Comunicare al tempo del digitale

Le riflessioni di Padre Antonio Spadaro sul blog cyberteologia in occasione della festa di San Francesco di Sales
Domenico Agasso Jr. – vaticaninsider
Roma

«Il giornalista è ancora quello di una volta?»: se lo domanda padre Antonio Spadaro S.I., direttore della rivista La civiltà Cattolica, nel suo blog «CyberTeologia», in occasione della Festa di san Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti.

«In genere parlando del giornalismo si fa riferimento al giornalista, alla sua figura, al suo ruolo», ha scritto, «Si parla, ovviamente, anche dei giornali, dette testate, delle piattaforme. E in realtà oggi dovremmo parlare di più del “pubblico”, cioè dei lettori. Il pubblico – spiega – sta uscendo da una posizione passiva e sta mettendo sotto pressione l’ecosistema mediatico. La tecnologia abilita nuove forme di rapporto con il pubblico. La credibilità dell’informazione, ad esempio, va continuamente verificata e legittimata in un contesto di relazioni, e dunque diviene “affidabilità”; l’autorevolezza diviene “competenza”; e il giornalista un “testimone competente e affidabile”».

Il teologo gesuita prosegue soffermandosi sul valore delle notizie, che «non è più intrinseco al loro stesso contenuto ma si ritrova nella loro capacità di creare relazioni tra i contenuti e tra le persone. La notizia non è il contenuto che riempie la pagina (o il tempo radio o televisivo) ma il servizio che si presta a qualcuno. L’informazione – afferma – interessa e ha senso se crea “conversazione”. E questo vale ancora di più e radicalmente per l’informazione che nasce o entra nell’ambiente digitale».

Padre Spadaro definisce il giornalista come «un investigatore, un traduttore, un narratore che lavora tra la gente e gli algoritmi dell’ecosistema delle informazioni… Questa elasticità della nozione di giornalista, non è altro che l’effetto diretto della rapida e vorticosa trasformazione che sta interessando l’ordinaria concezione di giornalismo».

E la «socializzazione» dell’informazione «ha generato almeno quattro pratiche di carattere giornalistico». Una è «il costruire servizi informativi basati sull’aggregazione originale di materiali condivisi su differenti social network su una piattaforma come Storify». Un’altra è la nascita «dei social reader, applicazioni che selezionano le news sulla base di ciò che i nostri amici sui social network condividono». Numero tre: «Piattaforme di social bookmarking dove le notizie più importanti sono segnalate dagli utenti registrati».

Infine, i «progetti crowdfunding (finanziamento diffuso) per cui un giornalista chiede al proprio pubblico di essere finanziato per fare un servizio». A proposito di quest’ultimo ambito padre Spadaro cita «il caso di Claudia Vago (@tigella), che ha raccolto 2.600 euro per documentare il fenomeno Occupy Wall Street»; e ci è riuscita «grazie a www.produzionidalbasso.com che permette di organizzare e trovare finanziamenti per qualsiasi forma di autoproduzione, senza filtri e senza intermediazione.

Questo è il punto: il digitale disintermedia, e occorre fare i conti con questa realtà». L’esperienza di «Claudia Vago è un chiaro esempio di “reputation economy” che spinge anche singoli bloggers a decidere di “professionalizzarsi” e a fare pagare (paywall) l’accesso ai propri post».

Dunque, quando la rete «diventa strumento d’informazione – conclude – magari a basso costo, essa produce comunque aggregazione, partecipazione, interesse civile per la cosa pubblica. Ed è questo, in fondo, una delle ragioni migliori che spingono le persone a essere informate».