Dal Vaticano II la Chiesa ha rinunciato a definire i problemi sociali a partire da un suo progetto organizzativo della società. Diventa decisivo che i cristiani di impegnino per portare giustizia e pace

“Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” è la domanda di fondo che attraversa tutta l’enciclica Laudato Si’ e interpella soprattutto i genitori. Una domanda che non può essere posta in modo parziale perché, spiega Bergoglio, non riguarda solo l’ambiente, ma  “ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: a che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra” (LS 160).

“Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa” (LS 141). Appare quindi “fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (LS 139).

Ora, a partire dal Vaticano II la Chiesa ha definitivamente rinunciato a definire i problemi sociali a partire da un suo progetto organizzativo della società. Ciò che diventa decisivo è che i cristiani si adoperino perché la loro azione sociale apporti giustizia e pace agli uomini e alla società globale.

Giovanni XXIII con la Mater et Magistra, pur usando la tradizionale espressione di “dottrina sociale” ne dà un significato nuovo. In precedenza esistevano tre momenti distinti: l’analisi storica e sociologica, il momento dottrinale e la realizzazione politica. Da quel momento il termine Dottrina sociale viene ristretto a quello strettamente dottrinale, ben distinto dagli altri sui quali la Chiesa, intesa come magistero, non può avere competenza specifica (per le analisi occorrono gli esperti, per la realizzazione il laicato credente). Al momento operativo viene quindi lasciato ampio margine alla libertà di coscienza dei fedeli riconoscendo che non una, ma diverse possono essere le scelte conformi all’insegnamento sociale (cfr Octogesima adveniens 42).

Ma c’è di più: nell’ambito di una rivalutazione della Parola, si è andata maturando la convinzione che nei Vangeli non esistano indicazioni esplicite circa un determinato sistema sociale in contrapposizione ad altri. Perché il Vangelo, non è privatizzabile e il cristianesimo è tutt’altro dall’essere assimilato ad un’ideologia politica: è piuttosto giudizio e profezia nella prospettiva della salvezza dell’uomo indipendentemente da ogni sistema storico contingente, che non è oggetto di studio della teologia, né tanto meno della pastorale.

È allora sulla base dei valori evangelici che si declina il pellegrinaggio terreno di ogni cristiano. Valori come l’uguale dignità umana, la giustizia che regola la convivenza, la libertà come esercizio di responsabilità, il rapporto di comunione e fraternità tra persone e società (in virtù del quale si parla di bene comune da perseguire), l’autorità intesa come servizio, la solidarietà anche economica tra persone e comunità. Il messaggio cristiano è allora annuncio di liberazione integrale dell’uomo e dell’intera famiglia umana, una liberazione che si realizzerà pienamente oltre la storia, ma che deve trovare già qui ora una sua concreta attuazione. E se il cristiano e la Chiesa sono dalla parte di Dio, di conseguenza, saranno dalla parte dell’uomo, specie se povero e oppresso. In questo senso per un cristiano la pace non potrà mai essere frutto della rassegnazione di schiavi e oppressi, bensì della loro liberazione. Riscoprire il valore del bene comune, della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale e della corresponsabilità diventa allora il compito quotidiano feriale di ciascuno di noi.

Ma come dare risposta – da famiglie con figli, da genitori che si guadagnano il pane fianco a fianco con quanti credenti non sono – a quella domanda che attraversa l’enciclica?

“La Chiesa è nel mondo, diceva padre Marie Dominique Chenu, e nella misura in cui è nel mondo, essa diventa Chiesa”. Andare nelle periferie, traduce papa Francesco invocando una Chiesa in uscita. E qualche idea ce l’ha fornita, anzi ben più d’una.

“La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale. Nella famiglia s’impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire «grazie» come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda” (LS 213). Alla politica e alle associazioni compete poi la “formazione delle coscienze”. E compete anche alla Chiesa (LS 214).

Ma c’è di più: “La grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità. Desidero proporre ai cristiani – scrive Francesco – alcune linee di spiritualità ecologica che nascono dalle convinzioni della nostra fede, perché ciò che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul nostro modo di pensare, di sentire e di vivere. Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura del mondo. Infatti, non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria»” (LS 216).

Urge trovare soluzioni che “ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando (LS 163). In altre parole è indispensabile attuare una vera “conversione ecologica” (LS 216-221) che “è un appello ad una profonda conversione interiore” (LS 217). Ma la conversione personale non è ancora sufficiente se non si allarga a cerchi concentrici e si fa comunitaria. Esiste tutto un background di atteggiamenti che caratterizzano la spiritualità cristiana a partire da “un modo alternativo di intendere la qualità della vita” (LS 222). Se umiltà e sobrietà sono il primo step (IV Gioia e pace, segnala Bergoglio), l’Amore civile e politico (V segnalato) viene subito dopo. Perché “la cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale” (LS 228), un concetto principalmente politico.

E poi alcune indicazioni nello stesso ambito: “Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti” (LS 229). “L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici» (LS 231).

“L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero (LS 233). L’Eucaristia è la risposta o meglio l’atteggiamento eucaristico (l’essere cioè capaci di render grazie) “fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato (LS 236). Se tutto è collegato anche la spiritualità si fa globale ( cfr LS 240) e la passione per la cura del mondo orienterà le scelte nostre quotidiane e, nella misura in cui da genitori saremo stati convincenti (non certo a suon di parole o con la forza …), anche dei nostri figli.

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