Cultura e Società: Media e immigrati, solo il "cattivo" fa notizia

Un convegno con Sant"Egidio, Ucsi e Associazione Stampa Romana. Nell’ultimo anno su 5.684 servizi sugli immigrati solo 26 non risultano legati al problema della sicurezza di Emanuela Micucci

Brutto, sporco e cattivo. Ecco l’immigrato che fa notizia sui mezzi di comunicazione. Così, accade che ci voglia una settimana per pubblicare sui media la vicenda drammatica che sta accadendo in questi giorni a 245 eritrei in Libia. Un caso di studio della cattiva informazione che da 20 anni i giornali italiani fanno sull’immigrazione. A chiedere una forte inversione di tendenza sono stati, ieri (6 luglio), la Comunità di Sant’Egidio, l’Unione Cattolica Stampa italiana (Ucsi) e l’Associazione Stampa Romana durante il convegno “Terra promessa: media e immigrazione”.

Una giornata di studio con le istituzioni e con i media promossa dalle tre associazioni, nella sede di della Comunità a Trastevere, «per aiutare la società civile, l’opinione pubblica, i decisori a investire in una politica della comunicazione diversa – spiega Mario Marazziti, portavoce di Sant’Egidio –, che aiuti e non ostacoli i processi di integrazione, che aiuti a ridimensionare l’allarme sociale e a creare ponti di simpatia e di conoscenza. È un interesse nazionale. Prioritario. Anche per la sicurezza. Perché la paura e i disprezzo creano solo fantasmi».

Il problema nel rapporto media-immigrazione, infatti, resta «la coltre di una cattiva informazione» che lo ricopre, sottolinea Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza, commentando i dati della ricerca “Media e immigrazione”, curata dalla facoltà per l’Osservatorio Carta di Roma. In attesa della presentazione il 20 luglio dell’aggiornamento semestrale, lo studio evidenzia come nell’ultimo anno su 5.684 servizi sugli immigrati solo 26 non risultano legati al problema della sicurezza.

Più di una volta su 3, in notizie su casi di violenza, i telegiornali rendono riconoscibile l’identità dell’immigrato, fatto intollerabile per qualunque cittadino italiano. Nei titoli menzionarne la nazionalità è la norma. “Clandestino” è la parola unica con cui si definiscono indistintamente tutti gli immigrati, regolari, irregolari, profughi. Un quadro immobile, immutato rispetto a tutte le ricerche precedenti. «Si parla troppo poco dell’immigrazione con un’accezione positiva – afferma ancora Morcellini –. Per far sì che tutto questo cambi, il giornalismo italiano non deve più cadere nella trappola di vedere l’altro come un nemico».

Tutti “clandestini”, invece. «Parola che comunica allarme sociale – sottolinea Marazziti – e che dà il senso di un ingresso nascosto, di una vita nascosta, di un mondo senza volto che può diventare minaccioso da un momento all’altro». E dall’effetto-invasione si è passati all’emergenza, e adesso al fastidio e al timore. «Il giornalismo italiano – riprende Morcellini – non è riuscito a cambiare nella nostra cultura il modo di vedere l’immigrazione perché troppo contaminato da una “pigrizia” intellettuale».

La stampa e la tv, insomma, stentano a raccontare le storie dei 4,5 milioni di immigrati presenti in Italia e che «insieme costituirebbero la quinta regione del Paese», dichiara il demografo della sapienza Antonio Golini. «Non si fanno reportage sulle 16mila nuove imprese individuali all’anno create da immigrati regolari», aggiunge.
Duro Cristopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati: «Evidentemente su tanti temi c’è un’autocensura da parte della “grande” stampa e uno squilibrio tra i poteri. Sono situazioni che dovrebbero scuotere le coscienze di tutti, eppure non è così».

Roberto Natale, segretario della Federazione Nazionale della Stampa, spiegando l’importanza deontologica della Carta di Roma (il documento dedicato alle tematiche dell’immigrazione, ndr), precisa che «è un lavoro cultural-professionale che richiede tempo per produrre degli effetti». Paolo Butturini dell’Associazione Stampa Romana rilancia un’altra questione: quella di «come far crescere nei migranti il coraggio di pretendere un’informazione giusta e positiva su di loro come diritto di cittadinanza».

7 luglio 2010 – romasette