Coronavirus, quanto durerà l’epidemia in Italia

Sarà una convivenza di mesi, dobbiamo prepararci. Il caldo e la primavera potrebbero aiutarci. “I casi cresceranno ancora, ma ora i malati guariranno”

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«Mesi» risponde Gianni Rezza a chi gli chiede quanto durerà. Quella fra l’Italia e il coronavirus sarà una convivenza lunga. «Abbiamo un numero non piccolo di casi. Siamo arrivati alla seconda o terza generazione di contagi» spiega il direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, in una giornata infernale di riunioni, rapporti, esiti di nuovi test. Rezza si sforza di rassicurare: «Il focolaio principale è circoscritto. I nuovi casi sono quasi tutti riconducibili all’epicentro dell’epidemia nel Lodigiano e ai due focolai più piccoli in Veneto». Ma poi resta realistico: «Ci aspettiamo ancora un aumento dei casi, fino a quando le misure adottate non daranno gli effetti sperati».

Il virus fuori dalla gabbia

Il coronavirus, insomma, è fra noi. «Ormai è chiaro, è fuori dalla gabbia» ammette Guido Silvestri, che dirige il dipartimento di Patologia alla Emory University ad Atlanta. «Lo troviamo un po’ ovunque. Infetterà ancora tanta gente. Per fortuna non fa troppo male, soprattutto sotto ai 60 anni. I giovani restano in buone condizioni e i bambini sembrano resistenti. Il rischio più grande è per anziani e malati in dialisi, con scompenso cardiaco o insufficienza respiratoria. Dobbiamo prepararci bene per prevenire i contagi soprattutto fra loro».

Resteremo insieme, e anche a lungo. «Ma alla fine, allontanando le persone infette, riusciremo a spezzare la catena dei contagi» prevede Massimo Ciccozzi, epidemiologo del Campus biomedico di Roma. La sua specialità è mettere insieme i genomi dei virus sequenziati finora e ricostruirne l’albero genealogico. «Abbiamo osservato due mutazioni importanti rispetto alla Sars che circolò nel 2003. La prima rende il nuovo coronavirus più contagioso. La seconda per fortuna fa sì che sia meno letale».

Il rischio di una mutazione

Una variabile che rende difficili le previsioni sull’epidemia è la possibilità che il virus muti. Finora l’Organizzazione mondiale della sanità ha escluso cambiamenti importanti nel suo genoma. «Ma più circola, più si replica» spiega Ciccozzi. «E più si replica, più alcune lettere del suo Rna vengono modificate. Sono mutazioni casuali, possono essere dannose per l’ospite o anche no. Ma è comunque un rischio. Per questo le epidemie vanno affrontate di petto sempre, anche quando non sembrano gravi». La roulette russa del coronavirus di Wuhan, tra l’altro, sembra girare veloce. «Ogni volta che si replica, il genoma cambia una lettera ogni mille» spiega Ciccozzi. «E in tutto ha 30 mila lettere». La Sars aveva una deriva più lenta. «Una lettera ogni 10 mila». Dove questo ci porterà, saranno il caso e la statistica a deciderlo. La prossima settimana dovremmo avere i primi genomi del “ceppo italiano” del coronavirus. Sapremo se e quanto si è evoluto rispetto a quello cinese.

In attesa della primavera

Tra gli ostacoli alle previsioni c’è poi la primavera. «È solo una sensazione» spiega Silvestri. «Ma è possibile che la diffusione del coronavirus sia legata anche a fattori ambientali. Non ci spieghiamo  il fatto che nazioni popolose, con legami intensi con la Cina, siano prive o quasi di contagi. Penso a Indonesia, India, Thailandia, Bangladesh, Africa. Forse la temperatura gioca un ruolo nel limitare l’epidemia. In questo caso, il caldo potrebbe frenare il virus anche in Italia, come avviene con raffreddore e influenza stagionale».

Come per la primavera, anche per capire la direzione che prenderà l’epidemia occorre aspettare. «Nelle prossime settimane, quando questi malati guariranno, vedremo se i nuovi contagi proseguiranno» spiega Giovanni Maga, virologo e direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. «Quello che servirebbe è un coordinamento europeo. È chiaro infatti che da noi i casi sono tanti perché i test che effettuiamo sono tanti. Se usassimo gli stessi criteri ovunque, avremmo un quadro più chiaro».

L’Italia dribblata

Nell’attesa, non resta che lavorare per rompere le catene dei contagi e sperare che l’epidemia si esaurisca («no, prevedere quando è impossibile» ripete Maga). E imparare a vivere accanto virus. «Qui la preparazione del sistema sanitario per proteggere i più fragili farà la differenza» dice Silvestri. Ormai dobbiamo ammettere che il coronavirus ci ha dribblato, chissà come e chissà dove, visto che i 2,7 milioni di controlli agli aeroporti non hanno intercettato un singolo malato. L’Imperial College di Londra, in uno dei suoi bollettini sull’epidemia, aveva previsto proprio quel che stiamo vivendo in Italia: «Stimiamo che due terzi dei casi esportati dalla Cina nel mondo siano passati inosservati, dando il via a catene di trasmissione finora non tracciate».