Correggio come Casale Monferrato. Cemental, storia degli operai decimati dall’amianto

Una sorta di piccola “Casale Monferrato”. Una fabbrica, un muro di cinta alto appena tre metri, in piena città, a cento metri del centro storico di Correggio (Reggio Emilia). Dove si lavorava all’aria aperta l’amianto (compreso quello “blu”, il più devastante), sbriciolato anche dalle ruote delle ruspe. E per gli operai nemmeno mascherine o guanti, al massimo un bicchiere di latte a fine turno. «Tornavamo a casa come Babbo Natale, bianchi di polvere da capo a piedi» – raccontavano – e le mogli mettevano ogni sera in ammollo i vestiti. A Correggio la chiamano ancora oggi “la fabbrica della morte”. Franco Ponti, proprietario fino alla chiusura nel 1989, dopo essere succeduto al padre che l’aveva aperta nel 1952, ha perso per tumore la moglie ed entrambi i genitori.

La “Cemental” ha subìto già due condanne , la prima nel 2002, in sede civile, quando la Cassazione diede ragione e risarcimento ai familiari di Claudio Righi, morto di tumore dopo aver lavorato dieci anni l’amianto allaCemental. La seconda lo scorso dicembre, in primo grado di un altro procedimento, questo penale: omicidio colposo per la morte di Giuseppe Cagarelli, alla Cemental dal 1969 al 1992, morto di mesotelioma pleurico nel 2008. Si sta celebrando anche un terzo processo – udienza dopodomani – per la morte di un altro ex operaio della fabbrica di Correggio e per i tumori e l’asbestosi grave di un secondo, Paolo Montanari. Ponti è imputato per omicidio colposo e lesioni gravissime. C’è infine uno stralcio di questo terzo procedimento, che potrebbe sfociare in un rinvio a giudizio per disastro ambientale, nel quale si sono costituite parte civile centoquaranta persone. La difesa è quella già vista nella vicenda Eternit: il bando dell’amianto arrivò solo nel 1992.

I racconti

“Ho lavorato sedici anni in mezzo alla morte”, racconta Montanari: “Non c’erano mascherine, né guanti, non c’erano aspiratori, niente. Eravamo in dodici coi miei amici in quel reparto, dieci sono morti nel giro di dieci anni al massimo dalla chiusura della fabbrica”.

Lavoravano “in condizioni peggiori delle bestie”, ricorda Lea Giberti, vedova di Gastone Cipolli. Cosa si aspetta Monatanri dal processo? “Innanzi tutto giustizia”.

Marzio Iotti è stato sindaco di Correggio dal 2004 al 2013 e “negli anni ottanta da semplice cittadino indicai il pericolo della Cemental a Reggio, fino a presentare un esposto denuncia. E adesso purtroppo cominciano a esserci vittime dell’asbesto anche fra chi non ha lavorato in Cemental, ma anche fra i residenti della zona”. Con un muro alto tre metri, sarebbe del resto stato impossibile che le fibre d’amianto non siano volate dappertutto. Ancora Iotti: “I vertici dell’azienda non potevano non sapere i rischi che i dipendenti corressero”.

Durante i suoi trentasette anni di attività, “per ventiquattro l’azienda è stata fuori dai limiti fissati per la salubrità ambientale – scrive la Cgil Emilia in un corposo “Dossier Cemental” pubblicato lo scorso novembre (e distribuito ai cittadini di Correggio) -. Nel 1985 l’Ausl e i Servizi di prevenzione riscontrarono ancora che in molte postazioni si era fuori dai limiti”. Non solo: “Il turn over alla Cemental era altissimo, oltre il venti per cento del personale veniva rinnovato attraverso contratti di formazione lavoro. In prevalenza asiatici di cui nessuno ha più traccia”, spiega la Cgil.

Antonio Romanelli è medico e dirigente sanitario della “Medicina del lavoro” alla Ausl di Reggio Emilia: “Le fibre erano 11,33 per centimetro cubo nella camera dell’amianto, a fronte di un limite che allora era fissato a 2 per non contrarre l’asbestosi”, ha spiegato lo scorso 23 dicembre in Tribunale. “Nell’agosto 1977 l’Ispettorato del lavoro impose alcune misure che furono adottate dieci anni dopo”.

Insomma, anche lui (spesso consulente dell’autorità giudiziaria) è stato chiaro: “La legge c’era, ma non è stata fatta applicare”, ha detto in un convegno d’un mese fa. Tant’è che “se i processi si fanno, è proprio perché è vero che fino al 1992 si poteva utilizzare l’amianto, ma nel rispetto di queste norme. E non è stato fatto”. Insomma, ha chiuso Romanelli, “mai più stragi da mesotelioma come quelle che stiamo sperimentando”.

Marta Rota è figlia di Luigi, operaio alla Cemental, morto per mesotelioma nel 1989: “Chi ha procurato la malattia e la morte di queste persone, deve pagare”.

Anche Luciano, padre di Andrea Nanetti, era dipendente Cemental ed è morto per mesotelioma. “Era l’azienda più pericolosa del reggiano, se non dell’Emilia Romagna, e lo dicono i dati della medicina del lavoro”, sottolinea Andrea, autore della denuncia che ha portato a quest’ultimo processo: “Papà è morto per le condizioni nelle quali ha dovuto lavorare alla Cemental. Non ha mai avuto altri contatti con l’amianto. Ed è quest’ultimo a provocare il mesotelioma, com’è certa la scienza”.

Intanto questa vicenda ha un aspetto unico: un comitato a sostegno di Ponti nel quale c’è un ex sindaco di Correggio. Claudio Ferrari è stato primo cittadino dal 1992 al 2004: “Mio padre lavorò per molti anni alla Cemental – ha detto in quest’ultimo processo -. Ha sempre considerato il cavalier Ponti una persona che si prodigava per la gente in difficoltà” e “non si è mai lamentato della polverosità in azienda”.

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