Curare la montagna salva pure le nostre città

Avvenire

Oltre un terzo del territorio italiano è classificato ‘montano’. Pur con notevoli diversità di ordine ambientale, geologico, climatico, sociale, economico e istituzionale, questo ambito conosce specificità e problemi comuni che lo differenziano dal resto del Paese. Al suo interno è compresa la maggior parte del patrimonio forestale, che a sua volta costituisce più di un terzo del nostro territorio. L’Italia in sostanza ha una forte matrice montana e forestale: una peculiarità che deve essere conosciuta e gestita in modo adeguato. Oggi il principale problema di questo ampio e articolato territorio è rappresentato dallo spopolamento, con l’abbandono delle terre che ne consegue, la perdita di efficienza economica, politica e sociale e di un millenario patrimonio di cultura materiale e immateriale delle popolazioni che vivono in montagna. Questo non è legato a cause naturali, ma al fatto che nel secolo scorso vaste zone interne sono state impoverite da un modello di crescita che, in assenza di politiche adeguate, non ha offerto alternative all’esodo verso i poli urbani e industriali della pianura.

Nelle nostre montagne ci sono valori, risorse e cambiamenti in atto che meritano di esser messi al centro dell’attenzione, in antitesi con un’idea di montagna come mondo antico, statico, arretrato, poco produttivo, ovvero come semplice antitesi delle aree urbane. La montagna e i boschi sono un sistema caratterizzato da una straordinaria ricchezza del patrimonio paesaggistico, ambientale e culturale, con fenomeni socio-produttivi interconnessi, ma sta fronteggiando una serie di minacce che il cambiamento climatico potrà rendere ancora più problematiche. È sbagliato però ritenere che la sfida riguardi solo la montagna, perché i problemi si trasferiscono velocemente alla pianura e alle città.

La nostra montagna e i boschi che la caratterizzano sono destinati a diventare un luogo strategico dell’assetto non solo territoriale, ma anche economico e ambientale: un laboratorio di nuovi stili di vita e di integrazione sociale. La prima sfida da vincere in montagna è il mantenimento delle popolazioni, e i boschi possono svolgere un ruolo importante. Esemplificativo, in termini di ‘conservazione attiva’ del patrimonio forestale, è il caso di un piccolo comune delle aree interne della Sardegna, meno di 400 abitanti, che grazie anche ai contributi europei ha avviato dal 2010 un piano di tagli boschivi annuali di circa 70 ettari. Il programma si è autosostenuto con la vendita del prodotto e ha potuto garantire l’assunzione di 10 operai stagionali, creando un indotto per le aziende locali di trasporto della legna. Interventi di questo tipo hanno una forte ricaduta economica e sociale in un contesto di marginalizzazione e costituiscono anche la possibilità di effettuare interventi che consentono, con il recupero della viabilità minore, una migliore fruibilità turistica e una prevenzione degli incendi.

Nell’ottica di mantenere il bosco non solo un luogo di contemplazione, ma anche di promozione economica-sociale, interessante è anche l’esperienza di razionale pianificazione che sta caratterizzando da ormai quarant’anni la Val Camonica, dove la cosiddetta pianificazione intermedia o di secondo livello è iniziata alla fine degli anni Ottanta, ma che ha trovato dignità di legge nazionale solo con il recente Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (DM 34/18). I territori montani e i boschi possono effettivamente costituire un laboratorio di interventi in grado di ispirare il rilancio socio-economico e culturale di tutto il Paese. Sempre più spesso si parla di un’economia circolare caratterizzate da ‘filiere corte’, forse sarebbe più opportune fare riferimento a quelle che qualcuno definisce ‘filiere colte’, ovvero basate sulla conoscenza. Le popolazioni urbane e delle pianure devono riconoscere il ruolo cruciale che la montagna svolge per la tutela del territorio nazionale. Manutenere il territorio montano per scongiurare gli effetti devastanti delle piene dei fiumi, garantire la qualità dell’aria e dell’acqua che si consuma nelle città, utilizzare una materia prima rinnovabile come il legno con un piano di investimenti a sostegno dello sviluppo locale, dovrebbero essere obiettivi prioritari di una politica di salvaguardia dell’ambiente che superi il concetto di tutela ‘museale’ della natura.

Per la ‘conservazione attiva’ del nostro patrimonio forestale andrebbero accorpate le politiche per la montagna, oggi divise tra troppi dicasteri. La montagna non può essere gestita in modo ‘coloniale’ da attori esterni che non ne comprendono la specificità. Tantopiù se si tiene conto che la prospettiva di un riordino del sistema elettorale nazionale rischia di non garantire una adeguata rappresentatività delle popolazioni montane.