Chiesa-Università: la comune passione

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Si è tenuto a Brescia, il 7 e 8 marzo, al centro pastorale Paolo VI, il convegno nazionale di pastorale universitaria. All’attenzione vi era il sinodo, il rapporto Chiesa-Università, la funzione dei professori e il vissuto degli studenti e alcune anticipazioni sull’accordo CEI-CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) di imminente pubblicazione. Il cuore delle relazioni dell’ultima mattinata sono state dedicate all’accordo (mons. S. Russo, segretario generale della CEI, i proff. Maurizio Tira, università di Brescia, Franco Anelli, rettore della Università Cattolica, Alfonso Barbarisi e la presidente FUCI, Gabriella Serra).

Il documento presenterà nove punti dichiarati di interesse comune tra Chiesa italiana e mondo universitario, seguiti da alcune proposte di azione più concrete. In questo testo, di cui è già stata realizzata la stesura finale e si attende solo la firma tra un paio di settimane, si stabilisce il riconoscimento della dimensione spirituale come fondamentale dell’individuo: la Chiesa e l’Università si accorgono di avere una passione in comune, cioè la crescita dell’uomo. Dunque la Chiesa non è «estranea né un intruso», ma compagna dell’Università nel desiderio della crescita integrale dei giovani.

Lo studente, infatti, ha diritto a un organico sviluppo formativo, che lo aiuti a costruire la sua personalità. Il senso critico e la ricerca della verità sono patrimonio importante contro il dilagante «elogio dell’ignoranza»: questa la missione dell’Università, per la quale la Chiesa desidera offrirsi come alleato significativo.

È nel cercare e trovare il senso proprio delle cose il significato profondo dello studio. Su questa linea Gabriella Serra ha ricordato le parole di Montini assistente FUCI: l’Università deve contribuire a «una possente vita spirituale». In tal modo si profila una vera e propria «vocazione universitaria», segnata da libertà e concretezza, responsabilità e senso critico.

Sinodo sotto la lente

Il convegno, dal titolo Camminava con loro e spiegava le Scritture – Dopo il Sinodo, sulla via di Emmaus, si è avviato con i saluti di Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia. Ha posto il convegno sotto lo sguardo e l’esempio di Paolo VI.

L’introduzione del prof. Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della CEI, ha chiarito i tre fuochi del convegno:

1) «dopo il Sinodo», si sottolinea l’importanza dell’accompagnamento del servizio al «radicamento» dei giovani;

2) la figura di Paolo VI e le sue intuizioni profetiche sul mondo dell’università;

3) lo sfondo costante del rapporto tra Chiesa e Università.

Tre le relazioni del sabato mattina. P. Salvatore Currò, salesiano, partecipante all’ultimo sinodo in qualità di esperto, ha sottolineato tre necessità, risuonate nell’assemblea romana, da tenere bene a mente nell’azione pastorale rivolta ai giovani: una forte «sinodalità missionaria», una decisa «apertura a tutti i giovani», sotto il segno di un rinnovato «orizzonte antropologico vocazionale». Si fa sempre più forte la necessità di imparare a fare un serio discernimento comunitario, camminando insieme per le vie che possono arrivare a tutti i giovani, in primis la «via educativa». Questa opzione richiede necessariamente la fine del clericalismo in pastorale e apre l’esigenze di nuove alleanze. Ciò non significa, però, abbandonare la prospettiva vocazionale. Tutt’altro: «la crisi di oggi non sta nel numero dei preti, ma nell’abbandono di una cultura vocazionale» a trecentosessanta gradi. La via educativa mira esattamente a trasmettere quella «sana inquietudine» che è radice di ogni ricerca vocazionale e di senso: la pastorale giovanile deve tornare a guardare l’uomo in prospettiva sempre vocazionale (cf. Documento finale del Sinodo, n. 140).

Vangelo, forma sensata di vita

A don Giuliano Zanchi, prete della diocesi di Bergamo, teologo e segretario generale della Fondazione Bernareggi, il compito di fornire una cornice culturale dei giovani di oggi, una sorta di analisi destruens della galassia giovanile. Alcuni punti, ruvidi forse, ma estremamente chiari e concreti (e particolarmente apprezzati dagli studenti presenti al convegno):

  •  tra le giovani generazioni e il cattolicesimo parrocchiale non esistono più rapporti significativi
  •  non sono state le ideologie oppositive al cristianesimo ad aver eroso il mondo della fede, ma il paradigma tecno-liberista, che ha voluto «ingoiare» la religione invece che opporvisi. Non è avvenuta quindi una lotta, ma uno «sradicamento» profondo delle radici umanistico-cristiane, oggi viste come «roba esotica e sospetta»
  •  «il disincanto tecno-scientifico si muove tra eccitazione pragmatica e dimensione estetica». Diventa vera, per la percezione giovanile, l’affermazione di Nietzsche: «la verità è brutta; abbiamo l’arte per non perire a causa della verità» (Frammenti postumi, n. 1646)
  •  la ricerca di identità del singolo sfocia nella simbolica consumistica: nascono «identità pret-â-porter», segnate da una «permanente simulazione estetica del senso». Stiamo cercando di costruire «un paradiso in terra prima del nulla»
  •  la giovinezza è divenuta struttura antropologica: tutti vogliono essere «liberi e belli», per sempre, il ché fa sì che gli adulti entrino in competizione con i giovani

Di fronte a questa situazione «bisogna argomentare culturalmente la dignità del vangelo come forma sensata di vita», altrimenti il cristianesimo, per i giovani di oggi, non è più né profetico né radicale.

Ha chiuso la mattinata la relazione del prof. Domenico Simeone, docente di pedagogia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. A lui il compito di delineare una pars construens: cosa c’entra (e come far c’entrare) la pastorale con il lavoro universitario? Questa alleanza può realizzarsi a livello antropologico, quando si mette cioè a tema la condizione umana. La ricerca dell’Istituto Toniolo del 2014 sui giovani e sul mondo del lavoro e universitario (scaricabile qui) ha messo in luce alcune caratteristiche importanti del docente universitario. Ne sottolineiamo una: il professore è chiamato a incoraggiare una costruzione critica della conoscenza. Solo in questo modo può mostrare lo studio non come un accumulo di nozioni, ma come «strumento per cambiare la postura epistemologica attuale». In tal modo l’Università diviene motore sociale per il bene comune.

Dopo il pranzo hanno avuto luogo i laboratori, in cui tutti i partecipanti, divisi in sei gruppi, hanno potuto confrontarsi a ruota libera su tre questioni fornite dalla griglia di lavoro: osservazioni e riflessioni sulle relazioni della mattinata; esperienze conosciute che rispondono alle provocazioni e alle sfide emerse; un’esperienza che mi piacerebbe fosse presente nella propria realtà pastorale. I laboratori sono sempre un momento interessante, perché ci si può parlare a quattr’occhi, calando nel concreto l’analisi e le provocazioni delle relazioni della mattina.

Nel tardo pomeriggio è stata proposta una passeggiata al santuario di Santa Maria delle Grazie. Lì abbiamo ascoltato don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI, per una veloce quanto puntuale analisi dell’attualità del messaggio di Paolo VI sull’Università. Come diceva all’inizio il vescovo locale, Paolo VI «ha lasciato un’impronte importante in questa epoca storica complessa e delicata» ed è stato un vero precursore della pastorale nell’università.