«Cyber» cristiani?

Le parole – lo sappiamo – non hanno un copyright. Ed è anche lecito usarle con un certo margine di libertà. Così, non è infrequente che il loro significato slitti in modo sorprendente, per mutamento dei contesti, per ragioni inspiegate, per strategie ideologiche …

Si pensi al significato antico e a quello attuale di “pneumatico”, al senso etimologico di “pedofilia”, al crocevia attuale in cui si trova il termine “matrimonio”. Di peculiare importanza, in ambito filosofico-teologico, è il “travaglio” che sta vivendo, recentemente, l’espressione “trascendenza”. Dopo la questione dell’anima, un altro cardine del pensiero religioso sta ricevendo una “particolare attenzione” dalla cultura contemporanea. Di trascendenza infatti si torna a parlare, mentre il “purtroppo” e il “per fortuna” combattono per completar la frase.

Sì, perché l’accezione ora di moda non è proprio quella canonica. Dall’ambito dei Principi singolaritiani, ad esempio, Eliezer Yudkowsky dichiara che un adepto della Singolarità «crede in una Trascendenza o un Evento Orizzonte», in perfetto ossequio al padre fondatore Vernon Vinge che nel suo manifesto La Singolarità tecnologica assicurava come «l’Intelligenza artificiale permette la nostra partecipazione ad una specie di trascendenza». Dai laboratori della Realtà Virtuale, d’altro canto, Michael Benedikt vaticina che nel cyber-spazio trascenderemo il mondo materiale e, per rendere più perspicua l’idea, predice che «potremo mangiare dell’Albero senza essere puniti, stare con gli angeli, entrare in paradiso e non morire» (Cyber-spazio).

Margaret Wertheim chiama con nonchalance tale insorgente trascendenza «Nuova Gerusalemme». Dal fronte della robotica, inoltre, abbiamo uno dei leader massimi, Hans Moravec, che ha posto il termine sin nel titolo del suo best-seller Robot. La pura macchina verso la mente trascendente. Poi c’è Ray Kurzweil, l’«uomo trascendente» per eccellenza (così è intitolato il docu-film tuttora in circolazione sulla sua vita e le sue invenzioni), autore di La Singolarità è vicina. Quando gli esseri umani trascendono la biologia (2005) e del più diretto Transcend (2009).

Su un piano maggiormente divulgativo, il cyber-scrittore cult William Gibson in Neuromante ci presenta Wintermute, un’Intelligenza artificiale con espliciti «desideri di trascendenza» ed è di questi giorni l’annuncio della preparazione di un nuovo film con mega-produzione e celebri star: Johnny Depp – o meglio il suo personaggio – morirà e la sua coscienza sarà fatta sopravvivere in una sorta di computer. Titolo senza orpelli e senza equivoci: Transcendence. L’uscita del film è destinata a scatenare un gran risuonare della parola “trascendenza” e sarà interessante riscontrare, in tale deflagrazione, come il suo significato originario verrà stiracchiato, ri-modellato, deturpato.

Dinanzi ad un incedere così incalzante del progetto, per così dire, di “ingegnerizzazione della trascendenza” si potrà obiettare che, in fondo, non c’è niente di granché nuovo sotto il sole. Non sono trascorsi poi molti decenni da quando una certa ideologia inneggiava, con Ernst Bloch, ad un «trascendere senza trascendenza, perché è l’avanti che attira – potendolo plasmare – piuttosto che il lassù» (Il principio speranza, 1959). La risposta più evidente e drammatica è pervenuta dalla storia; quella più arguta, forse, da Augusto Del Noce secondo cui, all’incirca, una trascendenza intramondana presto avvizzisce e, come una giovane avvenente divenuta vecchia, perde molto del suo impulso attrattivo (battuta da contestualizzare rigorosamente in epoca pre-gender).

Davvero, dunque, solo il ritorno di un’uguale questione già liquidata dalla storia e dalla filosofia? In realtà, nel ritorno della trascendenza di oggi, un nuovo attore è entrato vistosamente in scena: la tecnologia. Con un inaspettato dirottamento della trama. Se infatti la trascendenza del marxismo e dell’umanesimo ateo aveva uno sguardo totalmente orizzontale, e verticale è la direzione della trascendenza tradizionale, si può avanzare che l’orizzonte della trascendenza tecnologica sia diagonale, o forse obliquo. Si ha un bel dire, infatti, con un malcelato sciovinismo di specie, che i computer fanno solo quello che l’essere umano dice loro di fare. In realtà, se la tecnologia elettrica cessasse improvvisamente di assisterci, con tutte le nostre abilità dismesse, cadremmo in un nuovo Medioevo. Rinascimento, al massimo.

Da qui derivano consapevoli sensi di dipendenza e di inferiorità nei confronti della tecnologia, stranamente affini al sentimento di creaturalità dell’essere religioso nei confronti di Dio. Così i piani vengono ad intrecciarsi ulteriormente e v’è qualche fondatezza nel chiedersi se dietro il fenomeno della trascendenza tecnologica vi sia solo un colossale equivoco, un preciso disegno ideologico anti-religioso oppure esso non sia altro che l’estremo grido verso il Cielo dell’essere umano contemporaneo, l’unico possibile in una cultura post-simbolica, iper-esplicitante e secolarizzata come la nostra.

In effetti, invertendo una rotta filosofica lunga quasi un secolo che opponeva senza attenuazioni efficientismo tecnico e afflato spirituale, cominciano sorprendentemente a proporsi – e proprio dall’ambito teologico – posizioni che interpretano la tecnologia come possibile Grande Medium per risvegliare sopite tendenze spirituali e per vincere quella singolare forma di xenofobia che attanaglia la nostra epoca: non più fobia dell’altra persona, ma fobia dell’altra dimensione dell’Essere.

Così, ad esempio, il teologo protestante Ronald Cole-Turner, nella silloge da lui curata Transhumanism and Transcendence (2012), pone l’obiettivo di «esplorare le forme del desiderio umano di trascendenza» presenti nella tecnologia; Giuseppe Tanzella-Nitti ravvisa in essa «categorie quasi teologiche», come l’anelito a superare la finitezza, una speranza di largo respiro nel futuro, l’aspirazione a conservare la memoria individuale e collettiva, la propensione ad una tessitura estesa di relazioni … (Pensare la tecnologia in prospettiva teologica, 2011) e René Munnik della Facoltà teologica di Tilburg ha di recente avviato il progetto di ricerca “Trasformazioni della trascendenza nel contesto della cultura tecnologica”.

Sembrerebbe il germogliare di una teologia della tecnologia di taglio radicalmente nuovo, tesa a leggere nella tecnica non più un farmaco per assopire – o allucinare – le tensioni trascendenti, ma un elisir per risvegliarle; una teologia desiderosa di approfondire (con uno speciale esercizio di “inculturazione”) le innegabili propensioni spirituali della tecnologia e che, su questa base, si senta di consigliare – sulla falsariga del frequente invito «cristiani, entrate in politica» – un inusuale «cristiani, entrate in tecnologia!». Anche per rimarcare che la “trascendenza immanente” è una contradictio in terminis o, più poeticamente, un evocativo ossimoro, che per sua natura è efficace solo se delocalizza la ragione e rimanda altrove.

 

Andrea Vaccaro – avvenire.it