Comunicazione e dialogo nel continente digitale. Il Papa in tasca

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di Paul Tighe

Segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali

L’arena digitale non ci consente più di fare ciò che abbiamo sempre fatto: prendere il giornale cartaceo e metterlo online. Dobbiamo ripensare ciò che facciamo, imparando a sviluppare la comunicazione e il dialogo. Le generazioni più vecchie sono abituate alla comunicazione unidirezionale (soprattutto da parte dei preti: il sacerdote parla, la gente ascolta), ma i nuovi media sono diversi: puoi interagire, commentare, dissentire. È una comunicazione partecipativa che richiede di prendere sul serio domande e commenti. Tre parole sono essenziali: ascoltare, conversare, incoraggiare. Per questo come Chiesa stiamo nell’arena dei new media. Prendiamo il caso del Papa su Twitter. In 140 caratteri non entrano complessi insegnamenti teologici, ma in tante frasi evangeliche Gesù dice cose grandi in pochi caratteri. Del resto è la stessa presenza del Papa su Twitter ad avere un valore simbolico enorme. Non solo: la sua presenza è di esempio ed esorta anche altri (specie i vescovi) a vedere il positivo dei nuovi media. Gli iscritti alle varie lingue in cui @pontifex twitta stanno ormai raggiungendo i dieci milioni, cifra davvero ragguardevole, anche per chi dice che i numeri non sono l’essenziale.
V’è stata indubbiamente un’iniziale risposta negativa ai tweet del Papa: era evidente l’attacco di chi voleva costringere a chiudere l’account, bombardandolo di insulti. Ma chi non vuole la voce del Papa nei social media, non vuole la voce del Papa anche in altri contesti: per questo occorre essere consapevoli della piazza del mercato dove si sta, e non spaventarsi.
Una delle debolezze percepite di @pontifex è la mancanza di interattività: il Papa non segue altri che se stesso e non risponde. Certo è un problema, ma c’è l’opportunità per i follower di costruire una rete capillare di interattività dal basso che rispetta la sussidiarietà della Chiesa, a partire dalla piattaforma di @pontifex. Ciò soprattutto con il re-twitting: il livello di retweet dell’account pontificio è tra i più alti in termini di rapporto al numero di utenti. Coloro che ricevono i retweet sono molti più dei seguaci del Papa: è come ridisseminare il buon seme facendolo giungere anche a chi non lo riceve direttamente, ma mediante amici che invece seguono il Papa.
Gli hashtag – si sa – sono importanti, e anche nell’esperienza del Twitter papale si sono rivelati utilissimi, specie per mobilitare alla preghiera per la pace in Siria. Papa Francesco teneva moltissimo a far conoscere questa iniziativa, ma non c’era tempo per fare arrivare le notizie a tutti attraverso i canali tradizionali. Con Twitter e i social media invece è stato possibile, anche grazie alla creazione spontanea di una sorprendente rete tra parrocchie.
In quest’ottica, del resto, è stata creata la sinergia informativa della Santa Sede, portando su un’unica pagina in cinque lingue le notizie dalle diverse fonti vaticane direttamente al fruitore, senza obbligarlo a cercarle sui diversi siti (L’Osservatore Romano, Radio Vaticana e così via). Tutte insieme dunque su una piattaforma, news.va, unica. Da cosa nasce cosa, e da news.va è nata anche la cosiddetta Pope-app, che qualcuno ha definito “il Papa in tasca”: è l’applicazione per tablet e cellulari che permette di leggere informazioni, vedere filmati e seguire le dirette. Ricordo anche che il primo videomessaggio pronunciato l’altro giorno da Papa Francesco in inglese, in occasione della conferenza nelle Filippine, postato su Facebook ha avuto 250.000 condivisioni nelle prime tre ore e mezza!
La trasformazione nel campo della comunicazione e dei nuovi media si attua più a livello culturale che a livello di tecnologia: giovani e giovanissimi si formano, studiano, cercano informazioni e creano relazioni in modi molto diversi rispetto alle generazioni precedenti. Nessuno sa dove questo porterà. La realtà dei social media è in continua evoluzione e continuamente cambia: non solo cambia se stessa, ma cambia noi, il nostro modo di fare comunità, di costruire relazioni, di essere Chiesa in termine di manifestazione della Chiesa nel mondo.
Per questo c’è bisogno, come diceva Benedetto XVI, anche di una riflessione teologica in tutto questo. Bisogna riflettere su come essere presenti nel continente digitale, e su come farlo in modo efficace: come per le missioni di un tempo in continenti sconosciuti, anche oggi tutto deve iniziare dalla conoscenza della lingua e della cultura del luogo in cui si desidera portare il Vangelo. Questo vale anche per la cultura e i linguaggi del nuovo continente digitale da evangelizzare e in cui inculturare il messaggio evangelico. Dobbiamo chiederci cosa poter imparare, che cosa di questa cultura è compatibile col cristianesimo, cosa è già ben adatto a esso, e cosa invece bisogna modificare. Come dice Papa Francesco occorre essere cittadini in questa arena, non ritirarsi ai margini, ma abitarla e contribuire con la fede a plasmare l’ambiente. Molta gente ormai passa tanta parte del proprio tempo nei social media, investendovi la vita: se la Chiesa non fosse anche lì, mancherebbe di incontrare queste persone.
Nel cammino dei nuovi media noi cristiani siamo pellegrini con il resto della gente. Papa Francesco suggeriva di non correre troppo avanti, né di rimanere eccessivamente indietro, ma piuttosto di camminare insieme. Accompagniamo gli altri a incontrare Cristo con pazienza, attenzione e genuinità, assumendoci la responsabilità della relazione, entrando nella cultura dell’interlocutore e nel suo linguaggio, parlando di fede in maniera sincera e con verità.

(©L’Osservatore Romano 23 ottobre 2013)