannaia su piani edito­riali e progetti, quasi sempre allestiti sulle fondamenta di campagne ab­bonamenti appena concluse in base a costi noti e consolidati. Su conti che non tornano è impossibile costruire: non resta che contrarre ogni pos­sibile spesa sperando che la struttura non ceda. Ma a volte non basta nem­meno ridurre la frequenza e il numero delle uscite, sospendere le pub­blicazioni per l’estate, rinunciare a un quarto o alla metà della foliazio­ne, fare a meno delle pagine a colori, domandare a redattori e collabo­ratori la disponibilità a tirare la cinghia su retribuzioni già ai minimi, ac­crescere a dismisura il ‘volontariato’… Tutto questo si sta già facendo, mentre si chiede ai lettori la comprensione per rinunce gravi e dolorose. Ma quanto ancora potranno reggere testate che hanno resistito a guer­re e repressioni, sfidato il fascismo e – prima e dopo la dittatura – anche aspre ostilità politiche locali? Testate che ora guardano negli occhi il re­lativismo che insidia le radici stesse della nostra società, ma che vengo­no costrette a sottostare a gabelle irragionevoli e punitive? Di quale di­ritto all’informazione parliamo se si spegne anche solo una di queste vo­ci che per vivere non chiedono altro che di poter contare su servizi es­senziali
a costi equi?
Chi ha la responsabilità di riesaminare una decisione che già sta consu­mando effetti irreparabili non esiti oltre: ne va della libertà di stampa. Ma davvero.