Dal Messale un modello di Chiesa

di: Matteo Ferrari

nuovo messale

Papa Francesco, nella sua prima enciclica, affermava: «La fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare (…). Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa» (Lumen fidei, 40).

L’uscita del nuovo Messale Romano in lingua italiana (3ª edizione), in questo senso è una sfida per le nostre comunità. Infatti i sacramenti, e in particolar modo l’eucaristia, sono «l’abito della fede».

L’uscita del nuovo Messale è un’opportunità per riscoprire questo dato fondamentale, è una preziosa occasione anche per riprendere in mano alcuni aspetti “non nuovi” della riforma conciliare ai quali forse finora non abbiamo dato la dovuta considerazione. Si tratta di accogliere il nuovo libro liturgico come uno stimolo per le nostre comunità a interrogarsi sul nostro modo di celebrare: il Messale, anche quello precedente, offre non solo norme e testi liturgici ma il modello di Chiesa, di comunità consegnatoci dal Vaticano II. È a partire da questo modello di Chiesa che possiamo imparare a celebrare e, nello stesso tempo, è dalla celebrazione che emerge il volto genuino della Chiesa (cf. SC 2).

I motivi che hanno portato alla necessità di una nuova edizione italiana sono principalmente quattro.

Il motivo fondamentale è quello di «adeguare il libro liturgico all’editio typica tertia latina del Missale Romanum (2002 e 2008), che contiene variazioni e arricchimenti rispetto al testo della editio typica altera del 1975» (Presentazione, 1).

In secondo luogo, occorreva una traduzione che seguisse le nuove indicazioni del motu proprio di papa Francesco Magnum principium del 3 settembre 2017, che riguarda proprio la traduzione dei libri liturgici.

Occorreva, inoltre, adeguare il Messale alla nuova traduzione ufficiale della Bibbia (2007).

La nuova edizione del Messale italiano, infine, non riguarda unicamente i testi liturgici. Anche l’Ordinamento Generale del Messale Romano è stato ampliato e rivisto nell’editio typica tertia. Anche per questo occorreva che una nuova edizione del Messale in italiano la recepisse.

Le principali novità

La terza edizione italiana del Messale non va intesa come un nuovo testo liturgico, ma come la normale evoluzione del Messale di Paolo VI, quello uscito dal Vaticano II (edizioni latine: 1970, 1975, 2000/2008). Questa terza edizione del Messale si inserisce nella normale evoluzione di un libro liturgico che corregge, emenda e integra in base all’uso e all’esperienza celebrativa.

In questa prospettiva, possiamo elencare le principali novità del Messale. Innanzitutto, abbiamo detto che si tratta di una traduzione nuova, eccetto i testi propri dell’edizione italiana precedente che non hanno un originale latino, a partire dalla editio typica tertia emendata (2008). Non ci sono, a prima vista, cambiamenti radicali, tuttavia occorre riconoscere un miglioramento nel recupero di alcune espressioni e nel linguaggio utilizzato.

Per quanto riguarda l’Ordo Missae, il Messale latino ha recepito – riformulando e migliorando il testo – la Preghiera eucaristica V nelle sue quattro varianti, e le due preghiere eucaristiche della riconciliazione. È un aspetto interessante: una tradizione nazionale ha influenzato l’editio typica latina che è per la Chiesa universale.

Ci sono stati anche degli arricchimenti nell’edizione italiana rispetto a quella latina. Ad esempio, sono stati inseriti due prefazi in più per i pastori e due prefazi per i dottori, che non erano presenti né nell’edizione precedente, né nell’editio typica latina. Non è un aspetto secondario, se pensiamo alla necessità di utilizzare il prefazio dei santi dottori anche per alcune sante donne che hanno questo titolo.

Per quanto riguarda il proprio dell’anno liturgico ci sono alcune significative aggiunte. Innanzitutto, sono state inserite le messe vigilari per l’Epifania e per l’Ascensione, che non esistevano nell’editio typica altera. Aggiunta interessante della editio typica latina accolta in quella italiana è quella delle Orationes super populum per il tempo di Quaresima. Si tratta di un elemento tradizionale della liturgia romana, presente in Quaresima nel Messale di Pio V e non accolto in prima battuta in quello di Paolo VI. L’edityo tipica tertia, fedele al principio enunciato in SC 50, ha ritenuto opportuno reinserire nel Messale Romano questo elemento, che caratterizza il tempo di Quaresima. Le Orationes sono testi significativi che riprendono tematiche proprie della liturgia quaresimale.

Altra novità riguarda il canto. La terza edizione italiana ha scelto, in conformità all’editio typica latina, di inserire la musica direttamente nel testo del Messale per alcune parti del proprio della messa. Non si tratta unicamente di un aspetto editoriale, ma di un’attenzione ben precisa del Messale. Infatti, la Presentazione CEI afferma: «Nella consapevolezza che il canto non è un mero elemento ornamentale ma parte necessaria e integrante della liturgia solenne (…) si è scelto di inserire nel corpo del testo alcune melodie che si rifanno alle formule gregoriane presenti nell’edizione italiana del Messale Romano del 1983, adeguandole ai nuovi testi (Presentazione, 3).

Nella editio typica tertia troviamo anche un «miglioramento terminologico» di non poca rilevanza sia dal punto di vista ecclesiologico sia da quello liturgico-teologico (cf. G. Boselli, Rivista del Clero Italiano, 3 (2020), 202-203). L’edizione latina sostituisce l’espressione Ordo Missae sine populo con Ordo Missae cuius unus minister participat. Di conseguenza, anche l’edizione italiana ha cambiato il vecchio titolo Messa senza il popolo con il nuovo Messa a cui partecipa soltanto un ministro (cf. OGMR, 252-255). In questo modo si sottolinea che «l’assemblea dei fedeli è sempre e in ogni sua possibile forma non solo il soggetto integrale della celebrazione ma anche il suo fine proprio che nessuno può in alcun modo alterare».

Infine, non dimentichiamo la scelta del linguaggio inclusivo in diversi testi. Ad esempio, nell’atto penitenziale e nel ricordo dei defunti delle preghiere eucaristiche si è scelto di introdurre l’espressione «fratelli e sorelle». Questo vale anche per altri testi come la benedizione delle ceneri il mercoledì delle ceneri e l’inizio della processione la domenica delle palme. Se, in italiano, nessuno pensa che dicendo “fratelli” si escludano le donne, tuttavia è significativo che si sia introdotta questa modifica nei testi liturgici che sottolinea l’importanza di sapersi assemblea di «fratelli e sorelle».

La Presentazione CEI

Interessante, come strumento per cogliere l’opportunità del nuovo Messale, è la Presentazione della Conferenza episcopale italiana, che offre spunti preziosi.

Innanzitutto, il documento afferma che la nuova edizione italiana del Messale Romano «è offerta al popolo di Dio in una stagione di approfondimento della riforma liturgica ispirata dal concilio Vaticano II» (Presentazione, 5). In questa ottica va accolto il nuovo Messale italiano con un ulteriore passo di recezione del Concilio e delle sue indicazioni riguardo alla riforma della liturgia. Come la Presentazione stessa ricorda, papa Francesco ha affermato che «la riforma liturgica è irreversibile». La riforma liturgica, con l’uscita dei nuovi libri liturgici, richiede un «lungo e paziente lavoro di assimilazione pratica del modello celebrativo proposto» (Presentazione, 5).

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Per essere accolto, il nuovo Messale richiede «un processo globale di approfondimento della retta comprensione della celebrazione dell’eucaristia» (Presentazione, 6). Per questo, citando Benedetto XVI, si propone un principio fondamentale: «la migliore catechesi sull’eucaristia è la stessa eucaristia ben celebrata» (Sacramentum caritatis, 187). La Presentazione CEI invita in questo senso a «valorizzare le diverse possibilità di scelta e di adattamento che [il Messale] contiene» (Presentazione, 6). Si tratta di un aspetto importante, se lo si legge insieme all’indicazione che segue circa la fedeltà. Infatti, spesso si lamenta una eccessiva staticità e rigidità del rito e non si conoscono né si utilizzano le diverse possibilità di scelta e di adattamento che il Messale stesso contiene.

È l’importanza degli «oppure», che sono una caratteristica fondamentale della seconda edizione italiana, mantenuta e valorizzata dalla terza. Per questo occorre conoscere il Messale. A questo proposito si cita la Nota introduttiva della CEI al Rito per l’Ordinazione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi dove si afferma che il libro liturgico deve essere per i presbiteri «oggetto di attento studio, sia individualmente che in fraterna comunione presbiterale» (n. IV,2).

La Presentazione CEI indica due principi in particolare (Presentazione, 6), che vengono tratti dalla costituzione conciliare Sacrosanctum concilium: la fedeltà alla sana tradizione (SC, 4) e la nobile semplicità (SC, 34). Questi due principi vengono sottolineati, pur affermando che è tutta la costituzione sulla sacra liturgia del concilio Vaticano II a fare da punto di riferimento imprescindibile.

A partire dai due principi conciliari, la Presentazione CEI sviluppa il tema dell’ars celebrandi, l’arte di celebrare. Innanzitutto, occorre «fedeltà», seguendo «un vivo senso di obbedienza». Si tratta di un aspetto importante che non è semplicemente un mero rispetto delle regole fine a se stesso. Per la liturgia, la fedeltà alla «sana tradizione» è fondamentale perché ne dice il senso come opus Dei, cioè opera di Dio. La fedeltà al testo liturgico rimanda al fatto che la liturgia non è opera nostra, ma opera di Dio.

Il fatto che riceviamo dalla Chiesa i testi per la celebrazione liturgica non deve essere visto come un limite alla creatività, bensì come un segno che la liturgia è un dono che riceviamo: nella liturgia non siamo noi che facciamo qualcosa per Dio, ma è Dio che fa qualcosa per noi. Proprio la fedeltà è lo spazio e il fondamento dell’autentica creatività liturgica.

Questo principio ha un fondamento biblico. Pensiamo all’edificazione del santuario nell’Antico Testamento o alle norme per il culto e per i sacrifici. Tutto viene stabilito, secondo il testo bilico, da Dio stesso. È il Signore che “dona” il modello per il tempio e per il culto. Pensiamo, inoltre, alla celebrazione del Pasqua ebraica. Nel Libro dell’Esodo è il Signore che consegna a Mosè il modello rituale per celebrarla (Es 12). La celebrazione della Pasqua non sarà altro che obbedienza al comando del Signore: «lo celebrerete come rito perenne».

Ma questo è vero anche per l’atto di culto centrale per i cristiani: l’eucaristia. È Gesù che dona il modello rituale dell’eucaristia, dicendo «fate questo in memoria di me». Paolo stesso nella Prima Lettera ai Corinzi afferma: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane…» (1Cor 11,23). La «fedeltà» è segno innanzitutto di obbedienza alla Parola di Dio: dice il primato di Dio in ciò che facciamo nella liturgia e il fatto che essa è l’opera che egli compie per noi.

In secondo luogo, «la fedeltà» esprime anche l’unità. Infatti «un modello rituale unitario e condiviso» è importante affinché «le singole assemblee eucaristiche manifestino l’unità della Chiesa orante» (Presentazione, 7). È interessante leggere in questo senso il passaggio della Regola di Benedetto, in cui il padre del monachesimo occidentale afferma che nella preghiera «la mente deve accordarsi con la voce» (RB, 19,7). Noi saremmo tentati di pensare il contrario: la voce deve accordarsi con la mente. Invece no! Benedetto afferma che è accordando la nostra interiorità con il testo dei Salmi che noi «educhiamo» il nostro cuore. Potremmo dire che è accordando la nostra mente alla voce comune della Chiesa che noi ci educhiamo all’unità.

Il secondo principio per curare l’ars celebrandi ricordato dalla Presentazione CEI è la «nobile semplicità». In questa prospettiva si fanno alcune importanti considerazione. La prima riguarda la necessità di lasciar parlare innanzitutto, prima di ogni altra parola, la parola di Dio e il gesto liturgico. Non dobbiamo soffocare il rito con le nostre parole. Nobile semplicità allora vuol dire innanzitutto lasciare spazio alla parola di Dio e ai gesti liturgici: occorre «vigilare perché la parola umana non soffochi l’efficacia della parola di Dio e del gesto liturgico» (Presentazione, 8).

La seconda attenzione che viene richiamata riguarda la «complessiva e armonica “attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori delle vesti liturgiche. La liturgia, in effetti, possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l’essere umano” (Sacramentum caritatis, 40)» (Presentazione, 9). In questo senso, la Presentazione CEI ricorda che il Messale non raccoglie solamente i testi liturgici, ma è soprattutto «un libro che indica “gesti” da porre in atto e valorizzare, coinvolgendo i vari ministeri e l’intera assemblea» (Presentazione, 9).

È importante che la Presentazione CEI sottolinei, parlando della messa in atto dei vari linguaggi che la liturgia richiede, la pluralità dei ministeri, una sfida ancora aperta a partire da Concilio, e dell’assemblea liturgica come «soggetto celebrante». Il Messale stesso uscito dal Vaticano II, di cui questa terza edizione, come abbiamo detto, è una ulteriore tappa, rimanda alla pluralità di ministeri e alla centralità dell’assemblea. Infatti, mentre il Messale di Pio V comprendeva tutti i testi per la celebrazione liturgica, letture comprese, la pluralità di libri liturgici che oggi la liturgia prevede, rimanda anche alla necessità di più ministeri.

La Presentazione CEI fa poi un’osservazione conclusiva su questo punto che non possiamo dimenticare. Si afferma: «I diversi linguaggi che sostengono l’arte del celebrare non costituiscono dunque un’aggiunta ornamentale estrinseca, in vista di una maggiore solennità, ma appartengono alla forma sacramentale propria del mistero eucaristico» (Presentazione, 9).

Infine, la Presentazione CEI invita ad una catechesi a carattere mistagogico. Occorre partire dal rito stesso, seguendo la prassi dei padri della Chiesa, per comprendere «sempre più i misteri che vengono celebrati». Nella prassi della Chiesa antica la mistagogia era una sapiente interazione tra esperienza celebrativa e confronto con le Scritture, per far comprendere il senso dei sacramenti. In questa ottica «il riferimento al Messale è determinante per comprendere il senso profondo del mistero eucaristico a partire dalla sua celebrazione» (Presentazione, 10). Per questo si può affermare che «il libro liturgico è custode della fede creduta, celebrata e vissuta».

Per esprimere sintatticamente il ruolo che il Messale può avere per la vita delle nostre comunità, si potrebbero prendere in considerazione tre ambiti: la Chiesa, la spiritualità, l’annuncio/evangelizzazione. Nella prospettiva che la lex orandi è lex credendi e lex vivendi. Come si diceva sopra, il libro liturgico è «custode della fede creduta, celebrata e vissuta».

Messale e «volto» della Chiesa

Il Messale è custode del volto della Chiesa. Nel Messale emerge “in atto” l’ecclesiologia del Vaticano II. Certo, questo è vero se lo accogliamo proprio così come si presenta. Il rischio è sempre quello di utilizzare il Messale di Paolo VI esattamente come quello di Pio V. Nelle preghiere eucaristiche, cuore del Messale, questa ecclesiologia è espressa in modo semplice e “visibile”. Pensiamo alla Preghiera eucaristica II nella formula domenicale, quando si afferma: «Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra e qui convocata nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte». È un’affermazione grandissima: si dice che nell’assemblea liturgica, che potrebbe essere anche di tre persone, tutta la Chiesa è convocata. È effettivamente “ecclesiologia in atto”.

Il Messale testimonia una Chiesa in cammino. Già la processione d’ingresso lo dice – o dovrebbe dirlo – nel fatto che tutti si cammini verso l’altare, seguendo la croce, portando il Vangelo. Nel nuovo Messale questa dimensione escatologica della vita della Chiesa è meglio espressa anche nei riti di comunione con il nuovo testo: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Mentre la Chiesa celebra l’eucaristia nel tempo, pregusta e annuncia il banchetto del cielo, secondo quanto afferma il testo dell’Apocalisse: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!». (Ap 19,9).

La celebrazione liturgica “manifesta” un volto di Chiesa che vive della presenza del Signore in mezzo a lei. Non c’è Chiesa senza questa consapevolezza. La Chiesa sarebbe un’organizzazione come tutte le altre se non avesse la consapevolezza che il Signore è presente dove due o tre sono riuniti nel suo nome (Mt 18,20). Nel nuovo Messale l’inserimento, come unica possibilità, dell’uso del Kyrie eleison nei riti di introduzione sottolinea meglio questo aspetto. Non si tratta di mettere al centro il nostro peccato, ma l’acclamazione al Signore risorto presente in mezzo a coloro che sono radunati nel suo nome.

Il Messale poi testimonia una Chiesa «in ascolto» (cf. DV 1). La prima cosa che l’assemblea liturgica fa quando si raduna è ascoltare la Parola di Dio. I riti di introduzione non sono altro che una preparazione all’ascolto e all’intera celebrazione. Il Messale, come libro liturgico, ci insegna a leggere la celebrazione nel suo insieme e nel collegamento tra le sue parti. In quest’ottica i riti di introduzione non vanno mai visti come un elemento a sé, come elemento separato, ma sempre come preparazione all’ascolto a partire dalla presenza del Signore in mezzo a noi e nel riconoscimento della nostra povertà.

Il Messale testimonia una Chiesa “che prega”, che vive del rapporto con il suo Signore e cammina verso la comunione con Dio. Nella celebrazione emerge il volto di una Chiesa la cui fede non consiste solo nel “credere” a determinate verità, ma nell’entrare in quel dialogo «come tra amici» di cui ci parla il Concilio (DV 2).

Il Messale, infine, ci parla di un volto di Chiesa “ministeriale”, fatta di tanti ministeri e carismi. È un fatto fondamentale. Il Messale è “un libro” della celebrazione eucaristica, non “l’unico libro”. È un’acquisizione importante della riforma conciliare. Già questo dato dice che la celebrazione necessita di una pluralità di ministeri: vescovo, presbiteri, diaconi, ministri istituiti, lettori, cantori… Ad una pluralità di libri liturgici corrisponde una pluralità di ministeri. Questo non era evidente nel Messale di Pio V, dove in un unico libro si trovava tutto ciò che serviva per la celebrazione dell’eucaristia.

Il Messale quindi ci invita a valorizzare la pluralità dei ministeri che non è un fatto solamente liturgico: nella liturgia la Chiesa esprime la ricchezza di ministeri e impara a viverla.

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Messale e spiritualità

Il Messale è, inoltre, una scuola di “spiritualità”. Dalla preghiera liturgica i cristiani – ministri ordinati e laici – imparano a pregare, a vivere il loro rapporto con Dio.

Il Messale è scuola di spiritualità perché parte dall’ascolto. Nella celebrazione liturgica si impara la dinamica fondamentale della spiritualità cristiana tra ascolto e risposta. Prima si ascolta Dio che parla e poi si risponde nella preghiera lodando, supplicando, ringraziando, chiedendo perdono… Pensiamo a come questo è espresso nella preghiera dei fedeli e nei prefazi: la Parola ascoltata diventa intercessione e supplica, ringraziamento e lode.

Ma dai testi liturgici impariamo anche la preghiera. Essi sono “intrisi” di Scrittura. I testi liturgici ci insegnano a fare della parola di Dio il nutrimento della nostra preghiera: essa dovrebbe essere, come un testo liturgico una ruminatio della Scrittura. In fondo, il Messale ci rivela il volto più autentico della vita cristiana in quanto tale: il cristiano dovrebbe essere come un testo liturgico, intriso della parola di Dio, ruminatio vivente della Scrittura. È ciò che si manifesta anche nella celebrazione delle memorie dei santi e delle sante: uomini e donne che sono diventati esegesi vivente della Scrittura. In questo senso è preziosa anche la revisione delle note biografiche che si trovano nel proprio dei santi.

Nel nuovo Messale la revisione dei testi, nella ricerca di una maggiore fedeltà e di espressione più dense, mette maggiormente in evidenza il nesso tra testi liturgici e Scrittura. Pensiamo, solo per fare un esempio, alla bella immagine della «rugiada dello Spirito» nella Preghiera eucaristica II.

Un ultimo aspetto non è trascurabile. Come abbiamo detto, il Messale è «soprattutto un libro che indica gesti». Si tratta di un elemento importante per la vita spirituale e la preghiera. La fede ha bisogno del corpo. Noi spesso confondiamo la spiritualità con ciò che è solamente “interiore”, contrapponiamo “interiore” ed “esteriore”, quasi con un certo timore per quest’ultimo. Il Messale, e la liturgia in genere, ci insegnano che la fede, il rapporto con Dio, quindi anche la preghiera, hanno bisogno di un corpo.

Importante l’invito ad «attivare» tutti i linguaggi sottolineato dalla Presentazione CEI. Come sottolineato nel brano di Lumen fidei, ciò che si trasmette nella vita della Chiesa «è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri» (Lumen fidei, 40). Si può dire che «la fede ha una struttura sacramentale» e i sacramenti e la liturgia ci insegnano a viverla. Anche di questo il Messale è custode.

Messale e annuncio/evangelizzazione

Infine, quale rapporto tra Messale e annuncio? Il Vaticano II ha affermato che, nella liturgia, i fedeli «esprimono nella loro vita e manifestano agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa» (SC 2). La celebrazione liturgica può diventare un luogo di annuncio. Certo conformemente alla sua natura. Essa non può essere ridotta a catechesi o strumentalizzata per altri scopi. Tuttavia, da come la Chiesa celebra, dipende anche la sua capacità di annuncio e di evangelizzazione.

L’accoglienza del nuovo Messale, la sua conoscenza, l’attuazione delle possibilità di adattamento che esso presenta, sono una grande opportunità. La Presentazione CEI parla di «bellezza». La «bellezza evangelizzante della liturgia», con la pluralità di linguaggi che la celebrazione richiede, può diventare un luogo fondamentale per l’annuncio della gioia del Vangelo. Qui trova senso il tema dell’ars celebrandi di cui ci parla la Presentazione CEI. Non si tratta di “eseguire” correttamente dei riti, ma di favorire la «partecipazione attiva» nel senso in cui ne parla il Concilio. Partecipazione attiva non significa che “tutti fanno qualche cosa”, ma che “tutti fanno la stessa cosa”, cioè vengono coinvolti, ognuno secondo il proprio ministero, nella partecipazione alla celebrazione del mistero pasquale di Cristo.

Infine, la celebrazione è evangelizzante perché è il luogo nel quale si edifica la comunione. In tutte le preghiere eucaristiche la seconda epiclesi è un’invocazione dello Spirito perché chi partecipa all’unico pane formi un solo corpo. La Chiesa, secondo la preghiera di Gesù nel Vangelo di Giovanni (Gv 17,21), evangelizza quando vive la comunione e l’unità. Ma tale comunione non è il frutto dei nostri sforzi. Noi vediamo bene quanta fatica facciamo a vivere la comunione e quanto, invece, siamo portati alla divisione. Il Messale è «il manuale della comunione», perché nella condivisione del pane e del vino della cena, ma anche nella condivisione di testi e gesti comuni a tutti, si edifica l’unità della Chiesa, che è anticipazione di quel «raduno nel Regno», che è dono di Dio, sua salvezza.

Conclusione

Solo alcuni tratti di presentazione e di riflessione su ciò che significa per la Chiesa italiana e per le nostre Chiese particolari l’accoglienza del nuovo Messale. È una grande opportunità per continuare e approfondire il cammino di Chiesa che il Vaticano II ha aperto.

Non bisogna sottolineare una discontinuità che non c’è, ma quella continuità della vita ecclesiale di cui i testi liturgici sono strumento e testimonianza.

  • Matteo Ferrari è monaco di Camaldoli.
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